Gli autoctoni dell’Emilia Romagna: un passo oltre la moda. Il Burson.3 min read

Sono tempi difficili anche per lo scintillante mondo del vino. Si passa velocemente da una moda all’altra quasi nel breve volgere di una stagione.

Ricordiamo ancora come l’epoca dei bianchi profumati sia stata cronologicamente soppiantata dalla moda dei rossi muscolosi e iperdotati, subito incalzati dai bianchi strutturati per poi finire tutti nell’enorme calderone dei genericamente “barriccati”. Avanti di questo passo siamo transitati tra rossi e bianchi, eleganti e sottili, purché fatti in acciaio. Sull’altare prima e nella polvere poi sono finiti a turno anche i mostri sacri  Cabernet Sauvignon e Merlot.

Ma tra queste mode passeggere qualcosa di nuovo emerge e sopravvive: ad esempio quella dei vitigni autoctoni, uno dei pochi elementi di vivacità (oltre a quello dei cosiddetti vini naturali) nel panorama vitivinicolo italiano di questi ultimi anni. Per appartenere all’ elite degli autoctoni, serve tuttavia un “pedigreè”, un bel certificato di analisi del DNA che possa fugare eventuali dubbi e mettere in luce indesiderate parentele. Se si considera che circa l’80% del vino prodotto nel mondo proviene, si e no, da una ventina di vitigni, l’eventualità di trovarsi di fronte alla stessa varietà conosciuta con altri nomi non è poi così improbabile, specie in Italia detentrice del più vasto patrimonio ampelografico del mondo.

L’Emilia-Romagna da tempo sta cercando di recitare un proprio ruolo in fatto di vino, a partire dagli autoctoni più storici, come il Lambrusco, il Pignoletto e l’Albana fino ai più recenti come il Centesimino, il Famoso e il Longanesi. Inizio da quest’ultimo il percorso introduttivo alla conoscenza dei nostri vitigni autoctoni. Quello dell’uva Longanesi, conosciuta anche con il nome di Bursòn, è un caso piuttosto emblematico. Sono bastati infatti una decina di anni per scalare la graduatoria della notorietà, nonostante sia uno “svantaggiato” vitigno di pianura.

Bursòn altro non è che il nome con il quale era conosciuta la famiglia Longanesi trasferitasi agli inizi del secolo a  Boncellino, un piccolo paesino adiacente Bagnacavallo (RA). Il nipote Daniele nel 1999 comincia a vinificare e a produrre, non solo per l’autoconsumo ma  anche con scopi commerciali, diverse tipologie di vino tra cui appunto il "Burson", da uve chiamate Longanesi in onore del nonno scopritore. Pianta rustica e resistente alle malattie fungine sono gli elementi che hanno  favorito la diffusione del vitigno nella zona che oggi vanta una ventina di coltivatori riuniti sotto l’insegna del Consorzio Il Bagnacavallo.
Dopo un avvio incerto, dovuto al naturale rodaggio, le cose sono cambiate in meglio e per questi robusti vini di pianura sono arrivati anche dei riconoscimenti. Oggi le tipologie sono due: Etichetta Blu’ da uve Longanesi al 100%, un vino più semplice del suo fratello Etichetta Nera ottenuto sempre da uve Longanesi ma con almeno il 50% delle stesse appassite per 20/30 gg. Entrambi sono caratterizzati dall’elevato tenore alcolico, dal colore rosso cupo molto fitto e da profumi intensi di frutta matura che ricordano la ciliegia. Sono vini generosi, potente e con sentori olfattivi di una certa espressività. Alcol in quantità ma, grazie ad una vena di notevole freschezza,  il vino è godibile, specie se abbinato con piatti di selvaggina in salmì, oppure a formaggi molto stagionati e piccanti. I prezzi: da 7 a 10 €  per l’etichetta  Blu, e da 13 a 16 € per quella Nera.

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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