Il sangiovese in Chianti Classico sta veramente soppiantando tutte le altre uve?3 min read

Durante i nostri assaggi chiantigiani ci è venuta voglia di cercare di capire a che punto sia, dopo l’ingresso della Gran Selezione, la “sangiovesizzazione” del Chianti Classico: in altre parole se effettivamente si stia puntando nettamente verso il monovitigno o se le cose stiano diversamente.

 

Noi chiediamo sempre a tutti i produttori di dirci le uve usate nei loro vini e quindi, schede alla mano, abbiamo diviso i vini in tre categorie : quelli da sangiovese in purezza, quelli con sangiovese e uve non autoctone, quelli con sangiovese e uve autoctone.

 

Il nostro lavoro, svolto su oltre 220 vini chiantigiani DOCG, Chianti Classico, Riserva e Gran Selezione, ci ha portato a questo piccolo grafico, dove si vede quanti siano percentualmente i sangiovese in purezza tra i chianti classico d’annata, tra le riserve e tra le gran selezioni. La stessa cosa per le altre due categorie.

Ci scusiamo se diamo una forbice percentuale, ma alcune cantine non hanno riportato le uve nella scheda o, più semplicemente, si sono scordate di inviarci i dati.

 

 

 

Chianti Classico annata

Chianti Classico Riserva

     Gran Selezione

Sangiovese in purezza

            36-38%

             42-43%

            70-74%

Sangiovese+autoctoni

            34-36%

             26-28%

            10-15%

Sangiovese+ alloctoni

            28-30%

             30-32%

            10-15%

 

 

In soldoni le altre uve autoctone o non autoctone vengono utilizzate (come dice il disciplinare, cioè al massimo per un 20%) soprattutto nei vini base e un po’ meno nelle riserve,  mentre salendo alla Gran Selezione  il sangiovese diventa praticamente  quella adoperata nella stragrande maggioranza dei casi. Questi dati possono portare a molteplici letture, noi ci focalizzeremo su una.

 

Tra i chianti classico annata i vini non sangiovese in purezza arrivano attorno al 70% della produzione (al 60% nelle riserve), mentre nella Gran Selezione è il sangiovese ha raggiungere e superare il 70%.

Questo può voler dire per il “Grande vino” si punta oramai praticamente sul sangiovese, ma può anche significare che,  visti gli scarti percentuali non indifferenti anche rispetto alle riserve, la gran selezione sia “un’isola produttivo-mediatica”, una specie di laboratorio dove sperimentare le possibilità del sangiovese in purezza chiantigiano di presentarsi  come grande vino.

 

Abbiamo  aggiunto la parola “mediatica” perché i numeri, i milioni di bottiglie, si fanno in gran parte anche con le altre uve, autoctone o meno. Quindi il sangiovese è il traino (anche mediatico, appunto) ma gli altri vitigni sono ben presenti e  giocano un ruolo ancora fondamentale nelle due tipologie storiche del Chianti Classico.

All’opposto,  la loro mancanza quasi totale tra le gran selezioni può anche essere vista come la prova provata che questa tipologia è stata calata dall’alto e, almeno per ora non rappresenta il dettato chiantigiano ma solo un modo per traslare un supertuscan all’interno della DOCG.

 

Se da una parte speriamo, viste le caratteristiche uniche che danno al chianti classico, che le autoctone continuino ad esserci e a crescere, è interessante sottolineare come tra le alloctone il  merlot sia diventato il più usato, mentre il cabernet sauvignon tenda a scomparire dagli uvaggi chiantigiani.

 

Insomma, la realtà chiantigiana  viene mostrata “sangiovese al 100%”, ma alla prova dei fatti senza le altre uve, quelle che reggono i sangiovese  più claudicanti e magari danno ottimi risultati anche in vini importanti,la DOCG Chianti Classico sarebbe molto diversa.

Meglio o peggio? Parliamone!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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