Ma in Langa si mangia sempre bene?4 min read

Frequento la Langa da almeno trent’anni e, come tutti gli appassionati di enogastronomia sono stato sempre attirato dalla ristorazione proposta in questa splendida terra.

Dalla trattoria di paese al tristellato la cucina in Langa è sempre stata portata ad esempio da tutti, sia per la qualità diffusa sia per l’altrettanto diffuso ottimo rapporto qualità/prezzo.

Non vi nascondo che ogni giro in Langa negli ultimi 25 anni  è sempre stato contraddistinto, oltre che da ottimi vini, da memorabili piatti.

Il bello della ristorazione langarola è sempre stato un mix tra materie prime di assoluto livello e  mani  sagge che, superando le mode, le trasformavano in piatti concreti, eleganti, succosi e dal prezzo molto equilibrato.

Questo mio pensare è condiviso dalla stragrande maggioranza degli enonauti, tanto che la frase classica è “Come si mangia in Langa non si mangia da nessuna parte!”,  frase diventata  quasi un Mantra considerando la presenza in loco di  Slow Food.

La frase l’ho sempre detta anch’io che, vivendo in Chianti, ho davanti la tremenda situazione della stragrande maggioranza dei ristoranti toscani dove la qualità, a causa anche di un turismo asfissiante, è spesso un sogno mentre il prezzo alto è, purtroppo, una certezza.

 

Per questo non ho praticamente il coraggio di parlare di una sensazione negativa  non solo personale (noi giornalisti parliamo tra noi e visitiamo tanti locali) che da almeno un anno trova regolari e non volute conferme.

 

Insomma, non solo a me sembra che la qualità media della ristorazione langarola sia diminuita, e non poco.

 

Non mi riferisco a qualche ristorante in particolare (anche se tra me e i colleghi a cui ne ho parlato ne abbiamo visitati molti, diciamo una trentina.) ma ad una diffusa mancanza di soddisfazione quando ti alzi da tavola, sia su piatti della tradizione, sia su preparazioni innovative.

Ne primo caso sembra che la materia prima sia di qualità inferiore al passato, nel secondo che tanta voglia di innovare si scontri con inesperienza o quanto meno voglia di stupire non corredata da altrettanta tecnica e maestria.

 

In generale mi sembra ci sia stato un “abbassamento della tensione” dovuto da una parte al sentirsi arrivati e dall’altra dal vedere comunque il proprio locale pieno di turisti, più o meno preparati.

Spero sia solo un venticello di passaggio e non una tempesta, ma ne voglio parlare perché molti indizi rischiano di fare una prova che, se non discussa subito, può portare  a grossi problemi.

 

Alla base di tutto credo ci sia il notevole aumento di turisti, che ha visto un picco incredibile negli ultimi anni con l’attribuzione dello strameritato riconoscimento Unesco.

 

Da più parti continuo a sentire che ben pochi si aspettavano un  ritorno turistico di questo livello e forse, per la prima volta, la Langa gastronomica sta reagendo al turismo nel modo sbagliato, quello adottato da tante altre zone italiane.  Abbassare (magari leggermente) la qualità delle materie prime sia perché  quelle di livello non sono disponibili per tutti, sia perché spendere un po’ meno e avere comunque  più coperti fa sempre quadrare meglio i conti.

Mettiamoci anche che aprire un ristorante è una cosa che sembra facile (televisione purtroppo docet) e questo invoglia molti, assolutamente impreparati, a buttarsi nella mischia pensando che tanto male non potrà andare.

 

Quindi da una parte l’aumento esponenziale dei turisti, dall’altra quella dei locali non tutti con le idee chiare: last but not least l’abbassamento della qualità della materia prima.

 

Proprio In questi giorni quest’ultima mi è stata confermata da ristoratori langaroli amici, che vedono sempre più colleghi comprare materie prime di livello non eccelso o magari fuori dalla classica stagionalità, sia perché costano meno sia perché hanno bisogno di meno mano d’opera per essere trasformate.

 

Ripeto, questo articolo non vuole puntare il dito su Tizio o su Caio, né tantomeno demonizzare in maniera indiscriminata un territorio: vuole solo portare alla luce un ragionamento che “cova” da quasi un anno e che ha trovato per strada diverse, “pure  troppe”, conferme.

La speranza è quella di sbagliarsi, di avere avuto solo sfortuna: se così non fosse credo sia comunque il caso di parlarne.

 

Se la Langa è diventata una terra di vacche grasse lo ha fatto grazie anche alla ristorazione e questo fiore all’occhiello non può e non deve trasformarsi in un fiore appassito.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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