Santorini o SantorVini? Viaggio in un’isola dai vini incredibili!4 min read

Ci sono molte e ottime ragioni per visitare Santorini, il vino non è certo l’ultima e chi legge queste righe non avrà modo di annoiarsi sulla più meridionale delle isole del Mar Egeo.

 

Innanzitutto è difficile trovare un terreno più vulcanico di questo, dato che le eruzioni si sono succedute per millenni, sconvolgendo l’isola e cambiandone di volta in volta la fisonomia.

 

Un po’ di calcare affiora solo intorno al monte Profitis Ilias, come mi hanno spiegato all’azienda Argyros che non sta troppo lontano: un residuo precedente alle eruzioni.

 

Santorini è di fatto un deserto, un deserto spettacolare. Nei vigneti si cammina su un leggero pietrisco lavico alternato a sabbia, rischiando di inciampare nelle viti allevate rasoterra in forma di anello, chiamato kouloura (il "canestro").

 

 È il vento implacabile che obbliga a questa forma d’allevamento estrema, e alla fatica che ne consegue. La poca umidità arriva tutta dall’aria marina e si condensa a terra, più che altro nottetempo.

 

Le rese sono basse per forza maggiore, anzi per molti vigneti il concetto stesso di resa perde senso dal momento che non esiste nemmeno un vero e proprio sesto d’impianto. Molto orientativamente, siamo intorno ai 40 quintali.

 

Nei vigneti tradizionali, che sono la grande maggioranza, risulta addirittura difficile calcolare quante viti stiano su un ettaro.

Si possono notare ricorrenti segni bianchi lasciati dai viticoltori sulle pietre: mi hanno spiegato che servono a indicare a chi lavora il percorso fatto o da fare, in mancanza di un qualsivoglia filare.

Altro punto d’interesse, e non da meno: i vitigni sono una manciata di autoctoni. E autoctono + suolo povero + isolamento = piede franco dappertutto.   

 

Visitando Santorini poco dopo la scorsa Pasqua mi sono lasciato stregare dal fascino di tutto questo insieme, con un ulteriore conforto: chi mi ha accolto nelle aziende era gentile, sapeva quello che diceva e lo diceva in un inglese comprensibile.

Aspetti meno entusiasmanti non sono mancati, come l’immediata scoperta che i vini isolani costano quanto i nostri nonostante la crisi nera che tutta la Grecia lamenta.

 

Ma se la convenienza non esiste, la qualità abbonda. Si viene qua per l’Assyrtiko, eccellente varietà bianca che tende di brutto al minerale anche se la banale correlazione con il suolo non è così scontata. Intanto perché altre uve bianche locali fra cui la popolare Aidani o l’Athiri danno vini sul classico fruttato-floreale; e poi, a controprova, perché i pochi vini da Assyrtiko prodotti altrove che ho assaggiato erano indubbiamente buoni ma minerali mica tanto.

 

Qui a Santorini si trova spesso anche il ricordo di agrumi, in un corpo pieno eppure teso da buona freschezza sapida, mentre la persistenza non delude mai. L’alcol è sostenuto ma non troppo: si vendemmia in agosto e piuttosto all’inizio che alla fine.

 

Immancabilmente viene giocata qua e là la carta del legno: molte aziende gli dedicano un’etichetta particolare, mentre la prassi più comune sta in una fermentazione in acciaio seguita magari da qualche mese in botti di cui non si sente il bisogno di comunicare i dettagli.

 

Neanche la variante "Nykteri", ovvero "il vino della notte", pur prevista dal disciplinare, è così univoca nelle interpretazioni. La specialità era legata tradizionalmente alla vinificazione notturna, da intendere come immediata dopo la raccolta diurna, giorno dopo giorno. Oggi con Nykteri si vuole indicare comunque un’eccellenza, ma si tratta piuttosto di una vendemmia tardiva (tardiva appena un po’, non aspettatevi troppa morbidezza). In ogni caso quanto viene venduto con la denominazione Santorini, stabilita nel ’71, può contenere anche un po’ di altre uve bianche locali, ma alla fine le etichette più interessanti dichiarano Assyrtiko 100%.

 

Diversi altri vitigni autoctoni isolani, invece, vanno in bottiglia come igp Cicladi. E’ il caso del Mavrotragano, un rosso quasi estinto intorno al cambio di millennio ma ben presente un secolo fa, allora destinato a produrre un vino dolce. Tuttora la produzione è molto limitata, tanto che Slow Food lo considera un prodotto da Arca del Gusto (insieme alla fava di Santorini che è una piccola gustosa cicerchia gialla non difficile da trovare nei ristoranti). Il Mavrotragano è tannico e scontroso, e il vino sembra vocato a invecchiamenti lunghi tanto che il Nebbiolo viene spesso nominato a riferimento. In verità colore e aromi mi sono sembrati assai distanti; ma in ogni caso la personalità nelle poche bottiglie c’è tutta quindi val bene l’esplorazione in loco (giacché altrove è davvero difficile trovarlo, per ora).

 

Il prodotto più intrigante, alla fine, risulta il Vinsanto. Sì, il nome è italiano o meglio veneziano, come del resto veneziano pare sia il nome stesso dell’isola, chiamata originalmente Thera. In comune coi nostri c’è l’appassimento di uve bianche, prevalentemente Assyrtiko, un paio di settimane al sole. Segue una lunga maturazione in legno che talvolta diventa lunghissima. Alcol e zucchero residuo sono variabili come da noi, mentre sembra mancare quella componente ossidativa che caratterizza le versioni toscane più tradizionali.  

 

(nella seconda parte un bel tour dell’isola in visita alle migliori aziende)

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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