Maurizio Zanella: La Franciacorta deve crescere in qualità.13 min read

Abbiamo incontrato Maurizio Zanella, neo Presidente del Consorzio Franciacorta, ad Erbusco durante gli assaggi annuali di bollicine franciacortine. Ne è venuta fuori questa bellissima e lunga chiacchierata.


Winesurf.
La prima domanda è quasi di “carattere medico” e riguarda la sua azienda. In quel bellissimo libro fotografico su Ca’ del Bosco, una parte è dedicata a delle meravigliose modelle che, completamente nude, vengono fotografate in vigna o in cantina accanto a cantinieri o operai. La domanda è: quanti di quei dipendenti sono morti di crepacuore?

Maurizio Zanella.
Per fortuna nessuno! Si sono divertiti. Consideri  che per i 16 scatti, tra allestimento  e preparazione, siamo andati avanti per dieci giorni.

W.
Deve essere stata una sofferenza terribile….

MZ.
Assolutamente…Una sofferenza terribile

W.
 Comunque non è morto nessuno, meno male. Veniamo adesso alla prima domanda seria. La Franciacorta ha oltre 40 anni. Dopo tutto questo tempo diventa presidente uno dei primi produttori, uno degli “storici”. Vuol dire che dovete ripartire da zero?

MZ.
Vuol dire che siamo in un momento particolarmente complesso da gestire con molta attenzione ed i soci hanno pensato che, per gestire questo momento servisse una persona che avesse l’esperienza, la passione o la storia per venir fuori da un momento così complicato.

W.
Storicamente la Franciacorta è nata su pochi nomi che, sia allora che adesso, hanno un grande peso sul mercato. Poi, piano piano, sono venuti fuori molti altri produttori, parecchi dei quali di piccole dimensioni. Lei crede che Il futuro della Franciacorta sarà più per i piccoli o per i grandi marchi?

MZ.
La risposta, assolutamente non retorica,  è che il futuro sarà di coloro che sapranno produrre qualità, aldilà di concetti discutibili come  quello di qualità/prezzo. La qualità intrinseca del bicchiere è quella che vince. Le dimensioni non contano niente,anzi, spesso nel mondo chi fa qualità è il più piccolo e quindi credo che le chances per avere successo le abbiano sia i piccoli sia i grandi. Quest’ultimi  in Franciacorta producono trenta-quaranta volte meno delle grandi cantine di oltralpe. Quindi le “grandi” aziende Franciacortine sono dei “microbi”  sul mercato.

W.
A proposito di mercato: siete arrivati a produrre 9 milioni di  bottiglie, dove pensate sia giusto arrivare. Quale obiettivo numerico vi ponete?

MZ.
Per fortuna nell’ambito del Consiglio di Amministrazione nessuno si è mai posto questo genere di obiettivi.  Questa credo sia la fortuna della Franciacorta.  L’obiettivo è quello di cercare di far salire il comparto in termini di qualità. L’unica preoccupazione che abbiamo è quella di tirar su il livello qualitativo medio della zona il più possibile. I numeri verranno  da soli. Se uno semina bene poi raccoglie, ma mentre sta seminando non sa quanto raccoglierà. Una cosa è certa: qui sarà difficilissimo avere più di 3000 ettari.

W.
Lei  ha visto le domande prima… perché quella successiva era “ a quanti ettari pensate di arrivare?”

MZ.
Avendo da una parte il Lago d’Iseo e volendo mantenere un minimo di rigore potremo appunto arrivare al massimo a 3000 ettari (attualmente sono 2200 n.d.r.) che, nella più rosea delle ipotesi  potranno dare  26 milioni di bottiglie. Ma non è un obiettivo è solo il voler constatare che più di lì non si può andare.

W.
A proposito di “Più di lì non si può andare”: quali potrebbero essere le zone dove allargarsi in Franciacorta, dove piantare in questo momento?

MZ.
C’è una zonazione vecchiotta e stiamo dibattendo nei comitati tecnici se rifarla e riaggiornarla. Collateralmente a questo: siamo una zona pedemontana, sull’asse Milano-Brescia, una delle più costruite d’Italia, con la più alta densità di abitazioni d’Italia. Abbiamo anche un grosso problema  ambientale, dove dobbiamo mettere dei freni. Quindi abbiamo anche un programma per  convivere con  un impatto ambientale decoroso, perché uno quando arriva al casello di  Rovato pensi di essere meno nel New Jersey è più in una zona viticola.  Per questo ci diamo come obiettivo primario quello della difesa ambientale del territorio. Io non sono un verde, ma amo la terra su cui lavoro e la vorrei difendere da porcherie che stanno e potrebbero nascere. Alcune sono già nate e  dovremo affrettarci a nasconderle, magari con belle piante di alto fusto. 

W.
Comunque la Franciacorta non è immensa e non avete una zona gigantesca da proteggere.

MZ.
Il  problema sarà far convivere l’espansione della vigna nei luoghi adatti e la protezione dell’ambiente.

