Il Lavin Lover e la bottiglia amata*7 min read

Sottotitolo importante. Come trattare le grandi bottiglia di vino (nonchè le donne) e vivere felici. Direttamente ispirato dall’esimio  Marco Ferradini  e dalla “Fenomenologia dello spirito alcolico nonchè della topa” di Giorgio Guglielmo Federico (Lillo) Egello, maestro emerito alla Scuola Superiore Filosofica Serale del Bar Perù alla Girata dei Preti.

 

Prendi una donna, dille che l’ami,
scrivile canzoni d’amore.
Mandale rose e poesie,
dalle anche spremute di cuore.

 

Questo è l’incipit di una pietra miliare, uno dei più grandi testi che ha prima approfondito e poi completamente chiarito il rapporto uomo-donna, dal primo diverbio tra Socrate e Santippe sino ai giorni nostri. Sto parlando della canzone “Teorema” del musico-filosofo Marco Ferradini.

Per noi Lavin Lover esperti rappresenta una continua ispirazione, specie nella seconda parte (di cui parleremo in seguito). Ma queste immortali parole servono solo ad introdurre l’argomento che mi preme in questa sede dibattere e cioè come comportarsi con la bottiglia amata, con il grande vino, acquistato, coccolato, pensato, sognato e poi (ma non è detto) stappato e goduto. In particolare se conviene avere notevoli aspettative e conseguenti enormi attenzioni verso bottiglie dichiarate grandi e magari pagate un visibilio ovvero sia meglio avere un atteggiamento più naturale, meno denso di aspettative per non avere brutte fregature.

Per far capire al meglio il nostro punto di vista chiediamo appunto aiuto a due maestri del culto della topa, instaurando così il parallelo grande bottiglia/grande topa e  cercando di traslare in campo enoico il famoso detto “Più gliela chiedi e meno te la darà!”

Ma veniamo a noi: qualsiasi Lavin Lover ha nella sua cantina bottiglie particolari, di grande pregio, probabilmente uniche, costosissime, a cui riserva pensieri, aspettative, attenzioni degne solo di alcuni grandi donne con cui, ovviamente, ogni Lavin Lover ha avuto o avrà a che fare.

Per entrare “in corpore vili” esprimiamo il nostro concetto utilizzando l’immortale  formula del secondo teorema di Trombagora, riguardante appunto le similitudini tra il modo di comportarsi con bottiglie e femmine di altissimo livello.

Questo  recita

+ ti aspetti da una grande bottiglia + la coccoli e la mitizzi  –  ti darà soddisfazione e probabilmente ti deluderà = + stai dietro a una grande topa + spendi e spandi per lei – te la darà e ci sta ti faccia pure becco

 

 

Dietro a questa profonda equazione a sei, sette, forse anche otto o nove  incognite si nasconde una grande fetta della vita di ogni Lavin Lover.

Per gli acculturati voglio precisare che il magma filosofico da cui scaturì Trombagora e i suoi teoremi (vedi) nasce direttamente sia dalla discussione alle panchine in fondo a Via Maestra la mattina prima di andare a lavorare, ma soprattutto dalla scuola di Mileto che con Eraclito, suo esponente di punta affermava “Dato che non ci si lava mai nello stesso fiume e non si beve mai la stessa bottiglia, allora perché bisogna trombare sempre la stessa topa?"

Come vedete già allora il fatto che non esistessero grandi vini ma grandi bottiglie era assodato. Accanto a questo era altrettanto chiaro che beccare topa, anzi tope era parimenti impossibile al bere lo stesso, identico grande vino con la stessa soddisfazione per almeno due volte di seguito.

Certi grandi vini, usando un termine mutuato dai rapporti amorosi,  sono giustamente definiti “Coup de Coer”.  In effetti accade proprio così: sei ad una cena , te ne servono un calice, lo annusi, lo assaggi e sei fregato a vita . Avrai sempre nel naso e nella bocca quelle sensazioni che, se e solo se sarai molto fortunato, potrai ripetere con le bottiglie di cui sicuramente farai incetta, pagandole fior di quattrini.

La stessa cosa con le donne: rimani fulminato e più rimani fulminato e  spendi e spandi per portartela a letto più lei si allontanerà e, dopo avertela fatta annusare in varie salse (costate cene, viaggi , regali, etc) solo in pochi casi fortunati, te la darà e solo in pochissimi sarà come l’hai sognato.

