Clos Floridène, Graves rouge 20112 min read

Non è stata una grande vendemmia, a Bordeaux, quella del 2011, ma nelle Graves ha dato risultati migliori di quelli del Médoc e del Libournais: dei bianchi vivi , eleganti e aromatici, e dei rossi flatteurs, meglio di 2012, 2013 e in molti casi  anche 2014.

 

E’ il caso di questo Clos Floridène, il vino dell’azienda del compianto Denis Dubourdieu, “le pape des blancs”, come era chiamato a Bordeaux.

Un Graves rouge di grande equilibrio, delicato e non privo di eleganza: un vino di grande piacevolezza, floreale, con una speziatura molto fine e non invadente, morbido e fruttato.

 

15 gli ettari dedicati alle varietà a bacca rossa , per due terzi  Cabernet Sauvignon e il restante terzo Merlot, 23 gli ettari riservati ai bianchi dell’azienda, bianchi nervosi ed eleganti, adatti a un buon invecchiamento, principalmente Sémillon (56%), poi Sauvignon blanc e un tocco di Muscadelle, secondo tradizione.

 

Nel vino del 2011 il Cabernet, un Cabernet fortemente “calcaire”, contribuisce per il 72% al blend, insieme a un 28% di Merlot: molto balsamico, al naso offre cassis, fragole di bosco, menta, soffi affumicati, con tannini ben temperati.

Un bel vino, di grande piacevolezza, fresco e armonico, pronto per un consumo immediato,ma  che può essere conservato, in condizioni idonee, senza preoccupazione,per altri 3-5 anni.

 

Viene da un suolo che Dubourdieu  definiva molto simile a quello di Barsac, nel quale un letto di sabbie argillose ricche di ossido diferro  ricopre il sottosuolo calcareo.

Un Bordeaux di grande accessibilità, anche per il prezzo (una quindicina di euro in Francia, forse 26-28 nelle enoteche italiane), che sta a testimoniare , al di là delle perduranti chiacchiere sul Bordeaux bashing, una grande tradizione e una perfezione stilistica difficile da trovare altrove.

 

In Italia è importato da Sarzi-Amadé.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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