Santorini o SantorVini? Viaggio in un’isola dai vini incredibili! SECONDA PARTE6 min read

L’esplorazione dell’isola può partire dalla cantina sociale Santo, per un primo e ottimo panorama: intendo per capire i vini ma anche nel senso letterale di vista sullo stupefacente paesaggio, data la posizione a balcone sulla caldera.

 

Le visite-degustazioni sono pure ben organizzate, e il risultato è che Santo è visitata da quasi mezzo milione di persone l’anno. Qui si è presentata l’occasione di apprezzare anche un vitigno rosso minore, il Mandilaria, usato dalla cantina per varie etichette anche se prevalentemente in blend.

Non solo vino, comunque: fra un bicchiere e l’altro si possono assaggiare gli eccellenti pomodorini dop, i capperi e le fave. Da quassù la vista straordinaria sull’isola, tuttavia, porta a intuire quello che risulta poi il racconto ricorrente dei produttori: oggi il prezzo dei terreni con possibile destinazione turistica – la maggior parte – è molto alto comparato al valore per la destinazione viticola. La tentazione di vendere può essere forte, e tutta l’agricoltura appare in stato di progressivo ridimensionamento.

 

Tra chi ha contribuito a frenare questa tendenza e a valorizzare i vini di Santorini negli ultimi decenni c’è indubbiamente Gaia, azienda piazzata ad oriente fra l’aeroporto e la spiaggia nera di Kamari in un edificio che ospitava l’attività principale dell’isola fino agli anni ’70: la trasformazione dei pomodori in concentrato.

 

Dopo la fondazione negli anni ’90 i due agronomi proprietari hanno lanciato varie etichette e non potete perdervi la più recente, il Santorini dop "wild ferment" da uve Assyrtiko dei paesi vicini come Episkopi e Pyrgos.

 

Sottolineano che per via dei lieviti autoctoni il risultato può essere diverso di vendemmia in vendemmia. Il 2014 è elegante quanto l’etichetta, scritta in greco fronte e retro.

 

Qui c’è anche l’occasione di provare i vini dell’azienda-sorella gestita dalla stessa proprietà a Nemea nel Peloponneso, e ne vale la pena.  

 

Altra atmosfera da Gavalas, una plurisecolare attività di famiglia a Megalochori che fra gerani, frasche e tavoli di legno si presenta quasi come un heurigen viennese. I vini, viceversa, sono quanto di più autoctono si possa immaginare: varietà localissime come il Katsano e il Gaidouria concorrono a un buon bianco sottile mentre il rosato super-frutto è dall’altrettanto oscuro Voudomato. Pure qui una grande versione di Assyrtiko "Natural ferment": l’assaggio del 2014 ha svelato un bouquet davvero complesso con pure un tocco di affumicato. Il ricco Vinsanto è ottenuto tuttora con spremitura a… piedi. Ho assaggiato il 2008: solo 10% d’alcol, il resto è rimasto dolcezza al profumo di fichi secchi con acidità citrina in proporzione.  

 

Anche Haridimos Hatzidakis imbottiglia il Voudomato in purezza, ma il risultato è un passito dolcissimo. Hatzidakis è uno dei personaggi più interessanti della Santorini enologica, fortemente attaccato alla cultura vinicola dell’isola e allo stesso tempo attento agli umori internazionali (alcune etichette  sono importate da Sarfati che le piazza fra i "vini naturali").

 

Partito da un’esperienza presso il colosso Boutari per lanciarsi poi in produzione propria negli ultimi anni del secolo passato, Hatzidakis sta lasciando oggi la vecchia e trasandata canava per una cantina nuova che ho visto per ora sotto forma di una nuda galleria dall’aspetto impressionante, scavata nella collina di Pyrgos.

 

La cosa più interessante è l’individuazione di due cru, come mi ha raccontato il suo agronomo Kosta Stamou. Danno origine all’Assyrtiko de Mylos e all’Assyrtiko de Louros, ambedue risultato di vigne molto vecchie e lieviti autoctoni. L’alcol viaggia verso i quindici gradi, ma tra fragranza aromatica e sostegno acido è difficile sospettarlo. Grande carattere.

