Riflessioni, previsioni e qualche buon sangiovese romagnolo da Vini ad Arte 20178 min read

Si può vivere senza un braccio, senza una gamba, senza un rene, senza un polmone. Non senza un sorriso che ti fa battere il cuore.

 

“Non è vergognoso per una zona puntare al frutto, al piacere, alla confidenzialità, alle esigenze della buona tavola. Ce lo insegna il Beaujolais, dove vignaioli leggendari come Jules Chauvet e Marcel Lapierre hanno speso il loro talento in direzione della complicità più che della complessità”.

 

 

Alla faccia di Carlo Cracco

 

Fu quella volta a undici anni. Quando in quinta elementare, ormai alla fine dell’anno scolastico, dovevamo svolgere un tema sulla felicità. E mentre i miei compagni si davano da fare scrivendo di calciatori, cantanti, attori, mete esotiche e amici del cuore, io pensai a mio nonno e al suo Aleatico. Sangue di Cristo che lasciava un alone cupo sul labbro, dolce di zuccheri e di alcol, di frutta e di glicerina.

Un vino che Nonno raccontava con affascinante eloquenza. La felicità non era berlo, quel vino battesimale, e non era nemmeno l’eccitante ammissione ai riti adulti. La vera felicità era ascoltare il “patriarca” descriverne la genesi, confidarci i suoi segreti di contadino, le sue gesta di cantiniere amatoriale, le sue speranze di bevitore di sogni.

Non voglio annoiare coi ricordi d’infanzia. È solo per dire che perfino oggi che sono un professionista del vino, non è assaggiare che mi dà più piacere, ma è ascoltare chi quel liquido odoroso lo ha realizzato.

E così, lunedì 20 febbraio, in occasione di Vini ad Arte 2017, anziché degustare come un pollo in batteria cento vini senza nemmeno una storia, ho girato da mattino a sera i banchetti del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, intervistando decine e decine di produttori romagnoli, bevendo con loro, nutrendomi delle loro esperienze.

Alla fine della giornata, qualche Sangiovese romagnolo da consigliarvi me lo sono annotato, ma soprattutto ho riempito di appunti il mio cuore. Perché i fatti indelebili rimangono soltanto lì, niente da fare: hai voglia a studiare le procianidine, i norisoprenoidi, le potature dolci di Simonit, le marne giurassiche di Borgogna, le sabbie marine di Lessona, il batonnage, il remuage, il delestage se poi non ci metti il cuore, in quello che fai.

Tornato a casa in forte ritardo, stanco morto, con i denti neri, il viso trasfigurato e i piedi dolenti, ho detto ai miei tre figli, prima di ripartire immediatamente per Gattinara, che il mio mestiere è il più bello del mondo. Con buona pace di Martina, la più grande, che in camera ha il poster di Carlo Cracco e neanche una foto di suo papà.

 

 

Il sangiovese romagnolo si emancipa

 

Il Sangiovese della Romagna non è ancora il più bello del mondo, ma rispetto a qualche anno fa il suo look è decisamente migliorato. Il processo evolutivo del territorio è ancora graduale, a qualche osservatore frettoloso potrà apparire perfino lento, ma parecchio di significativo si va muovendo.

E si muove soprattutto fra i vignaioli outsider, quelli dell’ultima generazione o giù di lì, i primi a smarcarsi dalle abitudini del passato e i primi a sintonizzarsi sulle esigenze del presente. E probabilmente del futuro.

Finalmente si cominciano ad assaggiare con più frequenza Sangiovese senza urgenze dimostrative anche nelle selezioni di vertice, ma è il dato prospettico quello più interessante, perché nei prossimi cinque anni le bottiglie meno assillate dal calore, dai muscoli e in assoluto dalla confezione, rappresenteranno la larga maggioranza della proposta. Ne sono certo.

Così come sono certo che i vini migliori di Romagna, quelli che leggono con più trasparenza il luogo d’origine, quelli più in sintonia con la tavola e con le esigenze dei bevitori coltivati, stanno alla base della piramide, non in cima.

