La mia Africa anzi, il mio Sudafrica (seconda parte)7 min read

Per la realizzazione della seconda parte di questo resoconto, ho dovuto mettere in pratica il famoso motto Ogni mattina, quando si sveglia un redattore di Winesurf  in modalità ON, non importa quello che succede intorno a lui, l’importante è che cominci a bere…".

E così ho fatto!

Ma, focalizziamo qualche elemento in più sulla cartina geografica, almeno relativamente alle zone che ho visitato, cioè l’area di Constantia, Stellenbosch, Paarl e Franschooek e, più a sud verso l’oceano, la promettente regione di Walker Bay.

Restano purtroppo esclusi dal report le regioni vitivinicole di Swartland, Tulbagh, Darling, Durbanville, Robertson ed Elim.

 

Tutte aree comunque che non distano molto da Città del Capo; la più interessante tra queste si snoda lungo la Breede River Valley e copre una vasta area di vigneti tra Robertson e Worcester, appena 150 km verso est, ed è conosciuta soprattutto per i vini fortificati.

 

La viticoltura sudafricana è giovane, più o meno 350 anni, tanto giovane quanto antichi risultano essere invece i suoli dove viene praticata. 

Le origini della loro formazione, materia per geologi appassionati, si devono ad un lungo processo conclusosi all’incirca 500 milioni di anni fa.

Chi me lo racconta deve avere una parentela con Piero Angela, le movenze e la cadenza sono le stesse.

 

 Ma si tratta di uno scambio alla pari, visto che anch’io tendo a socchiudere l’occhio mentre la narrazione del giallo geologico viene lentamente dipanata. I movimenti tettonici (ocio a non equivocare) del continente sudafricano crearono il caratteristico paesaggio di vallate, altopiani e catene montuose.

 

Montagne formate per la massima parte da arenarie appoggiate su basi granitiche; ne sono un tipico esempio Table Mountain, (area Constantia e CapeTown) Cederberg (area Swartland), Drakenstein (area Franschooek) e Simonsberg, (area Stellenbosch) montagne che finiscono per disegnare lo skyline di buona parte della wineland sudafricana.

 

In sintesi estrema, cercate di immaginare una cintura formata da una serie di catene montuose e parallele di origine Paleozoica (541 – 252 milioni di anni orsono) che corrono dietro la linea costiera da sud-ovest verso sud e sud-est per circa un migliaio di km partendo da Cederberg 200 km a nord della Penisola del Capo, e poi lungo la costa meridionale fino a Port Elizabeth,650 km ad est.

 

Questo almeno è quanto sono riuscito a tradurre ascoltando il Piero Angela del Capo. L’aggettivo più adatto per definire il clima del Capo è “mediterraneo”, difatti la latitudine di Stellenbosch corrisponde a quella di Beirut nell’emisfero Nord. Non sono mai stato in Libano, ma guardando la cartina mi ero fatto l’idea, rivelatasi poi corretta, che a Beirut, nonostante le tabelle meterologiche dicessero il contrario, facesse più caldo che a Stellenbosch. Gli inverni quaggiù sono miti e piovosi e si avvicendano ad estati moderatamente calde e soleggiate.

 

E’ un clima particolarmente adatto alla coltivazione della vite; nell’area di Città del Capo la temperatura media va dai 12 gradi di luglio ai 21 di gennaio e febbraio, il periodo in cui inizia la vendemmia.

 

La vicinanza dell’oceano influenza notevolmente il clima; quando soffia il Berg, il vento caldo e secco che scende dalle montagne dell’interno, la temperatura può superare i 35 gradi, tuttavia in estate spira più frequentemente il Cape Doctor, una intensa e fredda brezza meridionale-antartica che abbassa di parecchio la temperatura contribuendo a mantenere fresco e asciutto il vigneto.

 

Sulla Table Mountain, quella montagna strafotografata piatta e alta circa mille metri che sovrasta la città, si forma spesso uno strato di nubi, e il susseguirsi di freddo e caldo è una costante quotidiana.

