Marco Pallanti e le tempeste sul vino italiano.9 min read

Marco Pallanti, presidente del Consorzio del Chianti Classico, è stato intervistato durante il Vinitaly, il giorno dopo l’importante precisazione del Ministero della Sanità e dell’Agricoltura (04/04/08) su quanto uscito sui giornali italiani dopo la famosa inchiesta dell’Espresso. Un momento per il vino italiano sicuramente molto “tempestoso”. 

Winesurf
Ieri pomeriggio io e te ci siamo ritrovati in un momento particolare. Quello in cui il ministro De Castro ha comunicato al presidente di FederDoc che, pur rimanendo il reato di sofisticazione, in quei famosi 70 milioni di litri di vino “all’acido muriatico” non si erano trovate tracce ne di quest’acido ne di altri pericolosi per la salute. Quindi restava il reato ma la salute degli italiani era salva. Cosa hai pensato a caldo.

Pallanti
La cosa più divertente è stato leggere non tanto il comunicato del ministro, quanto le facce dei giornalisti presenti, che erano tra lo stupefatto e l’incredulo, perché era veramente una situazione al limite della commedia. Non si può sparare una notizia di questa gravità e poi smentirla o farsela smentire poco dopo. Ho provato anche tristezza, perché notizia e contro notizia accresce la sfiducia del consumatore. Io non sono convinto che il consumatore abbia capito quello che è successo. Temo che pensi si sia voluto insabbiare la cosa. Perché una notizia così grave non si può dare senza basi ed il fatto che si smentisca il giorno dopo sa tanto di voler nascondere il tutto.

W
Oggi (sabato5 aprile) Carlin Petrini su repubblica dice quasi la stessa cosa. Ha paura che mano a mano la notizia si allontani dal suo centro, perda la voglia di essere approfondita e così arrivi solo il messaggio  che parla di frode, sofisticazione, tarocchi etc. Tu, oggi, dopo “aver passato la nottata”
cosa pensi e come la vedi

P.
A freddo purtroppo vedo solo frodi schifose, perché si può produrre vino con 1/5 di mosto ed il resto d’acqua. Da una parte una cosa del genere forse potrebbe avvantaggiare i vini di qualità e di prezzo un po’ più alto: si dovrebbe far arrivare al consumatore il messaggio che i vini a bassissimo costo sono un po’ a rischio; non tutti ma qualcuno (come sembra venir fuori dall’inchiesta. n.d.r.) può esserlo.

W.
Ma come si può fare il vino nel modo riportato dai giornali.

P.
E’ molto semplice. Anche se credo che, da come era stata messa la notizia, sembrava di essere di fronte più che ad un sofisticatore ad un lobotomizzato, perché non si può pensare di fare il vino con “diserbanti” ed “acido muriatico”. Ecco quello che si può realmente fare: se tu prendi del mosto e lo allunghi con acqua ti prepari una base molto diluita per far diventare questo mosto vino. Ma il vino ha pH 3 mentre l’acqua è neutra e quindi con pH 7. Quindi alzi molto il pH globale della miscela; a quel punto per riportarlo a 3 hai bisogno di aggiungere acidi, anche molto forti, perché se aggiungi acido citrico o tartarico dovresti metterne tonnellate. Allora usi poche gocce di cloridrico (alias muriatico) o di solforico. A questo punto hai creato una base per i tuoi lieviti ma non ci sono elementi di nutrizione per gli stessi e quindi devi metterci sostanze tipo sali di ammonio, quelli che nell’articolo dell’Espresso chiamavano concimi, utili appunto per nutrire i lieviti. Visto però che lo zucchero del mosto è poco, dato che lo hai allungato con l’acqua, aggiungi anche del normale zucchero bianco e così lo puoi far fermentare ed ottenere qualcosa che ho dei dubbi a definire vino.
Però attenti: aggiunta di acqua, di zucchero, di acidi forti (cloridrico, solforico) è vietata in Italia ma permessa ed  ammessa in tanti altri stati, anche della Comunità Europea. In Francia puoi aggiungere zucchero. Acqua e acidi puoi usarli in Australia.  Quindi diventano fuorilegge quando si utilizzano nei nostri confini. Questo tipo di adulterazione lo è solo per il governo italiano.

W.
Ma, alla fine dei salmi, invece di ma non sarebbe meglio comprare vino a basso costo, come si può fare in alcune regioni italiane?

P.
Io credo proprio di si, ma non ho fatto i conti precisi. Comunque avresti a che fare con uva. Anche se, da un altro punto di vista i quantitativi “prodotti” sono alti e quindi i risparmi forse ci possono essere. Pensa che 70 milioni di litri sono due volte e mezzo l’intera produzione annua del Chianti Classico. A noi ci vorrebbero quasi tre anni per fare quella massa di prodotto, mentre loro lo fanno espresso.

W.
E’ un lapsus freudiano quello di aver usato la parola “Espresso”, o cosa?

P.
(ride).

W.
Siamo comunque davanti ad una frode, non nociva alla salute per fortuna, ma frode, anche grave. Alla luce di quanto è successo non credi che sarebbe giusto, almeno per i vini di qualità riportare in etichetta le eventuali sostanze usate nella produzione?

P.
Si, questo potrebbe essere utile, ma il rischio è quello di non capire niente di quanto ci viene scritto. Se io leggo le mie analisi del sangue, per capirci qualcosa devo andare dal medico, altrimenti sono solo sigle e numeri. Ecco perché si ritorna alla fiducia nelle denominazioni e nei consorzi.

