Non sono moltissimi i Nizza che abbiamo ricevuto assieme alle Barbera d’Asti (vedi qui i risultati e i commenti di questa degustazione) ma sicuramente sufficienti per fare un punto su questa denominazione, che da qualche anno sta cercando di imporsi all’attenzione generale.
Mi ricordo quando, proprio 10 anni fa venni invitato ad una delle prime presentazioni del Nizza. I produttori erano una quindicina, molti meno di adesso che hanno superato le 40 cantine aderenti , ma il progetto era già chiaro: produrre una grande barbera da invecchiamento in un numero ristretto di comuni attorno a Nizza Monferrato.
Anche la strada da seguire è rimasta la stessa: vecchie vigne (possibilmente) rese basse (70 q.li per ettaro, che scende a 63 per quelli con menzione “Vigna” e “Riserva”) e un invecchiamento di minimo 18 mesi di cui almeno 6 in legno.
I primi risultati dieci anni fa mi avevano lasciato molto perplesso, trovandomi di fronte a barbera abbastanza monolitiche, alcune anche ingessate da legno: negli anni successivi la situazione non era molto cambiata e quindi ci eravamo presi due o tre annetti sabbatici prima di tornare a testarle.
Prima di parlare di risultati occorre dare a Cesare quel che è di Cesare cioè ammettere che dal punto di vista viticolo queste barbera sono figlie di un ottimo lavoro di vigna, considerando che la barbera non è certo un vitigno facile, specie se vuoi ottenere rese basse e concentrazioni adeguate.
Detto questo veniamo ai vini degustati, provenienti da 3-4 annate, di cui alcune non certo spettacolari. Prima su tutte la 2014, dove per la barbera in Piemonte è stata veramente dura e i pochi vini presenti lo stanno a dimostrare: i pochi tannini pungenti e amarognoli, l’acidità abbastanza netta, il legno ancora da domare.
I 2013, pur non figli di una vendemmia da ricordare hanno avuto più bottiglia e quindi maggiori possibilità di affinamento. Qui abbiamo potuto trovare i vari stili in cui si divide il Nizza, quello più rotondo e maggiormente (anche grazie ad un uso del legno non certo parsimonioso) “internazionalizzato” e quello più aderente alle caratteristiche non certo facili (acidità alta, una certa durezza generale del vino nei primi 3-4 anni) e quindi meno facile da proporre a consumatori sempre più portati a bere rotondo e dolce (quest’ultimo senza saperlo).
Due parole sulle note olfattive, molto spesso “molto affiancate” da legni piccoli o grandi e quindi non solo non rispondenti ai classici aromi primari della barbera ma con un chiaro bisogno di tempo per potersi armonizzare al vino. Del resto i Nizza quasi per definizione hanno bisogno di tempo per terziarizzare e permettere al vino di armonizzarsi col legno.
I 2012 e 2011 assaggiati sono sembrati più aperti, con sensazioni fruttate più evidenti, anche se la nota alcolica era in alcuni casi dominante.
In generale quello che meno ci convince di questi vini è la bevibilità, la possibilità di finire la bottiglia una volta aperta. Questa è una delle caratteristiche principali della barbera giovane e in qualche modo andrebbe preservata.
Aldilà di gusti personali, molto più orientati verso quest’ultime, la domanda che ricorreva spesso durante l’assaggio era quando questi vini, assolutamente ben fatti, trasformeranno la loro attuale durezza in un amalgama di freschezza e complessità gustativa.
Solo il tempo, penso molto, potrà dircelo.