Alcolismo tra i giovani: cosa fare?4 min read

Repubblica ha pubblicato lunedì 21 luglio un ampio servizio sul problema alcolismo nel nord-est, in particolare nel Friuli. Leggendolo mi sono prima sorpreso per i dati (la causa di morte più alta tra i giovani tra i 18 ed i 25 anni, quasi la metà degli incidenti stradali dovuti all’alcol, ragazzi che parlano di dosi medie giornaliere ingurgitate da capogiro, in alcuni casi superiori a 5 litri etc..) poi mi sono avvilito e solo ora, a mente quasi fredda, mi vengono alcune riflessioni.
La prima domanda che mi pongo è “Il giornalismo enogastronomico specializzato si è mai occupato dei problemi relativi all’alcolismo (in generale  o da  vino in particolare?)”. La risposta penso proprio sia no (mi scuso con le eventuali eccezioni). Subito dopo però mi domando come andrebbe trattato quest’argomento: presentando dati? Intervistando alcolisti pentiti? Facendo proposte concrete? Un mix di tutte? Sinceramente non so, ma sono convinto che il mondo del vino “alto” avrebbe il dovere di cercare di capire e di aiutare quello “basso”,  dove il bottiglione da 3 € è il vino della festa, dove  non si capisce la differenza (specie tra i giovani) tra un’ aranciata ed una bevanda con un modesto, (ma comunque presente) contenuto d’alcol, dove una bottiglia di vodka costa meno di un vino che noi siamo abituati a definire “quotidiano”. Si potrebbe obbiettare che tutti i corsi di degustazione e conoscenza del vino servono proprio a questo, ma i grossi problemi di alcolismo non si trovano tra quelli che si avvicinano spontaneamente alla conoscenza del vino, ma proprio tra coloro che non si sognano minimamente di provare a capire il vino e l’alcol in genere.
Non mi consola constatare che in molti altri paesi, specie di ceppo anglosassone, la situazione non sia certo migliore. Un esempio su tutti: ho degli amici neozelandesi che al party per i 16 anni (età in cui si può ufficialmente assumere alcolici) delle loro figlie hanno cercato di fargli prendere la sbornia con un solo alcolico, in modo da moderare gli effetti della immancabile ciucca. Questo però in un paese dove non esiste o esiste relativamente il concetto del pranzo in famiglia, di stare ad un tavolo assieme per mangiare qualcosa per un periodo superiore ai 10-15 minuti. Un paese dove il tabù più sentito e di cui si parla meno non è il sesso ma l’alcol.
Non mi consola perché anche da noi, purtroppo, stiamo arrivando alla stessa situazione. Senza andare tanto lontano da casa mia: ho la famiglia al mare in un campeggio dove la scorsa settimana il 118 ha dovuto fare un intervento notturno sulla spiaggia per una ragazzina di 16 anni in coma etilico, perchè aveva tracannato mezza bottiglia di vodka e mezza di whisky. Questo non durante un rave party ma in una “normale” serata tra amici. Per carità, tutti siamo passati da alcuni eccessi alcolici giovanili e non sarò certo io a scagliare la prima pietra. Inoltre non voglio passare per il moralista da due soldi che da colpe alla società ed alla famiglia, dicendo che entrambe sono molto più disgregate oggi che in passato ed il controllo dei genitori sui figli è indubbiamente più blando ora che in passato (anche se è vero…..). Voglio semplicemente arrivare ad un concetto: se il mondo che conosce bene l’alcol ( il nostro) non aiuta quello che non ne conosce le caratteristiche e gli effetti, i successi dei nostri amati ed osannati vini di qualità rischiano di diventare cattedrali nel deserto. Se non riusciamo ad aprire un dialogo con chi sostiene a spada tratta che l’alcol e comunque un male da estirpare si rischia di perdere di vista che il nostro bel ruscello, andando avanti ed uscendo dalla nostra vista, diventa spesso un fiume inquinato e puzzolente.
Per questo passo ad una modesta proposta. Mezzo centesimo per ogni bottiglia di vino venduta da tutti i produttori di vino vada in un fondo che un associazione abbastanza rappresentativa dei produttori (Federdoc?) gestisca assieme al Ministero della Salute. Questo potrebbe servire a far conoscere i pro ed i contro dell’alcol, sopattutto nelle scuole medie inferiori e superiori. Utopia? Forse, ma poi non lamentiamoci se ogni tanto i produttori vengono trattati alla stregua di avvelenatori sociali  e la pubblicità di un noto produttore di Prosecco si trova proprio nella pagina dove lo stesso vino viene additato come calamità sociale.(Repubblica del 21/08/08)
In definitiva: se continueremo  a nascondere a noi stessi il problema delle dipendenze da alcol e dei problemi dell’alcolismo oltre il muro delle cantine meravigliose e delle degustazioni paludate e professionali dove si “degusta” e non si beve, rischieremo di allontanarci sempre più dalla realtà per poi scontrarcisi duramente il giorno in cui verranno prese misure drastiche per limitare il consumo di qualsiasi bevanda alcolica.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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