Non è vergognoso per una zona puntare al frutto, al piacere, alla confidenzialità, alle esigenze della buona tavola. Ce lo insegna il Beaujolais, dove vignaioli leggendari come Jules Chauvet e Marcel Lapierre hanno speso il loro talento in direzione della complicità più che della complessità.

Io credo sia quella la strada.

 

Le ultime cinque stagioni romagnole

 

Anche la strada delle stagioni merita attenzione, questo è pacifico. Perfino quando la geografia è benevola e concede di riunire molti dei talenti ideali per una viticoltura di valore (buon ambiente, suoli di qualità, microclima salubre), le incognite per un produttore non sono finite: deve infatti adeguarsi all’imprevedibilità della meteorologia. Le condizioni meteo sono differenti da un anno all’altro, ed è questo il motivo per cui il millesimo di un vino è fondamentale nel determinarne le generalità e il carattere. Un dato che vignaioli, agronomi, enologi, critici, operatori commerciali e appassionati devono tenere in seria considerazione: i primi per adattarvi il loro lavoro, gli ultimi per trarne piacere con maggiore consapevolezza. Ecco una panoramica degli ultimi cinque millesimi in Romagna.

 

2016: Un inverno mite e asciutto ha creato i presupposti per un forte anticipo vegetativo che tuttavia si è perso durante una primavera umida e un inizio dell’estate piuttosto instabile, capriccioso. Le piogge primaverili hanno ripristinato un buon livello idrico delle falde sotterranee, consentendo alla vite di resistere alle alte temperature e alla siccità del mese di luglio. Bello e regolare invece agosto, con temperature massime nella media del periodo, buone escursioni termiche e precipitazioni misurate. La vendemmia, iniziata con qualche giorno di ritardo rispetto alle consuetudini romagnole degli ultimi dieci anni, si è consumata in condizioni climatiche ideali, senza problemi sanitari e con rese generose. Le aspettative sull’esito dei vini del 2016 sono pertanto molto alte.

 

2015: Millesimo a due facce, caratterizzato da una copiosa piovosità da febbraio fino alla fine di giugno e da un’estate al contrario davvero bollente. Durante i mesi di luglio e agosto le giornate sono state solari e secche, con temperature elevatissime (alimentate da un lungo anticiclone africano) e minime escursioni termiche. Anche la vendemmia, partita in anticipo rispetto all’annata 2016, è stata contrassegnata da caldo e siccità, con raccolte di uve sane e zuccherine ma spesso in debito di freschezza.

 

2014: Annata fra le più difficili e bizzarre degli ultimi sessant’anni in Romagna (e non solo), sarà ricordata per un inverno piovoso e mite che ha anticipato sensibilmente le prime fasi vegetative della vite, alimentando qualche difficolta perfino nella gestione delle ultime fasi delle potature secche. Primavera ed estate ben poco soleggiate, fresche e con frequenti precipitazioni (va ricordato il luglio più “bagnato” della storia recente), hanno complessivamente partorito un millesimo “grigio” e umido, tanto problematico nella gestione sanitaria (per via di marciumi e muffe) quanto originale nella creazione di vini diversi dal solito, tenui nel colore, profumati, poco alcolici e vivi di acidità.

 

2013: A dispetto di un inverno nella norma, la 2013 va considerata nel complesso una stagione particolare, umida e con temperature mai troppo alte. Fasi di germogliamento e fioritura alquanto tardive, primavera graduale con ridotti picchi di calore ed estate tendenzialmente fresca, con poche settimane davvero luminose e cicli di caldo ben più brevi rispetto alle abitudini regionali. Dalla terza decade di luglio e fino alla raccolta, il clima è stato irregolare, alternando giornate di sole e di pioggia, con esiti finali a vantaggio dell’aromaticità, dell’acidità e della (potenziale) longevità.

