Quando i salici non sono solo piangenti4 min read

Spesso le tradizioni, gli usi e i costumi di una società, se non tramandate adeguatamente, rischiano di perdersi o di essere sottovalutate. Altre volte si preferisce farne a meno perché non si ha tempo di imparare, perché la “società” e le persone cambiano così come le esigenze reali.

Tra le tradizioni agricole si è “quasi” persa la tecnica della legatura con il salice tanto utilizzata nei decenni precedenti in viticoltura. In passato la si utilizzava perché si avevano ben poche alternative. I nostri avi avevano comunque tempo da dedicare all’intera operazione. Oggi alcune aziende spinte dal desiderio di votarsi all’ecosostenibilità, ma soprattutto al richiamo delle tradizioni, stanno via via smaltendo i moderni elastici/cordini di plastica a vantaggio dei tralci in salice.

Solitamente vengono usati i giunchi di Salix purpurea, volgarmente chiamato Salice rosso o Brillo. La varietà è coltivata come pianta ornamentale o per la produzione dei vincastri per la creazione di cesti, stuoie…e nel nostro caso per la creazione di “legamenti” per le nostre vigne. Altra tipologia di Salice è quello giallo, il Salix vitellina. Il più usato in Friuli Venezia Giulia rimane comunque il salice rosso molto più malleabile e versatile nel lasciarsi piegare, mentre in Veneto si preferisce l’uso dei giunchi da salice giallo.

I giunchi del nostro salice o Vencjâr in friulano rimangono in acqua per circa un mese dalla loro raccolta. Dopo un mese possono essere immediatamente utilizzati; quelli restanti possono tranquillamente sostare in acqua fino al loro effettivo utilizzo. In passato durante l’inverno nelle giornate fredde e piovose, le piante adulte venivano capitozzate e i rami legati a fasci venivano portati in azienda. Il taglio e la selezione dei germogli veniva fatta dagli anziani. Normalmente erano tre le misure dei giunchi che andavano a  formare  le mazzette. I giunchi più sottili  servivano per legare i tralci produttivi della vite al filo, i mediani a legare la vite al filo e i grossi a legare i fili ai pali di sostegno. Le mazzette si conservavano all’aperto sotto sabbia di fiume e solo il giorno prima dell’uso venivano messi in acqua per renderli più flessibili.

Il potatore fissava la mazzetta sul fianco sinistro con una cintura e a destra appendeva un corno di bue detto Codâr in friulano al cui interno veniva posta la forbice per la potatura e la côt, una pietra usata per levigare le lame della forbice. I tempi necessari per la legatura di ogni singolo giunco è molto simile a quello impiegato con i cordini di plastica. Durante l’operazione di legatura, i giunchi molto lunghi venivano usati per più legature e per non rimetterli nella mazzetta venivano tenuti in bocca che in questo caso diventava una terza mano. I più abili anche oggi riescono a tenere in bocca 3-4 giunchi alla volta.

In quanto i tempi operativi di legatura, a conti fatti occorre effettivamente tenere in considerazione la grandezza di un’azienda. Una cantina che si aggira sui 5-8 ha vitati circa può tranquillamente piantare dei salici e con quelli soddisfare le proprie esigenze e in questo caso i tempi per la preparazione e l’effettivo utilizzo rientrerebbero comunque nei numeri e negli obiettivi dell’azienda stessa. Inoltre basterebbero davvero poche persone per l’intera operazione (1-2).

Dispendio di energie, e non solo economiche, diventerebbe invece per aziende oltre i 15-20 ha e non pensiamo ad aziende che vanno dai 50 ai 100 ha dove viene prevista addirittura la vendemmia meccanica per ridurre tempi e costi. I tempi di legatura, di coltivazione delle piante, di raccolta, di selezione dei giunchi  avrebbero costi non paragonabili con tutti gli altri sistemi e materiali attualmente utilizzati in viticoltura. Ai giorni nostri quindi l’utilizzo del giunco ai giorni nostri diventa pura " Cultura viticola", così come sottolinea l’agronomo Carlo Petrussi.

 Le tradizioni sono bellissime da conoscere, da tramandare, ma sarebbe un guaio se si lasciasse trasportare dagli estremismi. Occorre tenere conto del contesto in cui vengono effettivamente utilizzate certe tecniche perché abbiano un senso.

Misteri e segreti? Ce ne sono pochissimi. Ciò che occorre è una grande manualità e conoscenza della tecnica, tanta pazienza e attenzione per un lavoro che potrebbe essere considerato da molti metodico e poco stimolante. A prima vista potrebbe sembrare semplice, ma occorre stare attenti a non stringere troppo o troppo poco…rompere i nostri giunchi o “vencs” è questione di attimi e a quel punto: si ricomincia daccapo.

 

 

 

Per gentile concessione di ERSA

Simona Migliore

Siciliana DOC, nasce a Vittoria, patria del famoso Cerasuolo. La formazione umanistica viene arricchita dei profumi delle vendemmie siciliane grazie alla collaborazione con un’azienda vitivinicola siciliana. Non beveva ancora e non aveva assolutamente idea di cosa il meraviglioso mondo del vino e della gastronomia celassero!!!

La curiosità per il mondo del vino cresce al punto da spingerla a lasciare la Sicilia. Frequenta il mondo AIS, ma decide di sposare i principi e i metodi dell’Onav. Si diletta a “parlar scrivendo” bene o male dei posti in cui si ferma a mangiare e degustare. Esperta degustatrice, Donna del Vino, esperta di analisi sensoriale, collabora con enti, consorzi e aziende vitivinicole…da qualche anno è entrata nel mondo degli Artigiani Birrai del FVG.

Nel 2009 viene adottata da Winesurf, giornale per il quale, ispirazione permettendo, scrive e degusta senza smettere mai di imparare.


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