Giornalista o PR? That is the question.4 min read

Faccio qualche riflessione sulla settimana delle Anteprime Toscane che ha richiamato anche quest’anno quasi 200 giornalisti da tutto il mondo, per lo più specializzati, a fare il punto della situazione sulle ultime vendemmie prodotte e commercializzate dalle varie denominazioni.

 

E’ stato forse proprio l’altissimo numero di ospiti accreditati che, quest’anno più di sempre, ha portato tanti e in più occasioni ad affrontare un argomento che da tempo è discusso nell’ambiente del vino. Argomento discusso più o meno a voce alta  sia all’interno dei consorzi organizzatori, sia tra i produttori, sia tra i giornalisti stessi: il cambiamento epocale che negli ultimi 10-15 anni ha contraddistinto il mondo della comunicazione del vino e (di conseguenza) anche quello del giornalismo enogastronomico.

 

Fino  a una decina di anni fa la distinzione tra il giornalista, l’addetto stampa ed il PR era piuttosto netta; ognuno faceva il suo lavoro, collaborava con gli altri, ma le competenze raramente si sovrapponevano.

 

Da allora, complice anche (ma non solo) la crisi economica che ha colpito l’editoria in modo profondo, la situazione è molto cambiata. Intanto il numero di persone coinvolte nei vari ambiti è lievitato in modo esponenziale, in concomitanza a vere o presunte crescite della conoscenze e della capacità degustative.

Da una parte quindi i giornali hanno costantemente ridotto il personale dipendente e dall’altro sono cresciuti coloro in grado, o che credono di esserlo, di scrivere articoli in modo professionale su un territorio o su aziende e vini.

 

Diventando praticamente impossibile vivere di giornalismo (eccetto per i pochi che ancora sono dipendenti di un giornale e pochissimi altri), tanti bravi professionisti hanno dovuto guardarsi intorno e decidere come mettere a frutto le loro competenze.

 

Hanno iniziato a organizzare eventi, a curare uffici stampa a occuparsi di comunicazione e PR, o addirittura di commerciale e questo di per sè è comprensibile. Mi sembrerebbe utile però, che per chiarezza specie verso gli stranieri che non sono abituati a questo stile tipicamente italiano, fosse chiaro qual è in effetti il loro  lavoro. Onestamente non so come, ma sarebbe utile una distinzione tra chi si occupa di vino solo scrivendone e chi invece, più o meno raramente, ne scrive, ma fa PR e comunicazione.

 

Come hanno reagito coloro che si sono sempre occupati solo di comunicazione? Ad un certo punto, costantemente scavalcati da chi tiene relazioni con la stampa da pari a pari, hanno deciso di adeguarsi  a quella che ormai è diventata una consuetudine, causando il comprensibile nervosismo di chi il giornalista lo fa di professione e che per potersi dire tale ha dovuto fare un percorso lungo e faticoso di gavetta.

 

Percorso che però chi fa il comunicatore da anni, ha dovuto fare con altrettanta fatica, solo che nessuno gli riconosce un tesserino per questo motivo.

 

Ma veniamo alle nuove leve, quei i giovani che magari hanno pure  il tesserino da giornalista, ma che da subito hanno iniziato a lavorare occupandosi di uffici stampa, PR, etc.

Per loro questo modus operandi è normale, lo hanno sempre fatto e sempre visto fare, per cui non c’è motivo di porsi il problema della correttezza etica che può avere.

Insomma c’è una gran confusione di ruoli che, ancora una volta, è tutta tipicamente italiana perché all’estero ognuno fa il suo lavoro, tutti sanno esattamente chi hanno davanti e perché.

 

E allora? Allora ormai non credo si possa tornare indietro, ma si potrebbe essere più chiari e dire apertamente qual è il lavoro che svolgi: “Sono un giornalista, ma mi occupo di uffici stampa, di comunicazione, di PR”. E dall’altra parte altrettanto: “Mi occupo di PR, comunicazione e uffici stampa e ogni tanto scrivo qualche articolo per amicizia, per divertimento o perché serve per farmi un po’ di promozione facendo conoscere la mia competenza nel settore e di conseguenza la mia capacità professionale”.

 

Ho letto un’intervista che mi ha colpito: “Adua Villa: chef, vini e social da millennial”. In questa Adua (food blogger, sommelier, autrice di libri, collaboratrice di varie riviste enogastronomiche), con molta tranquillità (e perché dovrebbe essere diversamente?) fa riferimento ad una sua collaborazione con un noto birrificio. Il concetto quindi è: sono giornalista non perché ho il tesserino, ma perché scrivere è effettivamente parte importante del mio lavoro poi, per questa azienda, faccio altro. Ecco così si fa, scrivere è il mio mestiere lo faccio davvero e poi faccio anche altro.

 

A parere mio non solo essere più chiari renderebbe il lavoro più trasparente in generale, ma di sicuro ne guadagnerebbe la professionalità, la credibilità e la collaborazione reciproca, con risultati migliori per tutti, ma soprattutto per il mondo del vino italiano.

 

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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