Vernaccia di San Gimignano in Sala Dante: il binocolo girato dalla parte giusta3 min read

“Poi ch’innalzai un poco più le ciglia/vidi ’l maestro di color che sanno/seder tra filosofica famiglia.”

 

Scusate la citazione dantesca ma quando sei seduto in Sala Dante a San Gimignano non puoi fare altro che innalzare le ciglia per ammirare quelle scene che uomini come Lippo Memmi  e Benozzo Gozzoli  (e scusate se è poco) ci hanno lasciato in eredità da 600 anni e passa.

 

Ma le ciglia conviene anche abbassarle e riportarle al livello dei 12 bicchieri che ci aspettano, 6 di Vernaccia di San Gimignano e sei di Clape AOC, la zona francese vicino a Narbona scelta quest’anno per il classico confronto “da Sala Dante”.

Per la prima volta una donna a guidare le danze, la MW Rosemary George, affiancata dai sei produttori di San Gimignano che , parafrasando Dante “sanno seder tra enologica famiglia”.

Naturalmente sto parlando delle sei cantine scelte da Rosemary per rappresentare San Gimignano: cantine che non voglio citare non perché non lo meritino (tanto lo faranno tutti gli altri colleghi) ma perché voglio, in onore di Dante, Lippo e Benozzo, provare ad innalzare un po’ il discorso.

 

Ogni anno, appena avvicino al naso le Vernaccia di questa particolare e sempre interessantissima degustazione subisco una specie di “straniamento enoico” e comincio a domandarmi se  i vini che ho nel bicchiere sono gli stessi che, anno dopo anno, degusto per Winesurf.

 

La risposta è si, la risposta è no.

 

Si perché in effetti sono gli stessi vini, no perché sono quegli stessi vini ma con almeno uno, due anni di bottiglia in più. E’ come se quando degustiamo la nuova annata guardassimo i vini usando un binocolo al contrario: li vediamo perfettamente ma non riusciamo a capire la loro reale grandezza. Grandezza che ha bisogno di tempo per esprimersi, tempo che i produttori, i consumatori, i giornalisti, il mercato in genere non concedono a questo vino.

Non concedendogli tempo non permetti al vino di palesarsi per quello che è: cioè un bianco (in molti casi ma non in tutti…) da bere dopo almeno 2-3 anni di invecchiamento.

 

Quindi la Vernaccia di San Gimignano è un vino succube della “sindrome da Sala Dante” dove lì e solo lì si palesa per quello che realmente è, anzi era.

Era perché oramai i vini che stiamo assaggiando sono fuori dal commercio, sono bottiglie che il mondo intero (produttori in primis) considerano vecchie, superate dalle annate più giovani, anche loro messe in pista alla svelta per portare il pane a casa.

 

Se non si riesce ad uscire da questa spirale ben poco virtuosa credo sia anche inutile organizzare queste belle degustazioni e per questo faccio una proposta.

Le cantine il cui vino viene selezionato dal giornalista di turno per la degustazione, devono garantire che almeno 500 (meglio 1000) bottiglie di quello stesso vino, siano rimaste in cantina e siano pronte per essere vendute, magari con un piccolo adesivo che dica al mondo che quel vino è stato degustato e apprezzato dalla stampa mondiale in Sala Dante.

 

Se non riusciamo a far replicare le sensazioni provate fuori dalla vista della madonna, degli angeli e dei santi dipinti da Lippo, allora la Vernaccia di San Gimignano rimarrà sempre un vino considerato da bere giovane e pagato come un vino giovane.

 

Chiudo ricordando che questa degustazione si è svolta durante l’anteprima della Vernaccia di San Gimignano, dove si poteva anche assaggiare la vendemmia 2016, di cui naturalmente non parlerò.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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