Alla faccia della filiera corta!3 min read

Sapete cos’è la soccida? Wikipedia la definisce "mezzadria nel settore degli allevamenti"; il dizionario  ne da la seguente descrizione: "contratto associativo con cui il proprietario affida ad altri il proprio bestiame da allevare e custodire con l’obbligo di ripartire gli utili o le perdite a metà".
In pratica esistono due soggetti: il primo  o ssoccidante (in genere un mangimificio del nord Italia, molto più spesso una ditta tedesca, belga o olandese che) consegna maiali appena svezzati al secondo o soccidario (in genere allevatore del nord o del centro Italia) il quale mette manodopera e strutture. Alla fine si dividono i guadagni – cioè gli utili provenienti dalla vendita  degli animali ingrassati – a metà.

Perché vi dico questo e cosa c’è che non va nella soccida?

Ve lo spiego con un esempio pratico: io vivo a Castiglione del Lago, in provincia di Perugia, dove ci sono allevamenti per un totale di circa 45.000 suini. Più o meno l’80% di essi sono in contratto di soccida.

Gli animali, nati in Germania, Olanda o Belgio (nel migliore dei casi "solo" a Reggio Emilia, Modena e zone limitrofe) arrivano da noi in camion non tanto spaziosi e sicuramente piuttosto inquinanti, vengono ingrassati e poi rispediti, sempre con i soliti camion, per essere macellati in Germania, Olanda o Belgio (nel migliore dei casi "solo" a Reggio Emilia, Modena e zone limitrofe).

Quanti Km si fanno avanti e indietro questi animali? Avessero la tessera Millemiglia Alitalia potrebbero fare un viaggio gratis, ma invece non ce l’hanno e quindi, dato che dopo la macellazione ovviamente i salumifici  distribuiscono le carni in tutta Italia, in effetti rifanno lo stesso percorso per la terza volta…

Questo sarebbe già sufficiente per parlare a lungo dei concetti ormai sulla bocca di tutti di "filiera corta", “prodotti a km zero”, etc.. Però, a voler essere proprio puntigliosi, potremmo anche proseguire parlando di mangimi e di medicinali. Questi sono forniti, per tutto il periodo dell’ingrasso,  dagli stessi olandesi, belgi e tedeschi, che spediscono i maiali in Italia.

Così, dato che siamo in Europa dove la legge è uguale quasi per tutti, rischiamo pure di trovarci davanti alle note vicende che hanno caratterizzato le cronache dei giorni scorsi sulla presenza di diossina nei maiali allevati in Germania.

Vi pare sufficiente? Invece non lo è perchè c’è un altro grosso problema che gli  allevatori umbri  in soccida (e tutti gli abitanti in zona, vorrei aggiungere) si trovano ad affrontare. La merda (scusate, ma quando ce vo’ ce vo’!) resta a carico loro. Si tratta di "rifiuti speciali"  per lo smaltimento dei quali la legislazione (europea ovviamente) prevede tutta una serie di complesse normative la cui giustezza è facile condividere da parte nostra. Gli allevatori ne sono altrettanto convinti… ma solo fino a quando debbono attuarle, poi gli passa.

Mi sono provata, in pubbliche riunioni,  a consigliare un cambio di  direzione: mi è stato risposto che gli allevatori non possono e non vogliono passare dal contratto di soccida all’allevamento non intensivo perchè non ci guadagnerebbero abbastanza.
Questo…forse venti-venticinque anni fa, quando questo tipo di contratto è stato ideato, ha rappresentato la risposta al problema dell’allevamento tradizionale che non dava più guadagni. Gli allevatori impiegarono meno di niente a capire che dovevano cambiare.

Oggi invece attuare un progetto di filiera corta, che sostanzialmente consiste nel macellare e trasformare localmente i capi, producendo carni di qualità e salumi degni della splendida tradizione umbra della norcineria è l’unica risposta possibile per un comparto che altrimenti non ha futuro. Ci sono comuni italiani che hanno finanziato (da soli o con altre strutture pubbliche e con gli allevatori stessi) la realizzazione di questi impianti di trasformazione per dare un futuro agli allevatori.

Siamo proprio sicuri che gli allevatori non capirebbero? Forse non tutti, ma per cominciare ne basterebbe uno.

Sono aperte le iscrizioni!

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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