Il vino ai tempi del passaggio a livello4 min read

Quando ero piccola abitavo in una zona che all’epoca era periferia di Viareggio;  la mia casa era in una strada sterrata di campagna che terminava con un passaggio a livello “morto”. Per questo in  fondo alla via c’era un casello ferroviario, anche se il passaggio a livello non era attivo: una volta usava così.

Era  abitato da un ferroviere che aveva in dotazione due filari di vite lungo la ferrovia. Al di là della ferrovia c’erano pioppi e campi di granturco,  un fosso dove pescare ranocchi e girini (che poi ributtavamo nell’acqua) e una casa colonica. Quello era il posto dove noi ragazzini andavamo a giocare

I piedi

Ogni stagione ( all’epoca erano ancora quattro)  aveva il suo fascino ma io, che già allora preferivo l’estate, aspettavo impaziente che finisse.  Questo sia per arrampicarmi sull’albero di fichi nell’orto del ferroviere con sua figlia e gli altri ragazzini della strada, ma soprattutto per quel giorno che il ferroviere decideva e comunicava con aria seria a tutti noi bimbetti vocianti. Ci  dava appuntamento come fosse un importantissimo impegno di lavoro e dopo averci dotato di forbici e ceste ci portava oltre la ferrovia a vendemmiare.  Il giorno dopo  ci metteva in fila su un muretto, ci lavava i piedi con la “sistola” (canna dell’acqua per i non toscani) e ci metteva tutti dentro un tino a pigiare l’uva.

Ricordo ancora la sensazione tattile dell’uva che si spacca sotto i piedi, che credo non dimenticherò mai. Il pigiato veniva poi rovesciato in una botte di legno dentro la cantina e ricordo perfettamente il rumore “del ribollir del mosto” e il suo profumo,   quando entravo in quella casa.

E l’orgoglio di quando mi regalava la bottiglia del vino da portare a casa dicendo “Tieni, il vino che abbiamo fatto insieme” , che arrivata a casa  porgevo ai miei. E  le mie smorfie di quando provavo ad assaggiare quella cosa imbevibile per una bambina, che probabilmente mi risulterebbe imbevibile anche adesso.

Il castello

Qualche anno dopo mia madre iniziò a lavorare nello stesso ristorante dove mio padre  da sempre faceva il cameriere: io uscendo da scuola andavo lì, dove pranzavo e passavo il pomeriggio facendo i compiti e curiosando in quello che mi pareva, nelle ore di chiusura pomeridiana,  un castello disabitato.

Era un ristorante di lusso, all’epoca stellato, con una grande cantina che, essendo sul molo e avendo una parte di arredamento stile marina veniva chiamata cambusa, come sulle barche

Io mi ci affacciavo appena potevo, seguendo mio padre quando andava a sistemare le bottiglie sugli scaffali, leggevo le etichette e meravigliandomi di come da grappoli d’uva vendemmiati proprio come facevo io da bambina, da tini che avranno ribollito come ribolliva quello del ferroviere, potessero venir fuori vini che, a sentir mio padre che me li declamava, erano delizie per il palato anche se purtroppo non proprio abbordabili per il portafoglio.
Il mondo del vino dalla vigna al bicchiere mi ha affascinato da quel momento, anche se solo anni dopo ho iniziato a berlo:  in verità   controvoglia, solo perché mia nonna diceva che faceva buon sangue insisteva che ne bevessi almeno mezzo bicchiere a pasto visto che ero un po’ anemica.

I maligni dicono che mi sono rifatta con il tempo ma in realtà parecchi anni ancora sono passati dai bicchieri di lambrusco che mia nonna mi obbligava a bere a quando  ho iniziato ad apprezzare ciò che bevevo, folgorata sulla via del Nebraska (parafrasando San Paolo), una vecchia bettola vicino a Camaiore dove  fare merenda o cenare con salumi e formaggi e vino buono per tutte le tasche ma che aveva anche dei vini strepitosi.
Il resto è venuto da se, prima da autodidatta, poi un corso per sommelier, ed infine il mio arruolamento nell’esercito di winesurf.
Ma ogni volta che entro in una cantina e sento il suo odore tipico,  ogni volta che passeggio tra i filari di una vigna durante una visita in azienda, torno bambina.
E quando il nostro direttore ed i miei colleghi mi hanno preso  affettuosamente  in giro perché mi sono emozionata  non sapevano che dietro agli occhi lucidi c’erano una ferrovia, una bambina che pigia l’uva con i piedi,  una cambusa piena di vini costosi, una nonna che offre lambrusco, un tino che ribolle, una bettola che ha pure lo Chateau d’Yquem.

Adesso lo sanno e lo sapete anche voi.

Tiziana Baldassarri

Ho due grandi passioni: il mare ed il vino. La prima mi fa vivere, la seconda gioire. Dopo il diploma di aspirante al comando di navi mercantili ho lavorato nella nautica sia in terra che in mare per poi approdare a scuola, dove sono assistente tecnico mentre dopo il diploma di sommelier ho partecipato attivamente alla vita di FISAR  facendo servizi, curandone i corsi come direttore e ricoprendo cariche istituzionali.

Ma la sublimazione assoluta della passione enologica è arrivata con l’arruolamento nell’esercito di winesurf dove degusto divertendomi  e mi diverto degustando, condividendo sia con gli altri “surfisti” sia con coloro che ci seguono, le onde emozionali del piacere sensoriale.


LEGGI ANCHE