E’ a questo punto che ri-entra in campo il pensiero del grande Ferradini che, dopo avere esaurientemente spiegato il quadro appena tratteggiato propone una geniale soluzione:

 

Prendi una donna, trattala male,
lascia che ti aspetti per ore.
Non farti vivo e quando la chiami
fallo come fosse un favore.
Fa sentire che é poco importante,
dosa bene amore e crudeltà.
Cerca di essere un tenero amante
ma fuori del letto nessuna pietà.

 

 

 

Se il Lavin Lover evoluto deve seguire queste regole nella ricerca e nell’utilizzo di topa non si capisce perché debba agire diversamente in quello enoico.

Quindi dalle grandi bottiglie e dalle grandi tope non bisogna aspettarsi molto! Occorre trattarle con attenzione ma niente di più, mai mitizzarle, mai sognare l’attimo in cui si concederanno, mai  controllarle assiduamente anche di notte, mai essere sempre presenti , mai osservare di nascosto il loro sonno, mai  carezzarle amorevolmente, mai soprattutto metterle in mostra, vantandosi, con altri amici. Nel caso enoico la bottiglia saprà come minimo di tappo, nell’altro caso la signora preferirà l’amico.

Perché oramai è consolidato: ogni bottiglia ha la sua storia. Questa dipende da miliardi di variabili (imbottigliamento, tappo, trasporto, conservazione, conservazione nella vostra cantina, condizioni della cantina e last but no least, concentrato di botta di culo) e non sarà  mai direttamente proporzionale a quanto voi l’accudite. 

Nel parallelo campo  femminino a rafforzare vieppiù l’assunto del Ferradini giunge opportuna la famosa  Prima Lex Toparum  del Lillo, scritta e dimostrata appunto nella sua poderosa opera prima “Fenomenologia dello spirito alcolico nonchè della topa”  (Giorgio Guglielmo Federico Egello, Poggibonsi, seggioline fuori del bar editore, 1974 e spiccioli).

Questa dimostra in maniera incontrovertibile che “Le donne son sofistiche” specificando poi “Ovvero e inutile giracci intorno, tanto sulla topa non ci capiremo mai una beneamata mazza”. A qualcuno può parere un assunto da poco ma invece è proprio su questa idea che si basa il moderno approccio alla topa, specie in terre  “dove ‘l si suona”.

Cercando di portare in pratica tale profondo e verissimo concetto: più voi farete per accaparravi una bella topa e più quella, a cui magari state anche simpatico, per mille insondabili motivi relativi all’universo femminino e quindi che l’animo maschile non può pensare minimamente di conoscere e capire, non ve la darà mai.

In chiusura il consiglio di noi Lavin Lover, di pura matrice epicurea, è “Conservate le grandi bottiglie bene ma senza fargli gli altarini  e bevetele quando capita: se quella sera vi ci scappa anche una bella dose di topa nova (per voi) andate in ginocchioni fino alla Madonnina di Cispiano  senza passare dal VIA.”

 

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Nota al titolo

 

* In  realtà la nota al titolo andava letta all’inizio ma se la mettevo lassù ingombrava troppo. I coraggiosi che hanno seguito gli altri scritti relativi al Lavin Lover si saranno accorti del traslato semantico che ha trasformato il termine schiettamente evocativo “gnocca”  nel più greve, oscuramente terroso e sotteraneo ma profondamente toscano, “topa”. Questo perché quanto avete letto è in onore di un personaggio tutt’ora vivente,  il Lillo. Egli, perfetta rappresentazione del filosofo da bar,  ha insegnato molto alla jeunesse dorée che fino alla  metà  degli anni settanta frequentava quel magma culturale rappresentato dai quasi contigui Bar Rossano e Bar Perù a Poggibonsi.
Alcune sue secche e geniali precisazioni sono state per noi indicazioni di vita. Per esempio, dopo che una serie di giovani ricercatori di topa si erano vantati di alcune conquiste “Io son stato con quella…io con quell’altra” etc,  Il Lillo  fulminò tutti con questa frase “Ragazzi, per trombare bisogna metterlo dentro!” Ciò portò al ridimensionamento immediato di quasi tutte le precedenti asserzioni. Questo assunto, assieme ad altri che non posso riportare per iscritto per motivi di ordine pubblico, sono scolpiti a lettere di fuoco in noi e forse sono state il vero Aufhebung,  che ci ha permesso di passare dallo stadio di giovani scazzoni a quello di scazzoni patentati.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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