Cartolina dall’Aube, Champagne del sud11 min read

Ai cinque piccoli spuzzoli, che adoro.

 

 

Ma prima, per non dimenticare

 

Creste bianche di ghiaccio e rosse di sangue feriscono a morte la pancia del Paese. L’Appennino è la nostra colonna vertebrale, ma così instabile da tenerci tutti quanti in ginocchio: nel dolore, nella rabbia, nell’incapacità di prevedere l’imponderabile. E così, scrivere di vino, in questi giorni drammatici, sembra fuori luogo.

Le nuove scosse di terremoto e una nevicata di portata storica hanno generato l’ennesimo cortocircuito nel desolato Centro Italia, seminando altre vittime e lasciando a noi tutti un senso di impotenza. La strage dell’hotel Rigopiano è una ferita lacerante, definitiva.

Eppure le vite salvate miracolosamente da quegli eroi, chiamati sbrigativamente “soccorritori”, lasciano lampeggiare le mille risorse che possiede questo Paese. Risorse di civiltà che certo non appartengono né ai redattori di Charlie Hebdo, né alle teste di cazzo della politica che strumentalizzano l’apocalisse abruzzese per trarne vantaggi a fini elettorali.

Chissà se un giorno tutto questo finirà, se i nostri connazionali spaesati potranno ricostruire quei luoghi di un’Italia in abbandono, tra macerie e vite perdute. Chissà.

Intanto è bene non dimenticare.

 

 

Una premessa

 

Quello che segue è un pezzo scritto attraverso i ricordi e gli appunti del mio ultimo viaggio a sud della Champagne, nel dipartimento dell’Aube. In origine escluso della Champagne viticola (fino alla celebre rivolta dei viticoltori locali del 1911), fu incluso definitivamente solo a partire dal 1927, conservando tuttavia una modesta considerazione da parte degli operatori della Champagne “storica”.

 

Un bacino a lungo considerato “minore” anche da tanti autorevoli osservatori e ancora oggi utilizzato dai potenti Négociant del dipartimento della Marna solo a fini produttivi, senza una reale valorizzazione del terroir. In definitiva, per i grandi gruppi del nord questa è un’enorme “periferia” di mosti ottenuti da uve pinot noir acquistate a prezzi vantaggiosi rispetto alla Montagne de Reims e alla Vallée de la Marne (nessun comune dell’Aube gode dello status di Premier Cru o Grand Cru, e pertanto le transazioni sono più a buon mercato). 

 

Basterà un semplice dato per comprendere meglio le dinamiche produttive del distretto: dei 970 récoltant-manipulant con sede nella costellazione auboise, meno di un decimo elabora l’intero patrimonio di uve, invece tutti gli altri sono perlopiù conferitori (di uve, di mosti, di bottiglie sur lattes) e solo in seconda battuta produttori di una propria marca di Champagne. Una consuetudine che se da un lato regala certezze all’intera comunità, dall’altro vieta al comparto una reale indipendenza e un definitivo salto di qualità.

 

 

Testi, citazioni e ringraziamenti

 

Non vi darò indicazioni sui vini assaggiati né sui tanti produttori da conoscere (ne accennerò solo in chiusura), le cui notizie potrete raccogliere sia sulle due guide italiane dedicate alla tipologia (Le Migliori 99 Maison di Champagne, Edizioni Estemporanee; Grandi Champagne, Edizioni Trois Cépages), sia sull’autorevole “Prima Antologia” di Possibilia Editore, firmata da Samuel Cogliati e dai redattori di LeRouge&leBlanc.

 

Nella mia “cartolina” troverete invece informazioni sulle peculiarità di un’altra Champagne, dal passato tutt’altro che celebre e dal presente solo in parte esplorato, ma che sta vivendo una fase di reale rinnovamento, grazie a una nuova generazione di vignaioli che non merita di passare sotto silenzio. Per chi vorrà ulteriormente approfondire gli aspetti geografici, turistici, gastronomici e viticoli dell’Aube, c’è anche un sito ben congegnato, disponibile anche in lingua italiana: www.aube-champagne.com/it.

 

Ringrazio infinitamente Thomas Rossi che mi ha accompagnato in questo viaggio novembrino, allietando le grigie giornate con il suo carico di umanità, simpatia e serenità. Thomas è anche un vero esperto di Champagne, collaboratore dei bravissimi Alberto Lupetti e Vania Valentini, animatori dell’attività giornalista e didattica del progetto “Lemiebollicine”. Per ascoltarli “live”, ecco due tappe da non perdere, nella città di Reggio Emilia: il 23 gennaio presso l’Accademia dello Champagne e il 9 febbraio a Albinea Canali, sede della locale delegazione Ais. Per informazioni, scrivete qui: vania.valentini@gmail.com.

