Carlo Speri: la vera storia dell’Amarone.9 min read

Carlo Speri è il vulcanico Patron dell’omonima cantina in valpolicella. Pur non dimostrandolo ha vissuto diverse primavere e quindi ci siamo rivolti a lui per avere qualche informazione sulla nascita dell’Amarone, che molti pensano risalga alla notte dei tempi ma che in realtà è databile intorno agli anni cinquanta dello scorso secolo. Ecco quello che ci ha detto

 

Winesurf
Allora, da quanto ci risulta la nascita dell’Amarone non  va indietro nella notte dei tempi ma si data alcune decine di anni fa. Che ne dice di far partire il racconto dagli anni cinquanta del secolo scorso? Che cosa si ricorda di quegli anni?

Carlo Speri
Negli anni Cinquanta  la nostra era già una cantina importante perché avevamo 4 mezzadri, ma si produceva solo vino sfuso: si vendeva qualche botte e poi solo damigiane. Questo tipo di lavoro, specie quello delle damigiane è andato avanti fino a 15-20 anni fa. Il passaggio all’imbottigliato è stato relativamente lento.
Già allora si coltivava soprattutto la vite ma in mezzo alla vite, c’erano mais, grano e  erba medica per le bestie. Non era una coltura specializzata come oggi. C’era Un filare, venti metri (una quara) dove si coltivavano altre cose,  un altro filare e così via. Poi verso la fine degli anni Sessanta,  con alcuni contributi sono iniziate le monocolture e sono stati piantati i primi filari specializzati. Quelli erano i vigneti della prima generazione, non molto fitti. Oggi ci sono quelli della seconda generazione.

W.
Quanti contadini che producevano e imbottigliavano vino c’erano negli anni Cinquanta e Sessanta in Valpolicella?

S.
Pochi. E pochissime cantine grosse: inoltre erano tutte di “etichettatori” (gente che comprava vino, lo imbottigliava  e lo rivendeva, n.d.r.) e non di produttori ed imbottigliatori. All’epoca comunque si lavorava quasi tutto sullo sfuso: damigiane e  poche, pochissime bottiglie.  Come nomi importanti all’epoca c’erano il grande Bertani, poi Bolla e Sartori.

W.
Ma che tipo di vino si produceva?

S.
Quasi esclusivamente vino di annata che era venduto nelle osterie sfuso, qualche volta a botticelle, il più delle volte a damigiane. Si produceva anche in quantità limitatissima, da sempre , il Recioto. Per farlo si selezionavano le uve nei vigneti e poi si mettevano ad appassire sulle arele. Qui, durante l’appassimento si toglievano  i chicchi con la muffa o rovinati.  Prima di pressarlo si sceglievano ancora i chicchi, quasi uno ad uno. Mi ricordo che c’era un mastello di legno dove si buttavano” le cernaie” cioè le cernite migliori, che io bambino facevo con le forbicine da unghie. Ma Il Recioto serviva solo nei momenti importanti: per regalarlo a persone che contavano, o per berlo in casa durante le feste, oppure come ricostituente per la  puerpera. Comunque negli anni Cinquanta Bertani e Bolla, forse Bertani anche da prima, avevano iniziato ad imbottigliare il Recioto. Negli stessi anni iniziarono ad imbottigliare anche L’Amarone.

W.
Piano, piano! Si imbottiglia qualcosa di conosciuto: ma come e quando era nato questo benedetto Amarone?

S.
Partiamo allora agli anni Quaranta, con la guerra che aveva portato devastazioni e grossi problemi. Per esempio chi  aveva nascosto qualche botticella di Recioto  spesso non riusciva ad andare a controllarla. Era così, diciamo, abbandonata se stessa. Quel  vino ebbe così il tempo di fermentare, di maturare ed invecchiare. Questo fino ad allora non era praticamente mai successo, perché in quegli anni non c’era tradizione di invecchiare il vino , anche il Recioto. Lo si imbottigliava con la luna piena di marzo al Venerdì Santo e si beveva alla svelta. Anche perché, se si metteva in cantina, anche se inclinato e sotto la sabbia spesso  le bottiglie scoppiavano.
Torniamo all’Amarone: il Recioto che rifermentava e diventava quasi secco veniva chiamato  “Recioto scapà” (Recioto scappato) . Quando veniva assaggiato, si sentiva che non era dolce, ma il suo contrario, amaro.  “Senti che amaro è questo vin, anzi è molto amaro, è amaron, è amarone!” E così è nato il nome.

W
Faceva un po’ schifo insomma…

S.
Si……possiamo dire che……. per il gusto del periodo faceva un po’ schifo …. tanto è vero che il “recioto scapa’” era inteso come vino rovinato e veniva messo, in percentuale del 5-10%, nel Valpolicella debole per  tirarlo su e venderlo, sempre nell’annata. E quasi “sporcava” il Valpolicella tanto era aggressivo. Per fortuna Bertani intuì la grandezza del prodotto ed  iniziò ad imbottigliarlo in maniera consistente. 

W.
Non per niente il Secco Bertani….

S.
Eh si! Ma a parte il Secco è stato Bertani che ha iniziato con grandi amaroni  invecchiati 7-8 -10 anni.

W.
Ma dove lo vendeva?

S.
In Inghilterra, Francia, Olanda e anche in Italia.  Ma non parliamo di grandi quantità anche se lui aveva un’organizzazione di vendita notevole. Sull’onda di questo successo anche la Bolla iniziò con l’Amarone. Noi invece abbiamo iniziato con i primi Amarone dopo il 1960.