 

 

Argyros è il nome di un’altra cantina della zona sud che è valsa la pena di visitare, zona Episkopi. Risale al 1903, oggi alla quarta generazione di proprietari. Pure da Argyros le due etichette di punta del Santorini Assyrtiko sono il prodotto delle viti più vecchie, alcune delle quali sui 150 anni. Ottimo il 2015 dove un 20% ha fermentato in legno e poi c’è rimasto per sei mesi, il resto acciaio. Agrumato, floreale e minerale al naso, in bocca non finisce più. Discorso diverso per la versione "French oak fermented" che certamente per il sentore spinto di quercia non avrebbe entusiasmato nemmeno i miei colleghi assaggiatori di questo giornale.

 

I fuochi artificiali sono arrivati comunque col Vinsanto, presentato come "il vino di Santo", cioè il prodotto par excellence di Santorini. L’etimo sembra quindi più chiaro che da noi; nell’occasione ho anche saputo che per lungo tempo questo è stato l’unico vino esportato e che i primi barili di legno comparvero sull’isola portati dai russi per commerciarlo. Ne ho assaggiati tre, alla vista non troppo diversi. Il 2008 (quattro anni di botte) è rinfrescato da ricordo di erbe aromatiche su fondo di datteri e fichi secchi; nel 1999 dopo dodici anni di botte emerge anche il caramello, e il finale sapido si allunga; il ’92, rimasto in legno per vent’anni, è denso in proporzione comunque dolcezza e alcol rimangono in armonia; un minimo di ossidazione contribuisce al ricchissimo bouquet.

 

Non so quale sia stato usato per la ganache della tavoletta che ho assaggiato sul posto, firmata dal cioccolatiere austriaco Josef Zotter, ma il risultato è straordinario. Acquisto obbligatorio.

 

Per un approccio appena più innovativo posso infine raccomandare la visita a Sigalas, unica azienda di rilievo sul lato nord dell’isola. Ci sono arrivato da Oia, e già la lenta discesa verso il mare marcava la differenza con i drammatici strapiombi che caratterizzano i panorami più tipici di Santorini. L’accoglienza è ben organizzata, si assaggia sotto le pergole col mare in lontananza.

 

Subito intorno al punto accoglienza ho notato dei filari, anche se bassi. Paris Sigalas, un altro dei pionieri della rinascita enologica, passa infatti per un innovatore. L’azienda si presenta come un Domaine e la ragazza che mi ha accompagnato parlava un inglese parigino, nonostante che di cognome faccia Di Pietro.

 

Qualcosa di francese si percepisce anche nel gusto: i tre Assyrtiko di punta rimangono tempi lunghi sur lies e hanno un corpo appena più rotondo della media. Sono un classico Nykteri, l’ottimo Kavalieros (tutto acciaio da un vigneto sotto Imerovigli) e un prevedibile "Santorini barrel". Il Mavrotragano di Sigalas fermenta e matura in legno francese, manco a dirlo. Forse per questo trattamento è risultato il più equilibrato fra quelli assaggiati, con un po’ più stoffa.

 

Magari c’entra anche una maggiore sottigliezza delle bucce dovuta alla gestione diversa delle viti, come suggerisce la mia accompagnatrice. Tanto di cappello in ogni caso, mentre si è rivelato accattivante anche il bianco da sole uve Aidani, molto floreale con rosa in evidenza, e ben riuscito il rosato Ean da Mavrotragano, anche questo un 2015.

 

Non mi sono perso naturalmente il grande Vinsanto 2006, sostenuto da acidità gagliarda e profumi esuberanti di spezie e buccia d’agrumi. Mentre da Argyros al loro ’92 viene data una speranza di vita di cent’anni, qui si esagera presentando il nettare come "illimitato" nel tempo.

 

Chi vivrà vedrà, a scopo di verifica ci stiamo accordando per una riunione di Winesurf a Santorini nel 2170.

 

Nell’attesa vi raccomando la visita al "Museo della Thera preistorica" di Firà, sempre per motivi gastronomici s’intende. Qui vi aspettano due sfizi. Il primo è un pezzo di pietra vulcanica con foglie d’olivo intrappolate ancora verdi durante un’eruzione di sessantamila anni fa; e il bello è che ci hanno trovato pure un esemplare della famigerata mosca! Poi c’è un fornetto portatile in terracotta, per pic-nic o cerimonie sacre o chissà cosa, direttamente dagli scavi archeologici di Aktrotiri.  Sopravvissuto integro allo tsunami del 1600 avanti Cristo, bella prova. 

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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