W.
A proposito di vigna nei luoghi adatti: in Franciacorta passiamo lungo le strade e notiamo che, dove l’anno prima c’era un campo di granturco, si è piantato dei vigneti. Ora, visto che siete a 2200 e, come detto, l’ampliamento non potrà essere gigantesco, avete già idea di stabilire regole precise per gli impianti, oppure si potrà continuare a piantare in pianura o comunque in luoghi che sembrano non molto adatti?

MZ.
Prima di tutto non si pianta più! Perché tra qualche giorno verrà deliberato il blocco degli impianti. In primo luogo  per smaltire le produzioni a venire e quindi crescere  compatibilmente con le uscite e non crescere tanto per crescere.  Ma il secondo punto,importantissimo,  è che rifacendo un’altra zonazione, in questi tre anni si creeranno le regole per dove piantare in futuro.

W.
Quindi bloccherete i nuovi impianti per tre anni…

MZ.
In questi tre anni faremo il progetto di zonazione e quando sbloccheremo si pianterà in determinate zone e in certe condizioni.

W.
Questo è molto importante perché passare dal granturco alla vigna…

MZ:
Io sono perfettamente d’accordo con lei, però  ieri ero a Bordeaux e nel Medoc forse il granturco non cresce bene come qui! Nel senso che è un territorio assediato dall’acqua e dalla sabbia. Sui terreni possiamo stare a discutere per anni e tutti e due pensiamo che piantare in collina sia meglio, però dobbiamo andare piano nel condannare certe cose, perché qualcuno può venire a farci buoni esempi del contrario. Io la penso come lei , mi piacerebbe vedere vigne solo dove c’è una pendenza del 6-7%. Però tre giorni fa a Bordeaux c’è stato un temporale e diverse vigne di Chateu Margaux erano sott’acqua. Sembravano risaie, dopo un temporale nemmeno gigantesco.. Ma Margaux produce i vini che tutti ammiriamo.

W.
Da Margaux all’Italia. Quale crede  possa essere, esclusa la Franciacorta, la zona italiana più vocata e non necessariamente già sfruttata, per le bollicine di lato livello?

MZ.
Non è una risposta politica ma non lo so, nel senso che lo posso immaginare.

W.
E l’immaginarlo dove la porta?

MZ.
Sicuramente al Trentino, all’Alto Adige ed all’Oltrepò. Luoghi che già si conoscono: poi magari  sull’Etna si potrà fare la bollicina più buona del mondo, ma non lo so perché non ho la competenza per dirlo. Però, a livello di zona,  storicamente quello che allora si chiamava Metodo Champenois nasce a Canelli dai vari Riccadonna, Marone, Gancia e Martini, con le uve dell’Oltrepò Pavese.

W.
Eccetto la franciacorta e quell’altra “piccola” zona in Francia nello Champagne, quale è lo spumante più buono che ha bevuto in vita sua.

MZ.
(Piccola esitazione..n.d.r.) Senza ombra di dubbio quello Trentino, mentre nel mondo ho assaggiato qualcosa, ma nei paesi del nuovo mondo non ho gustato niente di rimarcabile. Non esiste una tradizione di qualità nel nuovo mondo. Cose corrette ma niente più. Nel vecchio mondo, con tutto il rispetto per i cugini d’Oltralpe, dall’Alsazia e dalla Borgogna, le due zone che fanno gli sforzi maggiori, non è uscito niente di rimarcabile.

W.
Veniamo ad una domanda che definisco “teologica”. Una notte, nel sonno, Dio la convoca. E’ arrabbiatissimo con la Franciacorta e vuole raderla al suolo. Le da due possibilità per salvarla : deve decidere lei di togliere un’ uva ed una tipologia (demisec e sec esclusi) di Franciacorta per salvare tutto il resto. Quali sceglie?

MZ.
(Velocissimo n.d.r.) Pinot Bianco e Brut!

W.
Senza nessuna esitazione…

MZ.
Assolutamente!

W.
Ovviamente sta parlando di Brut non millesimato.

MZ:
Certo!

W.
Altra domanda un po’ strana: perché quando si va in una cantina della Franciacorta difficilmente ti portano a vedere le vigne?

MZ.
Perché forse il difetto del produttore di bollicine in Franciacorta, cosa che capita anche “un po’  più a nord” è di concentrare l’attenzione del visitatore sulla metodologia produttiva che è scenografica. La cantina è scenografica,la metodologia è particolare. C’ è in tutto il mondo delle bollicine un errore, quello di dare più attenzione alla padella di rame “super special” che al branzino che stiamo cucinando. E’ un peccato veniale di tutti, non perché ci sia qualcosa da nascondere ma perché tendenzialmente è più bello scendere 10 -20-30 metri sottoterra, fargli vedere qualcosa che non ha mai visto e lasciargli un ricordo indelebile. Ed in questo si esagera perché poi chi, per primo in Italia, ha piantato a 10.000 ceppi ad ettaro non lo fa vedere. E’ più portato a mostrare cantine, ha far vedere effetti tangibili invece di cose più per addetti ai lavori, come una vigna potata in un modo o in un altro.