 

 

The silence of Champagne

 

Spostando il baricentro dello sguardo dalle alte e rarefatte latitudini della “nobile” Marna verso il basso “operaio” del dipartimento dell’Aube, 150 km verso sud, ci si ritrova affondanti in uno scenario raccolto, quieto, quasi immobile. La Champagne sudista è sfrontatamente orizzontale, nonostante le colline non manchino; come sprofondata nella depressione geografica del bacino parigino, benché le quote altimetriche siano superiori al resto della regione. I luoghi sono monotoni, una monotonia fatta di ordine civile e insieme naturale: borghi puliti ma simili gli uni agli altri, idem per i pur ripidi rilievi collinari, per i vigneti, per le cantine e per il freddo che ti accompagna nella brutta stagione, dalle otto del mattino alle dieci di sera.

 

Arriviamo in Côte des Bar – la zona di gran lunga più vitata dell’intera provincia meridionale –  al crepuscolo di un lunedì di metà novembre, mentre la nebbia si alza così copiosa da non poter nemmeno scorgere i fitti boschi che ricoprono le colline pietrose e vitate: solo la voce sincopata del nostro navigatore ci dice dove diavolo siamo. La D671 è un lungo corridoio che collega Troyes a Bar-sur-Seine, seguendo il corso del fiume: i minuscoli villaggi che attraversa sembrano disabitati, vittime di un coprifuoco imposto non so da chi. Nemmeno una macchina di passaggio, nemmeno una pecora, una mucca, un cane, un gatto, una nutria, nulla. Ci ritroviamo così in uno scenario di silenzi assoluti, grigi, identici di villaggio in villaggio, di campagna in campagna.

 

Un primo sguardo sulla Côte des Bar

 

Chi dunque si aspetta dalla Champagne il paradiso vinoso del glamour e del lusso, troverà in Côte des Bar un purgatorio rosselliniano in bianco e nero: luoghi spogli, paesi fantasma di legno e pietra segnati dalle profonde cicatrici delle guerre, pochi locali frequentati da gente che non ride mai, chiese spesso chiuse e una serpentina ammutolita di fiumi, torrenti e canali: l’Aube, la Senna, l’Arce, la Sarce, l’Ource e alcuni altri di minore portata.

 

In questo inanimato anfibio di colline, acque e pascoli, si coltivano circa 8000 ettari di vigna (poco meno di un quarto dell’intera Champagne viticola): il pinot noir è onnipresente (l’83% del totale, ovvero la metà dell’intera superficie della regione, un’enormità), affiancato da 900 ettari di chardonnay, spiccioli di pinot blanc (qui chiamato anche “blanc vrai”) e tracce di arbanne, pinot meunier, petit meslier e fromentau (biotipo locale di pinot grigio). È invece ormai scomparso il gamay, che fino ai primi del ‘900 dominava in tutta l’area. 

 

Rispetto al cuore produttivo della Marna, nell’Aube il vigneto sembra essere più sparso, frammentato, talvolta perfino episodico, salvo intensificarsi in modo repentino nei comuni a più alta vocazione enoviticola, tutti posti intorno a Bar-sur-Seine, nella frazione più a sud del distretto, chiamata localmente Bar-Séquainnais (ovvero “della Senna”): Buxeuil, Buxières-sur-Arce, Ville-sur-Arce, Celles-sur-Arce, Essoyes, Polisot, Polisy, Courteron e Les Riceys, che addirittura risulta essere il comune più vitato dell’intera Champagne (866 ettari).

 

La porzione nordorientale della Côte des Bar orbita invece attorno al paese di Bar-sur-Aube: meno coltivata a vigna (a favore di una maggiore produzione cerealicola), meno ricca di corsi d’acqua e meno caratterizzata dalla presenza di récoltant, che qui cedono il passo a qualche Négoce (Drappier è la Maison ammiraglia della zona) e a tante cantine sociali. Cooperative che svolgono sia un ruolo di servizio (a favore dei négociant e dei récoltant-coopérateur), sia una vera e propria attività commerciale, vendendo Champagne con il proprio marchio (spesso attraverso l’Unione Auboise, la realtà più imponente, che raggruppa più enopoli).

 

Essenza del Terroir

 

Il clima è essenzialmente continentale, in virtù di minori influenze oceaniche rispetto al nord della regione: le temperature annuali sono mediamente più miti rispetto alla Marna, in compenso le gelate primaverili possono essere devastanti, piove di più e per diretta conseguenza c’è maggiore umidità. La minaccia più gravosa per i vigneti è pertanto la peronospora: in tal senso, la vendemmia del 2016 è stata molto complicata da gestire.

 

Il delta altimetrico oscilla tra 180 e 250 metri di quota e ovunque prevalgono terreni argillo-calcarei, la cui formazione risale al periodo Giurassico Superiore (circa 150 milioni di anni fa). Si alternano piani geologici del Portlandiano (presenti soprattutto alla sommità dei rilievi collinari) e del Kimmeridgiano, che invece insistono lungo i declivi, di solito parecchio scoscesi: in quest’ultimo caso i suoli sono pressoché identici ai migliori Cru di Chablis (che da qui dista poco più di mezz’ora d’auto) e alla gloriosa sponda settentrionale della frazione di Chavignol, a Sancerre.

