Montalcino: purezza si o purezza no.3 min read

Non provo particolare piacere sia nell’essere d’accordo con Angelo Gaja sia nel non sentirmi in sintonia con amici e colleghi stimati come Franco Ziliani, Roberto Giuliani e Gigi Brozzoni. Purtroppo però, sul problema del disciplinare del Brunello e del suo possibile cambiamento ho idee abbastanza “Gajesche”. Premessa: molti, troppi ettari piantati per fare Brunello a Montalcino si trovano in posizioni infelici o sbagliate e difficilmente potranno dare materia prima adatta ad un grande Sangiovese in purezza come il Brunello. Per questo la cosa più seria sarebbe quella di attuare una politica “Napoleonica” e stabilire, come a Bordeaux nel 1855, Grand Crù, Premier Crù e via cantando. Inattuabile? Impossibile? Lo credo anch’io, anche se questa sarebbe forse la strada più giusta da seguire.  Ma quegli ettari rimangono e soprattutto in certe annate difficili (diciamo…….4 su 10 per essere buoni) aumentano e non di poco. Se un qualcosa di chiaro è uscito da questa crisi del Brunello è proprio il fatto che non tutto il territorio di Montalcino è adatto a fare grandi  Sangiovese in purezza, come si è sempre sostenuto in passato. Preso atto di ciò cosa fare?  Declassare a Sant’Antimo o Toscana IGT? Questo però porterebbe ad una svalutazione immediata dei valori fondiari e molte aziende rischierebbero di andare a gambe all’aria, perché i prestiti ed i mutui hanno appunto i terreni a garanzia. Terreni per Brunello a 400/500.000€ all’ettaro e non per Sant’Antimo, che valgono 7-8 volte meno. Voi dite: ma questi sono problemi loro, dovevano pensarci prima! Posso essere d’accordo ma vediamo un po’ cosa potrebbe succedere se invece di declassare vigneti o aziende se ne “Valutassero meglio” altri o alcune. Si potrebbe creare nei Disciplinare di Produzione le dizione “Brunello di Montalcino Sangiovese” e Rosso di Montalcino Sangiovese” affiancandole a quelle già esistenti. Le prime dovrebbero essere prodotte solo da uve Sangiovese 100% (e magari certificate da analisi equivalenti a quelle fatte alcuni mesi fa per gli States) mentre i secondi potrebbero avere un 20% di altre uve, come già accade per Chianti Classico e Nobile di Montepulciano. Prima di gridare all’oltraggio pensiamoci bene. Da una parte “i cattivi” pagherebbero immediatamente dazio, ritrovandosi con un vino svalutato perché diverso dall’ideale del Brunello, dall’altra i buoni (certificati tali) se ne avvantaggerebbero, mantenendo inalterata la loro immagine e ottenendo prezzi adeguati.
Ma i termini “buoni e cattivi” diventano immediatamente desueti se si pensa in una prospettiva almeno decennale. In futuro ci sarebbe da una parte un vino più internazionale, che riesce a dare ottimi risultati praticamente ogni anno e dall’altra un vino unico, magari prodotto solo in annate particolari, che porta con se tutti i pregi di un grande sangiovese in purezza. La stessa azienda,  con vigneti non tutti in posizioni splendide, potrebbe anche decidere di  produrre una piccola percentuale di Brunello Sangiovese o di Rosso Sangiovese ed il resto di “semplice” Brunello o Rosso.
Difficile da comunicare? Forse, ma non credo sia impossibile.
Difficile che i produttori ammettano praticamente la colpa e decidano di creare un Brunello di serie A ed uno si serie B? Sicuramente si, ma “sic stantibus rebus” mi pare che il Brunello, almeno dal punto di vista mediatico e soprattutto dell’onda lunga che ne seguirà, sia già in buona part retrocesso in serie B.
Ma se i produttori accettassero questa soluzione, chi potrebbe garantire che il Brunello Sangiovese sia veramente tale? Le stesse commissioni che fino ad ieri hanno certificato vini improbabili tanto da essere messi sotto sequestro? Non credo: bisognerebbe avere ancora più coraggio e, oltre alle analisi sopra citate, inserire in commissione dei giornalisti, che dovrebbero svolgere il ruolo del San Tommaso di turno. Volete qualche nome: Franco Ziliani e Roberto Giuliani, tanto per cominciare.
Come sempre…….parliamone!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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