W.
Da due anni stiamo portando avanti una campagna dal titolo “Meno pesa più vale” per la diminuzione del peso in vetro delle bottiglie. Non sembra che la Franciacorta brilli per l’attenzione a questo problema, perché dallo scorso anno ho visto in alcuni casi addirittura un aumento del peso. Non pensa che, come presidenza,potrebbe essere un bell’ impegno quello di dire “Noi in franciacorta abbiamo un impatto ambientale minore, anche nelle bottiglie?

MZ.
Bisognerà cominciare! Certo è che noi oggi siamo delle pulci. In Francia alcune maison l’hanno fatto per circa 40 milioni di bottiglie ed hanno fatto bene. Noi siamo  una terra giovanissima, non la Franciacorta, l’italia. Abbiamo 40 anni di storia nel vino di qualità e siamo ancora dei bimbi, tutti. Dobbiamo crescere e sta ai primi della classe avere certe sensibilità per farle conoscere a tutti gli altri, se vogliamo crescere più in fretta degli altri. Per esempio: un vino importante si fa nella vigna, che deve avere da trent’anni in su. Siamo ancora con metodi viticoli dove si presuppone che una pianta venga cambiata a 25-30 anni. Ci vorranno  anni per arrivare a piante come quelle di Margaux,  che se ne fregano dell’acqua perché hanno ottanta anni ed un equilibrio eccezionale. Abbiamo grandi margini di crescita e  fra trent’anni faremo dei grandissimi vini…..

W.
Spero di berli assieme a lei anche se capisco che quello dell’abbassamento del peso delle bottiglie non è uno degli obiettivi primari della sua presidenza. Allora quale è l’obiettivo primario?

MZ.
Salire con la qualità, tutti, essendo anche un po’ più rigorosi e più cattivi nei piani dei controlli.

W.
L’invenzione del termine e della tipologia “Saten” è stato indubbiamente geniale. Avete intenzione di crearne altre?

MZ.
Che io sappia, no!

W.
A proposito di Saten: negli anni scorsi cercavate  di rendere più “omogenea” la tipologia Saten.  In altre parole: dicevate di avere un bel marchio però con vini molto diversi, non per qualità ma per filosofia produttiva. Quest’anno, nei Saten assaggiati, abbiamo riscontrato meno dosaggio ed una freschezza quasi citrica, impensabile solo pochi anni fa. Come pensate di muovervi? Lascerete libertà ad ogni azienda di portare avanti la sua filosofia o cercherete di dare delle indicazioni più precise?

MZ.
Sarebbe comodo e bello, visto che degustando ha trovato quello che io ritengo sia un passo avanti in termini gustativi, dire che questo è effetto di un lavoro a monte. Purtroppo non è vero.
Il motivo del successo del Franciacorta, rispetto ad altre zone italiane, è che siamo riusciti a piantare dei paletti precisi quando eravamo in pochi e quelli che dopo  “si sono seduti al tavolo”, sono stati costretti a “giocare” con regole che, per la protezione della qualità, non esistono in altra zona del mondo. Parlo di resa  per ettaro, tempi di invecchiamento minimi etc. Siamo riusciti in questo perché eravamo “pochi, giovani e virtuosi” e quindi abbiamo messo regole che nessuno ci toglierà più. Sul Saten siamo arrivati tardi, nel senso che già una ventina di aziende, prima della creazione del disciplinare del Saten, ne facevano una loro versione. Quando abbiamo dovuto creare un metodo e delle regole precise per il Saten era già troppo tardi, perché eravamo nelle stesse condizioni dell’Oltrepò o del Trento (tanto per non fare nomi) , dove erano già tutti professori e nessuno voleva accettare quello che gli diceva il concorrente. Quindi nascevano conflitti del tipo ”Il mio è migliore , l’ho sempre fatto così, perché devi cambiarmelo?” Questa è stata anche la “sfortuna” del Saten. Anziché fare una regola produttiva quando eravamo in due –tre, (che l’avremmo fatta in un secondo)  abbiamo dovuto crearla quando le aziende erano una ventina e ognuna  faceva “il vino più buono dell’altro”.  Così non siamo riusciti ad inserire quelle “regolette” che avrebbero creato una maggiore uniformità produttiva e quindi una maggiore identità.

W.
Quali sarebbero state le “regolette”, per curiosità?

MZ.
Dovrei dirle il mio parere tecnico, che non è giusto dica. Purtroppo queste regole non ci sono ma oggi  c’è un’ autoconsapevolezza dei produttori di seguire gli esempi più virtuosi.  Quindi, senza regole,  si sta arrivando ad un certo standard. Ma è molto più lungo e complesso. Se invece si fosse detto “No legno e dosatura massima  5 grammi di zucchero” ci arrivavamo velocemente.

W.
Mi ha detto qual è l’obiettivo primario, mentre quale è stato il primo atto che ha fatto da presidente?

MZ.
Lo vedremo il tre luglio! (giorno dell’assemblea generale dei produttori che ha approvato le due richieste seguenti  n.d.r.) Il blocco dei vigneti per 3 anni e la diminuzione della produzione a 95 quintali per quest’anno.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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