 

2012: L’incipit invernale assai mite, che ha fatto registrare un mese di gennaio tra i più caldi di sempre (simile al gennaio del 2007) è stato interrotto dalle abbondanti nevicate di febbraio. Sole, luce e calore sono tornati in primavera, protraendosi fino alla fine dell’estate, con temperature massime tra le più alte mai registrate, modeste escursioni termiche e lunghi periodi di siccità (in linea con le annate più calde del decennio precedente come la 2003 e la 2007). La raccolta del 2012, iniziata in anticipo rispetto alla media della regione, ha consegnato un raccolto modesto nelle quantità in campagna, magro nelle rese in cantina e con valori analitici tipici di un’annata torrida.

 

 

 

Vini ad Arte: le nomination del Falco

 

Passato, Presente, Futuro: Noelia Ricci Romagna Sangiovese Superiore “Godenza” 2015.

 

Il mio vino del cuore: Costa Archi Sangiovese “GS” 2013.

 

Ruvidezze appenniniche: Piccolo Brunelli Romagna Sangiovese Predappio “Cesco” 2013.

 

Carezze appenniniche: Villa Papiano Romagna Sangiovese Superiore “Le Papesse di Papiano” 2015.

 

Dai calanchi con garbo: Villa Bagnolo Romagna Sangiovese Superiore “Sassetto” 2015.

 

Per i più golosi: Giovanni Giorgio e Jacopo Giovannini Sangiovese “Giogiò” 2015.

 

Per i più assetati (premio “vin de soif”): Giovanna Madonia “Tenentino” 2015.  

 

Per la merenda (in spiaggia con le infradito): Poderi Morini Romagna Sangiovese Superiore “Morale” 2015.

 

SSA. Senza Solfiti Aggiunti: Stefano Berti Romagna Sangiovese Superiore “Nonà” 2015.

 

Campioncino in vasca (e forse pure in bottiglia): Ca’ di Sopra Romagna Sangiovese Superiore “Crepe” 2016.

 

Gregario in vasca (e forse campioncino in bottiglia): Terre di Macerato Romagna Sangiovese “Rhod” 2016.

 

Nuove generazioni al comando (finalmente): Condé Romagna Sangiovese Predappio Riserva Le Lucciole “Chiara Condello” 2015.

 

Le aspettative che ti fregano. Da rivedere: Fattoria Nicolucci. Romagna Sangiovese Superiore Riserva “Vigna del Generale” 2013.

 

La stima è troppa per accontentarmi. Cantina in attesa del Riscatto: Drei Donà La Palazza.

 

Premio anteprima basta parlare di sangiovese: Fattoria Zerbina, Romagna Albana Passito Scacco Matto 2013 (a parere di chi scrive, dal 1987 ad oggi, la più grande annata di questo leggendario passito romagnolo).

 

 


 

Francesco Falcone

Nato a Gioia del Colle il 6 maggio del 1976, Francesco Falcone è un degustatore, divulgatore e scrittore. Allievo di Sandro Sangiorgi e Alessandro Masnaghetti, è firma indipendente di Winesurf dal 2016. Dopo un biennio di formazione nella ciurma di Porthos, una lunga esperienza piemontese per i tipi di Go Wine (culminata con il libro “Autoctono Si Nasce”) e due anni di stretta collaborazione con Paolo Marchi (Il GiornaleIdentità Golose), ha concentrato per un decennio il suo lavoro di cronista del vino per Enogea (2005-2015). Per otto edizioni è stato tra gli autori della Guida ai Vini d’Italia de l’Espresso (2009-2016). Nel 2017 ha scritto il libro “Centesimino, il territorio, i vini, i vignaioli” (Quinto QuartoEditore). Nell’estate del 2018 ha collaborato alla seconda edizione di Barolo MGA, l’enciclopedia delle grandi vigne del Barolo (Alessandro Masnaghetti Editore). A gennaio 2019, per i tipi di Quinto Quarto, è uscito il suo ultimo libro “Intorno al Vino, diario di un degustatore sentimentale”.  Nel 2020 sarà pubblicato il suo libro di assaggi, articolazioni e riflessioni intorno allo Champagne d’autore. Da sei anni è docente e curatore di un centinaio di laboratori di degustazione indipendenti da nord a sud dell’Italia.


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