Quanto è bello, discutendo, gustare pas dosè!5 min read

Una degustazione molto interessante e con tanti spunti di confronto quella che le cantine Menegotti ha organizzato sabato 8 ottobre nella bellissima sede a Villafranca.

Al centro di tutto 12 dodici metodo classico pas dosè italiani, provenienti dal nord e dal sud della penisola e tra cui c’era, naturalmente, il vino di casa.

 

12 vini di ottimo livello (troverete l’elenco in basso) che hanno permesso ai molti appassionati invitati  di approfondire veramente il “momento pas dosè” che sta vivendo la bollicina italiana. Ma andiamo con ordine.

 

Per prima cosa sono abbastanza convinto che se la stessa degustazione fosse stata organizzata con dei brut millesimati non avrebbe avuto lo stesso successo di pubblico. Credo infatti che, almeno nel mondo degli appassionati, le parole “pas dosè” abbiano adesso un appeal tangibile e che la tipologia venga immedesimata sempre di più con l’altissima qualità.

Non per niente in tutte le zone italiane dove si produce  metodo classico, stanno aumentano a vista d’occhio i dosaggio zero e anche nel Prosecco Superiore diverse cantine stanno puntando a produrre una glera senza zuccheri residui.

 

Questo fenomeno è abbastanza strano e andrebbe studiato per più motivi. Il primo è che pare, almeno per adesso, ristretto quasi al solo mercato italiano e limitato all’alta gamma, mentre il resto del mondo che beve vino (con o senza bollicine) sembra invece puntare abbastanza decisamente verso qualcosa  di sempre più dolce.

 

Che i pas dosè rappresentino una nicchia snob, un’enclave di resistenza al dolce appiattimento che avanza?  Non posso certo dire se sia vero o no,  ma non mi vergognerei assolutamente di farne parte perché, come è emerso dall’assaggio, si tratta di vini che fanno godere non solo nell’essere bevuti, ma anche nell’essere ragionati, discussi, vagliati.

 

A questo punto spieghiamo come era organizzato l’assaggio: 3 batterie di 4 vini, tutti bendati. Questi erano discussi in maniera abbastanza irriverente e provocatoria da Giampaolo Giacobbo, Costantino Gabardi e NIcola Bonera, naturalmente con molti interventi da parte dei partecipanti all’assaggio.

 

Di ogni batteria  ogni tavolo doveva decretare un vincitore e alla fine i tre migliori  si sono confrontati in una finale dove il vincitore è stato… il pas dosè. Infatti non serve sapere il migliore di questo bel gioco ma cosa è uscito fuori dal confronto e dall’assaggio.

 

Per prima cosa che il pas dosè “digerisce” il legno ma forse si esprime meglio senza. Questo non l’ho detto io ma è uscito fuori dalle valutazione dei vini. del resto se un pas dosè deve rappresentare l’ottima uva di un territorio o addirittura un determinato vigneto  forse è meglio se viene vinificato nella maniera più “neutra” possibile, cercando di far sviluppare al meglio gli aromi del vitigno in quel particolare terroir.

 

A proposito di vitigno: un’altra cosa venuta fuori è che le grandi uve internazionali sono ancora su un altro livello, ma alcuni vitigni autoctoni hanno tutte le carte in regola per confrontarsi alla pari.

Uno su tutti, che mi aveva sorpreso già da qualche tempo, è la corvina. Il pas dosè di Menegotti (insieme a qualche altro nato nella zona di Custoza) è l’esempio che questo vitigno non solo è estremamente versatile, ma riesce ad avere sviluppi di complessità al naso e profondità al palato anche sotto forma di bollicina che non ti aspetti.  Mi sento di metterla tra le grandi uve italiane per produrre eccezionali metodo classico.

 

Ma torniamo ai pas dosè: mi piace vederli come ottimi (in alcuni casi grandi) vini fermi  “prestati” al mondo delle bollicine. Sono anche vini straordinariamente sinceri perché non hanno il paracadute della liqueur che li salvi da possibile difetti o errori di vinificazione. Rappresentano nel bene (e qualche volta, purtroppo,  anche nel male) la voce del vigneto e del produttore, che ti arriva al palato e all’orecchio senza alcun impianto di amplificazione. Può essere esile o roboante, metallica o armonica, ma sempre vera.

Quindi se c’è stato un aumento, anche e soprattutto qualitativo, di questi vini può essere che dipenda da un miglioramento/invecchiamento del parco vitato dedito a bollicine e da una mano più sicura, meno imbarazzata da dubbi giovanili, nella gestione del prodotto in cantina?

Lo spero vivamente, perché se fosse vero in futuro non potremo che bere meglio.

 

Allora ci possiamo aspettare sempre più pas dosé? Su questo ci andrei cauto perché quello che per noi appassionati sembra una certezza, se si vanno a prendere i numeri si scopre essere veramente  un mercato di nicchia; tale credo rimarrà anche in futuro ma in questa fresca  e convincente nicchia ci si potranno togliere tante soddisfazioni.

 

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Eccovi i vini degustati  sabato 8 ottobre, voi quale avreste premiato?

 

1^ batteria

Opera Val di Cembra 2009, Brut Nature, (100% ch, 400-500 mt  slm, 40 mesi sui lieviti)

Monsupello Brut Nature s.a.  (90% pn, 5% ch acciaio, 5% ch legno, 150 mt slm 56 mesi sui lieviti)

Bellavista Pas Operè 2009 (65% ch 35% pn, 100-250 slm, 72 mesi sui lieviti)

Stocker Brut Nature 2011 (Sauv 33% Ch 33%, PB 33%, 500 mt slm  36 mesi sui lieviti)

 

 

2^ batteria

Menegotti 2008 Pas Dosè (Corvina 100%, 200 mt slm , 60 mesi sui lieviti)

Augusto Primo Mattia Filippi 2011 Brut Nature (100% ch, 580 mt slm, 40 mesi sui lieviti)

Ca’ del Bosco 2011 Dosage Zero (65% ch, 13% pb, 22% pn, 150 mt slm, 36 mesi sui lieviti)

Haderburg Pas Dosè 2010 (85% ch, 15% pn, 330-350 mt slm, 36 mesi sui lieviti)

 

 

3^ batteria

D’Araprì Pas Dosè s.a. (Bombino, pn, 100 mt slm, 30 mesi sui lieviti)

Quadra Franciacorta Eretiq 2011 Dosage Zero (pb 50%, pn 50%, 180 – 230 mt slm, 38 mesi sui lieviti)

Luretta Principessa Pas Dosè 2011 (Ch 100%, 200 mt slm, 18 mesi sui lieviti)

Contadi Castaldi 2005 Dosage Zero (Ch 50% PN 50%, 200 mt slm, 36 mesi sui lieviti)

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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