Da tempo volevamo assaggiare vini sardi ma per vari motivi avevamo sempre rimandato. Questa prima degustazione, riservata esclusivamente ai rossi, ci ha dato un quadro abbastanza esauriente di quanto ci siamo persi in passato. Intanto cominciamo con lo sfatare alcuni miti enologici.
Il primo e più importante, che identifica i vini sardi con prodotti (spesso a base pseudo-cannonau) dall’alcolicità alta e sovradimensionata, dai profumi incerti e dalla freschezza spesso assente, fa parte di un mondo oramai superato. Vogliamo subito rimarcarlo con forza, dato che nei nostri assaggi queste caratteristiche sono state praticamente assenti. Se proprio vogliamo dirla tutta la tendenza è verso l’opposto, verso una internazionalizzazione che ha portato correttezza enologica ma forse ha tolto un filino di carattere e riconoscibilità.
Qualcuno si domanderà cosa intendiamo per “pseudo-cannonau”: ci riferiamo sia a quei cannonau “old style” (tanto alcol con tannini verdi e leggermente diluiti) che hanno praticamente cessato di esistere, sia alla grande diversità stilistica che caratterizza questo bel vitigno. Le interpretazioni non dipendono solo dal terroir e dalla mano dell’uomo (fino a qui ci saremmo) ma forse anche da una base ampelografica diversa e mai studiata a fondo. I risultati sono vini indubbiamente buoni ma all’interno di un “range” di diversità sia aromatica sia gustativa molto ampio. Per non parlare del colore, dove si va dal rubino abbastanza scarico al quasi porpora.
Aldilà delle diversità abbiamo però apprezzato l’equilibrio e la pulizia di vinificazione che mettono i vini sardi alla pari con le denominazioni più blasonate. Un esempio: probabilmente non ci era mai capitato di assaggiare circa 50 vini senza trovare un solo vino a cui “affibbiare” una sola stella. Coi rossi sardi questo è successo. Segnale inequivocabile di una produzione con normali diversità qualitative ma con una qualità media piuttosto alta.
Qualità media che tocca sia gli altri vitigni autoctoni sia i vini a base di uve internazionali. Proprio sull’internazionale, come accennato, abbiamo riscontrato il “neo” maggiore dell’assaggio: una vena che in diversi casi ha creato vini indubbiamente corretti ma poco riconoscibili e senza quel carattere che invece dovrebbe essere caratteristica principe, sia che si parli di Cannonau, di Carignano, di Monica o di altre uve autoctone.
Ma questo riscontro non deve farci perdere di vista l’ottimo risultato medio della degustazione, con 2 vini a quattro stelle e ben 24 (quindi più della metà) a tre stelle. Altro dato da non sottovalutare è che praticamente tutte le cantine hanno almeno un vino con tre stelle, il che sta a dimostrare come la qualità non sia ristretta a pochi nomi, ma oramai spalmata sulla stragrande maggioranza delle aziende vinicole.
Con questo rilevazione non da poco vi diamo appuntamento a primavera, quando saranno di scena le nuove annate dei bianchi.
Intanto Buone Feste!!!!