Enrico Paternoster: enologo con profonde radici.5 min read

La chiacchierata con Enrico Paternoster si è svolta durante una visita all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Una scuola dove si respira un clima particolare, composto da rispetto della tradizione e grande innovazione scientifica. Un luogo dove tornerei volentieri a scuola. Enrico è il responsabile enologico della cantina, dove si producono (per statuto) vini da tutti i vitigni presenti in Trentino. É quindi un vero e proprio “termometro” della situazione enologica trentina, un grande appassionato di vino e, non ultimo, esperto nella formazione dei giovani. Proprio la persona giusta per certe domande che avevamo in testa.

W. Fermo restando che non mi sto riferendo all’Istituto di San Michele, quale è secondo te il motivo principale perchè debba esistere un istituto Agrario (enologico nella fattispecie).
P. Bella domanda! L’enologia è considerata (tra virgolette)  un mestiere con aspetti tradizionali, ancorati alle abitudini di un luogo e quindi, se vuoi, quasi artigianale. Però questo nell’enologia moderna non è più  sufficiente perchè all’enologo è richiesta una formazione scientifica e tecnica approfondita. Non perchè necessariamente bisogna fare qualcosa di particolare nel vinificare,  ma per poter anche tornare indietro con più sapienza. Sapere perchè fare un operazione al posto di un’altra: questo, se c’è una base scientifica, è molto importante. E poi la preparazione richiesta oggi ad un enologo è anche quella di avere una visione globalizzata non solo del lavoro ma anche del mercato. In tutto questo, se la scuola è attrezzata bene, riesce a dare un buon contributo e ad aiutare molto la formazione dei futuri enologi.

 

W. E quale è il compito primario di un enologo?
P. Di portare a buon fine la vinificazione. Questo significa avere una preparazione ed una competenza tale da interpretare nel modo giusto il vino.

 

W.Quale è il vitigno con più futuro in Trentino?
P. Io parlerei piuttosto di vino. In questo caso credo che il Trentino abbia le carte in regola per fare dei grandi vini spumanti, sia a base Chardonnay che Pinot Nero.

 

W.Ed il vitigno più sottovalutato?
P. Se parliamo di vitigni autoctoni forse è la schiava. Che da un vino semplice ma che va rispettato. E’ Fresco e fruttato e se vinificato bene può essere un vitigno molto interessante.  Andando poco fuori Trentino c’è soprattutto il Santa Maddalena che ha un terroir notevole. Ne ho assaggiati di 20-25 anni che non avevano niente da invidiare a grandi Pinot Nero.

 

W.Giochino semplice. C’è una lista  piuttosto lunga di prodotti e pratiche enologiche autorizzate dall’OIV. Senza scendere nelle valutazioni di ognuna tu devi toglierne due ed inserirne altre due al loro posto. Oppure, se pensi che possa andare bene così, lasciarla intatta.
P. Io credo in un’enologia abbastanza pura e quando si parte bene nel vigneto poi francamente le pratiche enologiche sono ridotte al minimo. Portando invece il discorso sulle grosse cantine le cose cambiano. Togliere: forse non toglierei nulla ma aggiungerei un po’ più di libertà nelle annate difficili. L’introduzione dello zuccheraggio non sarebbe una cosa negativa. Chiaro che questo può comportare problemi di gestione e sorveglianza.

 

W. Il problema quindi non sarebbe usarlo ma controllare chi lo usa.
P. Indubbiamente si! Comunque l’uso dei concentrati apporta modifiche al vino, perchè non si aggiungono solo zuccheri ma anche sostanze che possono creare squilibri.

 

W. Problema etico dell’enologia. Non credi che in cantina, sia da parte di chi le mette in commercio che di chi le usa, si stia utilizzando troppe cose nuove senza conoscerle a fondo?
P. Io credo che il problema dell’enologia sia collegato molto  alla conoscenza specifica del terroir. Quindi un buon consulente deve anche avere questa conoscenza specifica, altrimenti si  corre il rischio di massificare il vino. Questo usando delle tecniche anche in modo non appropriato e quindi utilizzando un correttivo per la garanzia e la sicurezza del risultato e non tanto per pilotare e portare a buon fine la vinificazione. C’è l’utilizzo di tante macchine come i  concentratori per ricercare a tutti i costi una concentrazione una struttura che può mancare per problemi territoriali o di annata. Questo Francamente non credo sia un problema, l’importante è poterli riconoscere ed io credo che si possa fare. Poi è anche vero che dal puro punto di vista qualitativo… il mercato ti da soddisfazione……spesso anche la stampa….però non è vera enologia e vera espressione del terroir. Personalmente preferisco un vino che magari abbia qualcosa in meno ma che esprima annata e territorio. Il problema credo proprio che non sia legato tanto alle macchine quanto alla conoscenza del territorio: questa deve essere la vera base per un consulente

 

W. Da questo posso intuire che chi fa consulenze in 10-15 regioni …
P. Rischia di massificare il vino e di tralasciare l’aspetto vero della vinificazione. Non è escluso che lo possa fare, difficile è però farlo in modo profondo. Forse su zone attigue e vicine è possibile muoversi bene, ma su territori molto diversi penso che sia molto difficile. Ripeto: l’aspetto enologico non può essere disgiunto da una vera conoscenza territoriale.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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