W.
Lei ha detto una cosa importante.  Da una parte c’era  un vino semplice, secco, piacevole fresco immediato come il Valpolicella, dall’altra c’era il Recioto, un vino che era dolce che più dolce non si può;  nel mezzo era nato quell’ibrido…

 

S.
Bravo, Esatto! Mio papa infatti, che è morto nel 1970, non lo beveva, non gli piaceva.  Noi iniziammo a produrlo consigliati da Bolla. Per anni lo imbottigliavamo con la cannuccia, bottiglia per bottiglia. Nel frattempo il Recioto veniva richiesto sempre meno e l’Amarone sempre di più.

W.
Ma come nasceva, praticamente, l’Amarone.

S.
La vinificazione dell’Amarone era più complessa, ora magari è semplice ma allora era complessa..
Si pigiava a gennaio-febbraio e poi si metteva nella cantina più temperata. Quando lo si travasava, a  marzo, si sistemava sotto un porticato in botti da 50 ettolitri, in modo che fino a giugno andava col caldo a 25-28 gradi, favorendo completamente la fermentazione. Li ci stava fino a settembre arrivando a sviluppare fino a 16 gradi alcolici. Poi lo si travasava ancora e si metteva ad invecchiare.

W
Emilio Fasoletti ( direttore del Consorzio di Tutela dell’Amarone e del Valpolicella n.d.r.) ci diceva che l’anno di svolta per l’Amarone, quello che lo ha fatto veramente conoscere, è stato il 1985. Questo nonostante il 1983 fosse stato un anno di grande crisi per il Valpolicella e anche nel 1986 e 1988 non è che se ne vendesse molto.

S.
Confermo e straconfermo.  In quegli anni esistevano una miriade di imbottigliatori di bassa lega che vendevano quantità industriali di Valpolicella  inventato, in bottiglioni da due litri a tappo corona,in Germania e nord Europa, ma anche in Italia. Quindi l’immagine del Valpolicella era assolutamente negativa. Meno male che è uscito l’Amarone, che ci ha trascinato  fino a pochi anni fa, quando il Valpolicella è migliorato e non di poco. Ma l’Amarone in principio non aveva un suo disciplinare. In quello del 1968 venne spesa una riga, una sola riga  per l’Amarone. C’era scritto “il Recioto della Valpolicella esiste anche nella versione asciutta e prende il nome di Amarone.” Solo questo!
Quindi anche in anni in cui l’Amarone iniziava a tirare, appunto dal 1985 al 1990, si doveva mettere in etichetta “RECIOTO DELLA VALPOLICELLA DOC” scritto grande e “Amarone” sotto, scritto in piccolo. Questo provocava dei bei casini perché la gente leggeva “RECIOTO” sulla bottiglia mentre in realtà era Amarone. Però poi telefonava per ordinare “quel” Recioto ma in realtà voleva l’Amarone. Finalmente nel 1990, quando ero Presidente del Consorzio, siamo riusciti a scinderlo ed ha creare un disciplinare a parte per l’Amarone.

W.
Ma, alla fin fine, si sta parlando di meno di 20 anni fa!

S.
In effetti l’Amarone è una storia abbastanza recente .  Sono io che  sono vecchio e per questo posso ricordarmi tante cose: tipo quando incominciammo a mettere le prime regole e arrivammo a tamponare tante falle, perché quando c’è interesse……beh… lasciamo stare. Oggi sarei felice se si arrivasse all’imbottigliamento in zona o almeno in Provincia di Verona. Così si smetterebbe di imbottigliare tanto Amarone in posti come Lucerna e Norimberga!

W.
Questo proprio non lo sapevamo! Certo che Lucerna e Norimberga sono abbastanza lontane da Verona….Ultima cosa:  è vero che da un punto di vista storico il Valpolicella Ripasso veniva fatto  con le vinacce del Recioto sul Valpolicella base? Quindi oggi facendo il Ripasso  sul Superiore si è cambiato strada.

S.
Signorsì. Confermo! Oggi si cercano vini più strutturati, roba più importante, oramai il mercato tira verso il ripasso importante.
Ma il Ripasso, in realtà, non era nato solo per dare struttura e profumi a vinelli deboli ma per lavare le vinacce del Recioto. Questo perché se si portavano le meravigliose vinacce del Recioto in distilleria non si “ciapava”, non si prendeva  niente. Allora i contadini, per sfruttare tutto, lavavano queste vinacce con un vino più debole, sfruttandole ed arricchendo quel vino con corpo e profumi .
Mi ricordo che quando si tirava fuori il Recioto e si metteva nella mastella, magari ancora in fermentazione, aveva dei profumi  incredibili, nobilissimi, meglio di quelli dell’Amarone.  E mi ricordo anche quando si portava il Recioto nelle trattorie a maggio, mezzo torbido , ancora in fermentazione. Era un vino eccezionale con profumi  che si sentivano da lontano. Ora immagini ripassare un Valpolicella su queste vinacce profumatissime….che vini che venivano. Qualche volta, sempre per non  buttare via niente, si lavavano col vino le vinacce per due volte, ma il vino del secondo passaggio era peggiore e spesso veniva utilizzato in casa.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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