Anteprima Nobile di Montepulciano: uno sguardo al passato per il futuro5 min read

Si sono chiusi i battenti anche per l’Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano con il riconoscimento delle stelle alla vendemmia 2016 (4 su 5 possibili): in degustazione invece le vendemmie 2014 e 2013 Riserva.

 

Secondo i dati sulla produzione forniti dal Consorzio le bottiglie immesse nel mercato nel 2016 sono state circa 7 milioni (più 2.5 milioni di Rosso di Montepulciano) con 76 aziende imbottigliatrici.

 

Nel settembre 1984, quando iniziai la mia collaborazione con il Consorzio, erano iscritti 19 produttori imbottigliatori e  3-4 erano fuori Consorzio. Non ricordo con esattezza il numero di bottiglie prodotte, ma c’erano  circa 400-500 Ha iscritti all’albo che sei anni dopo, nel 1990 quando lasciai il Consorzio, erano più o meno 700. Oggi sono attorno ai 1.200, con un bell’incremento.

Negli ultimi trenta anni la zona è considerevolmente cresciuta fino a rendere il vino la principale attività economica del Comune di Montepulciano che conta meno di 15.000 abitanti.

 

Da anni ormai i sindaci che si sono alternati alla guida della città lavorano a fianco del Consorzio, ben consapevoli dell’importanza di questa produzione per la vita e l’economia della città, ma io ricordo i miei primi incontri con l’allora sindaco.

Lo volevo convincere a partecipare alla prima riunione dell’Associazione “Città del vino” che, grazie all’attività del Consorzio, si sarebbe svolta proprio a Montepulciano. La mia attesa di due ore davanti alla porta del suo ufficio perché “da qui dovrà passare se vuole andare a casa”, era l’ultimo tentativo di incontrarlo dato che si era rifiutato di darmi appuntamento. Quando, costretto dall’evidente insistenza, mi ascoltò accettò di portare i suoi saluti agli altri sindaci che sarebbero convenuti, ma non prima del “simpatico” scambio di battute che ci scambiammo: “Lei è la più grossa rompic… che mi sia capitata” -“Ricambio con la stessa convinzione.”

Però dedicò ai suoi colleghi addirittura 5 minuti di discorso, che per i suoi standard erano un tempo lunghissimo.

 

Aneddoti a parte di strada la Denominazione, sia grazie al lavoro del Consorzio, sia alla collaborazione attivissima del Comune, ne ha fatta davvero tanta, anche dal punto di vista qualitativo.

 

Sempre nel 1984 delle 19 aziende associate ce n’erano un terzo che producevano vini da buoni a ottimi, il resto erano prodotti per lo meno discutibili. Grazie all’attività di supporto tecnico del Consorzio, nell’arco di 3-4 anni, il numero di aziende che producevano vini più che buoni era considerevolmente salito. Oggi vini scadenti non ci sono e la qualità è in costante crescita, cosa della quale la stampa italiana e internazionale è ormai (quasi) unanimemente consapevole.

 

Ne è prova la vendemmia 2014 che, proprio in virtù del fatto che non è la vendemmia del secolo, può dimostrare chi sa fare vini buoni anche quando è davvero difficile. Il 2014 non è vino adatto a restare in cantina per tanti anni, ma chi ha saputo curare e selezionare le uve, chi ha rinunciato alle riserve e alle selezioni destinando le uve migliori al vino base, chi ha fatto un uso corretto e non eccessivo del taglio con il 2015 (consentito dal Disciplinare fino al 15%), ha prodotto vini semplici ma gradevoli, che nel breve periodo (3-5 anni), complice anche un prezzo più abbordabile di altri vini pari tipologia, vale la pena di bere. 

Il 2013 Riserva era rappresentato da solo 16 campioni, ma tralasciando un paio di “mattonate marmellatose” ormai decisamente fuori stile, per il resto ho assaggiato prodotti profumati, equilibrati e di ottimo livello.

 

Per quanto riguarda il 2016 (cui sono state attribuite 4 stelle su 5), molti produttori affermano essere una vendemmia migliore dell’osannato 2015 che ne ha ricevute 5.

 

Sul piano dell’immagine troviamo forse le vere problematiche dato che la Denominazione continua a rimanere piuttosto soffocata tra i due colossi Brunello e Chianti Classico, stentando a trovare una sua precisa collocazione e soprattutto non presentando un adeguato numero di eccellenze unanimemente riconosciute. 

Ma perché, se il terroir di Montepulciano è di indiscussa eccellenza e tanti produttori (anche se diversi hanno iniziato da pochi anni) possiedono ormai una comprovata esperienza di vigna e di cantina?

I più affermano che ciò che manca è una definita identità di territorio, che dia riconoscibilità alla maggioranza della produzione. Non aiuta di sicuro la possibilità data dal Disciplinare (l’ultima modifica risale al 2010) di utilizzare fino al 30% di vitigni diversi dal Sangiovese.

 

Non è facile che vini al 70% o al 100% Sangiovese siano immediatamente riconducibili ad una stessa Denominazione. Però, non può essere questa la vera motivazione visto che più o meno lo stesso vale per il Chianti Classico dove il problema dell’identità c’è sicuramente, ma non così sentito.  

 

Secondo me il vero problema è che i produttori non hanno ancora compreso appieno un concetto che è anche una grande opportunità: il terroir è forte (anche se il territorio è piccolo) ed è in grado di caratterizzare in modo unico anche vitigni internazionali, così come accade altrove.

Allora suggerirei di puntare su due cose:

1. Prevedere nel Disciplinare una dizione specifica per i vini Sangiovese 100% oppure con piccole percentuali  con vitigni autoctoni  tipo Colorino e Canaiolo. Qualcosa del tipo “Nobile di Montepulciano Sangiovese”

2.   Valorizzare e spiegare due importanti lavori già fatti dal Consorzio, finalizzati a evidenziare le peculiarità delle varie zone: la zonazione (un lavoro molto accurato di qualche anno fa) e la divisione in zone produttive fatta da Alessandro Masnaghetti con la sua cartina.

 

Se il terroir c’è, i produttori sanno lavorare, ma i vini continuano ad essere tanto diversi, non sarà perché in effetti produrre in zona “Le Caggiole” o in zona “Argiano” vuol dire trovarsi di fronte a terreni e microclimi così particolari da caratterizzare anche gli stessi vitigni?

Non mi pare sia il solo esempio al mondo di vigneti confinanti che danno prodotti completamente diversi … o no?

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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