W.
Diversi giornalisti sostengono, a mo’ di battuta, che “Una DOC o una DOCG possono garantire tutto fuori che la qualità del vino”. Da quanto si può intuire da “Brunellopoli” sembra che DOC o DOCG garantiscano invece la qualità ma non la provenienza o la composizione secondo disciplinare.

P.
Intanto voglio premettere che adesso mi stai parlando di una storia completamente diversa, che non ha nulla a che vedere con la precedente.
La DOC serve per dire : questo vino viene da lì, ma all’interno del territorio ci possono essere vini  buoni e cattivi. I controlli della DOCG certificano in primo luogo che un certo vino sia nato in quel posto, in secondo luogo, secondo le regole dei disciplinari di produzione. I disciplinari non sono altro che dei regolamenti scritti lavorando sulle tradizioni del posto. Trasportare quello che era consuetudine del luogo in una regola. Nel disciplinare del Brunello una cosa mai modificata è la composizione varietale. Secondo me la tipicità di un vino deriva da due cose: la composizione varietale, ed il luogo dove l’uva è coltivata. Il Sangiovese di Montalcino è diverso da quello del Chianti o di un’altra zona. Detto questo, ad un certo punto il mercato ha cominciato a chiedere vini, più rotondi, colorati e morbidi. Questo di può fare anche con il Sangiovese 100% ma forse non in tutte le zone ed in tutte le annate. Quello di cui alcuni produttori sono accusati, è di aver piantato altre varietà che sembra poi siano entrate nella composizione del Brunello. E’ successo inoltre  che questo vino è stato apprezzato……..

W.
Quando dici “questo vino” ti riferisci al Brunello in generale o solo a quelli più morbidi…

P.
Mi riferisco in generale al Brunello e questa tipologia più rotonda è stata quella più apprezzata. Noi in Chianti, come a Montalcino, abbiamo sempre la regola e la legge che un grande  Chianti Classico si fa solo col Sangiovese. Però abbiamo la possibilità negli anni meno buoni di usare anche altre uve, ma sempre per fare un vino di territorio. Comunque se e come cambiare il disciplinare dovranno deciderlo solo  i produttori di Montalcino. Inoltre non trovo il tutto una cosa così scandalosa, se non la vediamo in maniera un po’ troppo integralista. Questo non dovrei dirlo davanti ad uno che fa il tuo lavoro, ma i giornalisti sono gli stessi di venti anni fa, quelli che  si eccitavano davanti ad un Cabernet-Merlot ed oggi lo fanno davanti ad un autoctono. Secondo me la realtà non è ne di qua ne di là

W.
L’importante è comunque che ci si ecciti……..

P.
A parte gli scherzi….. sei d’accordo con me che quelli che spingevano l’ultimo Merlot che nasceva oggi vogliono il Fogliatonda  più che il Pugnitello o altro. Purtroppo chi è in zone storiche come noi o Montalcino non può fare niente di nuovo, ma riproporre meglio quello che fa da anni, affermarsi proponendo un prodotto che, in definiva, è sempre lo stesso.

W.
Quando si assaggiano, come facciamo noi giornalisti, tanti  monovitigno tutti assieme, riesci se non altro a crearti dei parametri chiari . Ora, da diversi anni, assaggiando i 130-140 Brunello in commercio succede che ti trovi con 15-20 vini che, rispetto all’identità generale, sono diversi. Noi giornalisti abbiamo solo il palato per dirlo e non possiamo dimostrare niente, ma quelli che Marone Cinzano definisce rumors, non è che esistono da tre mesi, ma da anni. Tu dici giustamente che non sempre il Sangiovese viene bene. Ma il problema non è usarlo per un’ annata storta, ma far diventare questa eccezione una regola.

P.
Farlo diventare “uno stile”; ho capito quello che vuoi dire.

W.
Ma se lo faccio diventare uno stile dovrei anche avere il coraggio di uscire da quel disciplinare che non me lo permette. Io credo che questa sia la cosa grave: far divenire un qualcosa nato per caso, o per provare o per sopperire ad un’annata storta “Lo stile” con la S maiuscola.

P.
Su questo sono d’accordo con te. Hai detto una cosa interessante. Se questa è una cosa che accade da qualche anno vuol dire anche che i consorzi, che oggi hanno in mano i controlli, funzionano, perché fino ad ieri non era stato trovato niente.

W.
Ribadendo il concetto che siamo su due problemi completamente diversi, a questo punto ti chiedo di dare voti alla filiera: produttori, organi preposti al controllo, giornalisti, politici e magistrati. Come escono queste categorie dopo i giorni di Vinitaly?

P
Chi ne esce peggio di tutti sono i giornali che hanno gonfiato a dismisura entrambe le notizie non per dare informazione ma per vendere i giornali. Chi ne esce meglio sono i controlli, che hanno funzionato. I produttori di Montalcino non ne escono malissimo, perché sono stati trovati degli ettari non conformi ma ancora è da dimostrare che quelle uve siano andate nel Brunello.
I giudici hanno fatto il lavoro di ricerca forse senza delle competenze specifiche del vino, trovando degli acidi o dei sali di ammonio gli ha fatto pensare a concimi, quando invece la cosa era diversa.
I politici  ne uscirebbero benissimo se si mettessero parte in causa nei confronti dei gruppi che fanno uscire articoli come questi che nocciono a tutti. Ci dovrebbe essere una difesa dei produttori da parte dei politici e purtroppo non capisco bene perché questo non venga fatto.

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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