 

Le radici affondano su sedimenti marnosi, con tracce evidenti di accumuli di minuscoli fossili marini cementati in una poltiglia bianca e friabile chiamata “griotte”: condizioni che alimentano vini di apertura aromatica “bianca” e graduale (benché si tratti quasi sempre di Blanc de Noirs), solidi nella disposizione gustativa, ficcanti nell’acidità e perentori nell’allungo, proprio come i buoni Chablis Premier Cru e Grand Cru o come i rari Sancerre dei “Monts Damnés”: vini più minerali che non organici, di profonda salinità.

 

Le giaciture dei vigneti, esclusivamente collinari e come detto caratterizzati da pendenze notevoli, lasciano sguarniti i fondovalle (che invece vengono sovente vitati nel dipartimento della Marna). Il sistema di allevamento di gran lunga più diffuso è il Guyot semplice, ma la potature delle vecchie viti di pinot noir è spesso a Cordon de Royat (cordone speronato). La densità degli impianti si attesta intorno agli 8000/10000 ceppi/ettaro, la raccolta del pinot noir inizia intorno a metà settembre, una settimana dopo tocca allo chardonnay.

 

Si dirà: se le condizioni pedologiche sono simili a Chablis, perché si coltiva principalmente pinot noir? Le ragioni sono almeno due. La prima: in Côte des Bar hanno sempre avuto un peso determinante le esigenze produttive delle grandi Maison della Marna, che qui possono contare su un grande bacino di pinot noir relativamente a buon mercato. La seconda: lo chardonnay matura come detto un po’ più tardi del pinot noir e soffre maggiormente le gelate, perché germoglia prima e perché solitamente fatica a ripartire dopo una brutta botta di freddo.

 

Un paio di eccezioni

 

In verità l’Aube viticola non si limita al settore della Côte des Bar: 200 ettari sono infatti coltivati nella sottozona di Montgueux (a ovest di Troyes) e 100 ettari in un lacerto vitato posto a cavallo tra Sézanne e Villenauxe-la-Grande. Zone marginali dal punto di vista strettamente numerico (meno del 4% dell’intera produzione auboise) ma peculiari sotto il profilo geologico ed enologico, in quanto eccezionali rispetto al contesto provinciale: qui le marne si sbrogliano nel caldo gesso del Turoniano e del Senoniano (non molto differente da quello della Marna), facendo prevalere la coltivazione dell’uva chardonnay, da cui si ottengono basi esplicite tanto nei profumi che nella cilindrata acida.

 

Qualche indirizzo utile

 

Nel labirinto di vignaioli visitati e “raccontati” in numerose occasioni, durante la mia carriera, mi fa piacere ricordare gli artigiani che da qualche stagione hanno intrapreso un percorso produttivo e stilistico orientato senza compromessi alla produzione di Champagne di terroir, attraverso una viticoltura di matrice naturale e un’enologia “dolce”, pulita.

 

Champagne che spesso nulla hanno da invidiare alle più celebri cuvée prodotte nella Marna: i vini del visionario Bertrand Gautherot (Vouette & Sorbée) e quelli della famiglia Fleury di Courteron (autentici pionieri del “Bio”) sono in tal senso emblematici della nouvelle vague auboise. Tra i vignaioli da non perdere anche Cédric Bouchard e Marie Courtin, Charles Dufour (Robert Dufour et fils) e Jacques Lassaigne, Aurelien Gerbais (Pierre Gerbais) e Valèrie Frison (Val Frison). Infine qualche outsider: Olivier Horiot di Les Riceys, Serge Mathieu di Avirey-Lingeyee e Cédric Massin (Remy Massin) di Ville-sur-Arce.

Francesco Falcone

Nato a Gioia del Colle il 6 maggio del 1976, Francesco Falcone è un degustatore, divulgatore e scrittore. Allievo di Sandro Sangiorgi e Alessandro Masnaghetti, è firma indipendente di Winesurf dal 2016. Dopo un biennio di formazione nella ciurma di Porthos, una lunga esperienza piemontese per i tipi di Go Wine (culminata con il libro “Autoctono Si Nasce”) e due anni di stretta collaborazione con Paolo Marchi (Il GiornaleIdentità Golose), ha concentrato per un decennio il suo lavoro di cronista del vino per Enogea (2005-2015). Per otto edizioni è stato tra gli autori della Guida ai Vini d’Italia de l’Espresso (2009-2016). Nel 2017 ha scritto il libro “Centesimino, il territorio, i vini, i vignaioli” (Quinto QuartoEditore). Nell’estate del 2018 ha collaborato alla seconda edizione di Barolo MGA, l’enciclopedia delle grandi vigne del Barolo (Alessandro Masnaghetti Editore). A gennaio 2019, per i tipi di Quinto Quarto, è uscito il suo ultimo libro “Intorno al Vino, diario di un degustatore sentimentale”.  Nel 2020 sarà pubblicato il suo libro di assaggi, articolazioni e riflessioni intorno allo Champagne d’autore. Da sei anni è docente e curatore di un centinaio di laboratori di degustazione indipendenti da nord a sud dell’Italia.


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