Il Chianti diventa dolce? Tranquilli!3 min read

La notizia è di quelle ghiotte, su cui si potrebbero fare titoloni del tipo “Il Chianti diventa dolce?” 

 

Del resto quando una denominazione storica come il Chianti porta gli zuccheri riduttori (cioè quelli rimasti dopo la fermentazione, non certo zuccheri aggiunti) da 4 a 6.5 gr/l un po’ di paura è logico averla.

 

Anch’io all’inizio l’ho avuta e stavo per puntare l’indice contro i responsabili del consorzio.

 

Per fortuna, dopo la paura, mi è venuta anche la voglia di informarmi meglio. Del resto con lo zucchero avevo avuto a che fare proprio un anno fa, quando pubblicai questo articolo che prendeva in considerazione gli incredibili zuccheri residui di tanti vini vini italiani commercializzati dalla SAQ, il monopolio del Quebec.

 

Così mi sono messo a girovagare per i vari disciplinari  di rossi, anche  famosi e importanti, per vedere quanti grammi di zucchero prevedono e mi sono trovato davanti a due tipi di sorprese.

 

Da una parte alcuni disciplinari, come per esempio quello del Romagna Sangiovese, prevedono zuccheri molto più alti dei 6.5 del Chianti, dall’altra la “sorpresa” che la stragrande maggioranza dei disciplinari di vini importanti (Brunello, Barolo, Barbaresco tanto per fare qualche nomi) non riportano il limite di zuccheri residui.

 

Tranquilli, la cosa è possibile e legale, perché il regolamento  comunitario 607 del 2009 permette di non riportare tale dato, dicendo che in un vino secco (quindi sotto ai 10 gr/l di zucchero residuo) qualora il tenore di zucchero non venga riportato, il vino potrà averne sino “a 9 g/l purché il tenore di acidità totale, espresso in grammi di acido tartarico per litro, non sia inferiore di oltre 2 grammi al tenore di zucchero residuo.”

In altre parole un vino DOC/DOCG/DOP/IGP/IGT  secco che non ha riportato nel disciplinare il livello di zucchero residuo massimo,  con 6% di acidità può avere sino a 8 grammi di zucchero, con 5% fino a 7, con 4.5% fino a 6.5 e via andare.

 

Se ci pensate bene un vitigno come il sangiovese, per non parlare di nebbiolo o di corvina, arriva normalmente ad acidità attorno a 5 e quindi 7 grammi di zucchero sono già possibili per Barolo, Barbaresco, Valpolicella, Brunello e compagnia cantante.

 

Quindi, in pratica, tante denominazioni blasonate possono fare vini con zuccheri residui più alti di quello richiesto dal Chianti e per questo le discussioni sull’innalzamento richiesto dal Consorzio sono dei falsi problemi di cui non vale nemmeno la pena discutere. Del resto non stiamo parlando di un rosso da grande invecchiamento ma di un vino quotidiano, a cui si richiede fondamentalmente un minimo di piacevolezza per il costo che ha.

 

Se proprio devo dirla tutta ad una denominazione come il Chianti, con vini che vengono venduti nemmeno a 2 euro al supermercato e quindi prodotti cercando di mantenere il più bassi possibili i costi, avere due grammi in più di zucchero nel vino può servire a rendere meno verdi tannini non maturi, meno pungenti acidità scisse, insomma a smussare alcuni problemi che 200-300 ore ad ettaro per lavorare vigne di collina portano giocoforza con sé.

 

Tutto questo senza far diventare minimamente dolce il Chianti.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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