Chiamatemi Nebbiolo4 min read

Venerdì 3 marzo si è svolto a Verduno, presso la cantina Bel Colle del gruppo Bosio, un’interessante degustazione ideata da Luca Bosio e dedicata a vini a base Nebbiolo.

 

Un momento di studio e riflessione sullo “stato dell’arte” di questo nobile vitigno, con la partecipazione di studiosi, enologi, produttori e stampa. Molti sono stati gli spunti interessanti e molti anche gli argomenti affrontati.

Una giornata uggiosa e nebbiosa, di quelle tipiche in questo periodo e che fanno venire a mente i tanti viaggi in Langa; ricordi che mi riportano a metà degli anni 90’, quando muovevo i primi passi in questo mondo accompagnando l’amico giornalista e gastronomo Salvatore Marchese che stava scrivendo  un libro: “Le Storie di un Re di nome Barolo”.  

 

Ancora oggi è considerato una pietra miliare della bibliografia dedicata al re dei vini italiani, se non altro per il quarto di nobiltà con cui è ricamata la sua storia. Personaggi come Beppe Rinaldi, Giacinto Brovia, Bartolo Mascarello e Teobaldo Capellano hanno segnato indelebilmente il mio incontro con la Langa e i suoi vini. Una Langa da cui manco da troppo tempo ma che finalmente ritrovo,  con questo clima.

 

Cepage o Terroir?

 

Quanto incide il terroir e quando il vitigno nel percorso di qualità del Nebbiolo? Questo argomento ha tenuto banco per buona parte della degustazione.

 

La domanda porta lontano, fino alla storia del suo arrivo in Piemonte, quando era considerato un vitigno minore, tranne che a Gattinara dove ci sono testimonianze che arrivano fino al milleduecento. Poi la luce si spegne fino alla fine del 1800, quando il Nebbiolo delle Langhe (Barolo) si impone prepotentemente sulla scena locale e internazionale. Il perché sia tornato in auge proprio nella Langa è probabilmente spiegato dalla maggior competenza e tecnologia che quelle zone avevano già acquisito rispetto al resto del Piemonte. Competenze e tecniche che hanno tentato di gestire, mai completamente, un vitigno così difficile in vigna e in cantina. E’ un vitigno tardivo ma che cresce in altitudine e anche questo è un paradosso.

La risposta alla domanda comunque è che il suolo e la particolare condizione climatica continentale che vive il Piemonte, difeso e al tempo stesso costretto dall’arco alpino, lo rende unico e ideale  per l’impianto del Nebbiolo.

 

Il problema non risolto

 

E che probabilmente mai si risolverà: il nebbiolo ha una dotazione tannica molto importante e al tempo stesso una dotazione di antociani, le sostanze coloranti, molto povera. Questo paradosso lo rende al contempo un vino molto adatto all’invecchiamento ma contemporaneamente il suo colore lo fa sembrare a volte già vecchio fin dalla nascita. Apparentemente può sembrare che il problema sia un falso problema e sia più nella testa dei produttori o ancora di più nei loro responsabili commerciali. Questa è anche la ragione per la quale il Nebbiolo storicamente veniva sempre stato tagliato con altri vitigni (Barbera in primis).

In realtà l’esperienza odierna ci dice che in molti casi i Nebbioli con dotazione cromatica più povera si rivelano anche quelli che hanno un bagaglio organolettico meno importante.

In un momento in cui il mondo del vino guarda a tecniche sempre meno invasive e ad un ritorno alla naturalità del processo di vinificazione è d’obbligo asserire che il Barolo e i suoi fratelli sono frutto di grandi scoperte e conoscenze scientifiche che hanno permesso di renderlo così come lo conosciamo oggi. La ricerca di un punto di colore meno datato ha dato vita nel tempo a molti tentativi tecnologici ed esperimenti che comunque hanno contribuito ad aumentare la conoscenza sul vitigno.

 

E nel resto del mondo?

 

La degustazione ha visto anche in assaggio campioni da Australia, Messico e Stato di Washington: nella maggior parte dei casi i vini sono apparsi completamente snaturati e irriconoscibili: la mano del produttore, i vitigni aggiunti, o il clima, hanno prevalso sulla sua identità per come la conosciamo noi. Il Nebbiolo piantato in altre zone del mondo amplifica la sua già di per sé difficile gestione sia in vigna che in cantina.

 

Lascio Verduno con ancora in mente i più bei ricordi di Langa, di quanto mi sia piaciuto tornarci e di quanto sia stata utile l’immersione nel Nebbiolo. Ringrazio la famiglia Bosio che ha organizzato l’incontro.

Di questi incontri, per il loro livello, per il contributo di conoscenza che offrono e per le esperienze che vengono scambiate, non ce n’è mai abbastanza.

 

 

Gianpaolo Giacomelli

È nato a Lerici, vive a Castelnuovo Magra ed è quindi uomo di confine tra Toscana e Liguria. Al momento della “scelta” ha deciso di seguire la passione per le cose buone invece del comodo lavoro dietro una scrivania. Così la “scelta” lo ha portato a Londra a frequentare i corsi per Master of Wine, finendo tempo e soldi prima di arrivare agli esami. A suo tempo ha aperto un winebar, poi un’enoteca e alla fine ha un’associazione culturale, un wineclub, dove, nella figura di wine educator, propone serate di degustazione e corsi. Fa scorribande enoiche assaggiando tutto quello che può, sempre alla ricerca di nuovi vini. Ha collaborato con varie testate del settore, contribuito alla nascita delle guide vini Espresso e Vini Buoni d’Italia prima di dedicarsi anima e corpo a Winesurf.


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