 

Ulteriore conferma, come ho avuto modo di registrare, che il vigneto sudafricano gode di una notevolissima varietà microclimatica. L’alternanza di montagne, fertili vallate, pendii scoscesi, venti e distanza da grandi masse d’acqua, danno vita a numerose variabili ambientali nessuna delle quali, o quasi nessuna, però prevede una viticoltura priva di irrigazione. Senza acqua, niente vino.

 

 

Fatta questa debita intro climatica, vediamo più da vicino le regioni vinicole che, giocoforza, dovranno essere divise in due capitoli.

 

1) AREA CONSTANTIA E CAPE POINT: come già tutti sanno, Constantia è la più vecchia regione vitivinicola del paese. Io però l’ho imparato non già studiando, ma osservando lo zerbino posto all’ingresso di una delle poche cantine dell’area e che dice semplicemente Klein Constantia 1685.

 

L’area si trova a ridosso della Table Mountain, ed è raffreddata dalla brezza marina, fattore determinante per la lenta e perfetta maturazione delle uve. Il vitigno più interessante di questa zona è senz’altro il Muscat de Frontignan, di origine greca e diffuso nel Languedoc, è il vitigno all’origine della fama di cui ancora oggi gode l’area di Constantia e che richiama migliaia di visitatori, complice anche la ricchezza di ristoranti ed un paesaggio arcadico. Paesaggisticamente è una zona molto bella ed anche piuttosto esclusiva, visto che qui hanno le loro ville Desmond Tutu e Wilbur Smith.

 

I vigneti sono curati certamente meglio della popolazione di colore che li accudisce e traggono alimento da suoli formati da arenarie argillose e granito. In questa mini regione ci sono una decina di cantine, molte delle quali portano nel  nome la parola Constantia. Noi ce ne siamo fatte due scelte per ragioni storiche e di notorietà.

 

Groot Constantia, di proprietà di un Trust, vanta oltre 100 ha di vigne, un museo, due ristoranti e un milione, uno più uno meno, di giardinieri perennemente al lavoro per curare il piccolo patrimonio di piante.

 

Klein Constantia, di proprietà delle famiglie Bakala e Harman, con meno di 100 ha di vigne e a cui si deve il Vin de Constance. Assaggiare uno di questi vini dolci guardando la False Bay, è qualcosa che dovreste realmente fare.

Klein Constantia ha una gamma di vini molto articolata, oltre all’iconico Vin de Constance e ad un Metodo Classico ordinario, c’è tutta una gamma imperniata sul sauvignon blanc, una varietà che l’enologo Mattew Day esplora in modo approfondito, impiegando in vinificazione varie tecniche e contenitori, ed articolandola in ben 7 etichette di cui una “organic”.

 

Su tutti il nuovo Sauvignon Blanc Block 371, moderatamente aromatico di citronella e salvia con l’aggiunta di una delicata impronta speziata, apportata da un breve passaggio in legno il cui contributo si manifesta anche all’assaggio ove finisce per arrotondarne le asperità e frenarne la connotazione vegetale.  

 

Una descrizione che, mi rendo conto, non fa capire quanto sia originale questa etichetta se raffrontata alle altre.

 

 Il Vin de Constance assaggiato, purtroppo di annata recente, è ottenuto da uve non botritizzate e matura minimo 30 mesi in botti di acacia. Di questo vino mi ha colpito la leggerezza e la profondità del tocco, una perfetta combinazione di frutti tropicali, energica freschezza e accattivante dolcezza. Certo è che la complessità la troverete solo in bottiglie di annate vecchie, rare e costosette.

 

Non abbiamo fatto in tempo a visitare Steenberg, un’altra cantina storica fondata nel 1682 e che oggi ospita al suo interno un campo da golf, un boutique hotel e due ristoranti. Non vi stupite, da queste parti è una costante, ma avrò modo di parlarvene nel prossimo articolo.

 

Mi dicono che Graham Beck, il proprietario, stia investendo molto in tecnologia per la produzione e lo stoccaggio di Cap Classique, il Metodo Classico locale, una tipologia in cui pare riporre molte aspettative.

 

 Nella prossima e conclusiva puntata parleremo di Stellenbosch, Franschooek e alcune considerazioni finali sull’accoglienza e gli inevitabili confronti con casa (non Cosa) nostra.

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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