Pinot Nero in Alto Adige: buoni ma è questa la strada?3 min read

C’erano una volta i pinot nero altoatesini di nobile freschezza e grande bevibilità: oggi sembrano spariti!

 

Tranquilli, non sono svaniti nel nulla ma solo sostituiti da importanti pinot nero dall’arrembante struttura nobilitata dal legno, talvolta con sentori che puntano anche su note di…cappuccino.

Sono sempre buoni vini, ma permettetemi di ricordare e di provare un po’ di nostalgia per quei bei pinot nero dove il frutto non era irreggimentato e impastoiato in ottimi legni.

 

Ogni produttore è libero di fare le scelte che ritiene più opportune e sembra che in Alto Adige si punti, quasi coralmente, a dei pinot nero più importanti e duraturi, che lascino da parte smanie giovaniliste di leggiadria e spensieratezza per puntare in maniera forse troppo teutonica verso il “grande” pinot nero, quello borgognone, quello “serio”, quello da ricordare negli anni.

 

Un carissimo amico produttore altoatesino lo dice chiaramente “Voglio puntare a produrre il più grande pinot nero d’Italia e poi, già che ci siamo, del mondo.” In questa visione c’è poco spazio per vini freschi e semplici.

Per questo non ci siamo meravigliati quando assaggiandoli, come regolarmente facciamo, abbiamo trovato i pinot nero altoatesini sicuramente buoni, ma forse un po’ noiosi e ripetitivi. Quello che probabilmente manca per farli grandi e diversi non credo sia la bravura del produttore ma quello che potremmo definire con la iperabusata parola “terroir”. Forse incorrerò in ire minori se aggiungo che rispetto alla Borgogna mancano gli anni, quelli che riescono a creare un grande vigneto a far conoscere veramente al produttore le potenzialità di quel vitigno in quel terreno.

 

Sicuramente tra 20-30 anni i pinot nero altoatesini (che sono comunque globalmente il fiore all’occhiello di questo vitigno in Italia) avranno grande complessità assieme a soavità, ma per adesso diversi riescono solo a mostrare muscoli e legno, con risultati non certo negativi, ma che non ti fanno perdere la testa.

 

Sono vini ottimi ma molto cerebrali, che forse avrebbero bisogno di essere più lasciati andare, liberi di esprimersi senza le regole che adesso sembrano, chi più chi meno, impastoiarli in nome di un ideale che si chiama “grande pinot nero” e che invece rischia di portare verso un “grosso pinot nero”.

 

Mi sono permesso questo sfogo perché amo sia questo vitigno sia l’Alto Adige e mi sembrava giusto mettere in guardia tanti amici da una strada che forse non è l’unica percorribile.

 

Detto questo i nostri assaggi non sono certo andati male, e ciò depone a favore delle grandi potenzialità del pinot nero in Alto Adige: abbiamo degustato vini delle ultime quattro annate in commercio, trovando buoni o ottimi prodotti in ognuna di esse, riscontrando così una qualità media di alto livello che rassicura quasi a 360° i molti amanti di questi vini.

Però il dubbio che questa sia la strada giusta giusta, rimane.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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