Per capire i rosati sono stata a Italia in Rosa5 min read

Dei rosati ho sentito dire di tutto, spesso delle vere sciocchezze.  Che  sono vini “ibridi”, una via di mezzo tra il bianco e il rosso o sono privi di identità e quindi hanno poco senso, che sono “vinelli” piacevoli, da bere ben ghiacciati d’estate per un aperitivo, ma non ci puoi pasteggiare. Addirittura che sono vini da “signorine” che solo una donna  può bere e, rincarando la dose, deve anche essere una che ne capisce poco per apprezzarli. Insomma  non proprio “rosei” luoghi comuni…

Invece io li ho sempre apprezzati. Forse perché il mio primo rosato l’ho bevuto a  Sète,  quando ancora l’unica distinzione che riuscivo a fare era “mi piace, non mi piace”: malgrado non sapessi niente di tecniche di degustazione e di abbinamento, quel rosato che accompagnava un “plateau royal des coquillage” mi aveva pienamente soddisfatta.

 

Da allora sono passati molti anni, e anche molti calici. I miei gusti sono cambiati, la mia conoscenza del vino è aumentata (lo dice il mio direttore, non certo io) e la passione per quello che gli ruota intorno pure. 

 

Per questo sono stata ben felice di partecipare alla nona edizione di  Italia in Rosa, che si è svolta a Moniga del Garda dal 10 al 12 giugno e che è iniziata con una degustazione riservata alla stampa di una ottantina  di rosati (altrettanti è stato possibile degustarli il giorno dopo) provenienti da tutta Italia. Una  gamma di tipologie distanti tra loro per profumi, colori e sapori ma tutte ugualmente apprezzabili.

I tre principali intenti   della manifestazione erano far conoscere i vini rosati e quindi invogliare al consumo, sollecitare i comunicatori del vino a raccontare di questo mondo fin troppo snobbato e invitare i produttori a confrontarsi, consorziarsi e studiare insieme nuove strategie di mercato.

Per questo la manifestazione da una parte era aperta al pubblico e dall’altra il programma per la stampa prevedeva anche un convegno da titolo “Il futuro del rosé: numeri e dimensioni di un mercato in forte espansione”.   

Molto interessante l’intervento di  Michel Couderc, responsabile del centro studi ed economia del Conseil Interprofessionel  Vins de Provence,  durante il quale ha snocciolato i numeri della produzione, dell’esportazione e anche dell’importazione francese, in quanto per soddisfare la sempre maggiore richiesta di vini rosati la Francia ha iniziato anche ad importarne.

Puntuale l’intervento di Tiziana Sarnari, analista di mercato di Ismea e specializzata nel comparto vitivinicolo, che ha evidenziato il fatto che in Italia non ci siano precisi dati produttivi  a disposizione, perché non essendo un prodotto  “che tira” il rosato non rientra nemmeno nelle statistiche di mercato e nei sondaggi. Sarebbe invece opportuno cominciare ad averne,  così da iniziare a pensare nuove strategie di mercato.

Anche  Lucia Nettis, direttrice di Puglia in Rosé (52 cantine associate) ha confermato l‘importanza del raggiungimento dell’obiettivo espresso da Alessandro Luzzago,  presidente del Consorzio Valtènesi, cioè di ampliare la promozione dei rosati delle varie zone di Italia anche  collaborando tra associazioni, ed ha lanciato l’idea di unirsi in una sorta di “stati generali dei vini rosati” per cominciare a contarsi, capire chi sono i produttori, quali sono i vini  prodotti, i tipi di vinificazione, i vitigni, i territori… ed arrivare sul mercato “uniti e vincenti” .

 

Durante il convegno  mi chiedevo perché ovunque cresce il consumo di rosati ma non in Italia (almeno fino a "dati contrari"), che pure ha alcune zone tradizionalmente vocate. E perché in una zona come la Provenza, dove i rosati rappresentano il 90% dell’intera produzione vinicola devono addirittura importarli per soddisfare la richiesta, che negli ultimi quindici anni è  aumentata  di oltre il 45%?

E perché in Italia non esistono studi di settore  e dati certi sulla produzione?  Forse perché, come ci ha detto Michel Couderc , la Provenza ha puntato (ed investito, credendoci) molto sulla promozione turistica inserendo il vino rosato tra le peculiarità del territorio.

 

In Italia invece, soprattutto in zone dove c’è maggiore produzione di rossi, il rosato è considerato spesso “un ripiego”, nel senso che non si coltiva e vendemmia l’uva pensando al rosato: questo quasi sempre nasce da un salasso per avere vini rossi più concentrati e strutturati. Una produzione quasi “casuale”, che non dà specificità (e spesso nemmeno qualità) al prodotto.

Al termine del convegno è stato, come da tradizione, assegnato il trofeo Molmenti per il miglior Chiaretto dell’ultima vendemmia. Su 21 finalisti è risultato vincente il Valtènesi Chiaretto Doc 2015 delle Cantine Avanzi di Manerba. Vittoria per me del tutto meritata visto che tra i molti assaggi mi aveva particolarmente colpito per avere un delicato bouquet ma una bocca ampia, con una bella acidità; mostrava anche equilibrio e persistenza.

 

Il mio percorso  in rosa proseguirà e continuerò a scegliere  un rosato ogni volta che su un determinato piatto (e la cucina italiana ne è piena, soprattutto in estate)  un bianco sarebbe poco e un rosso sarebbe troppo. O semplicemente quando avrò voglia di un vino che mi piaccia e mi regali delle soddisfazioni,  con  le sue caratteristiche e le sue molte garbate sfumature.  E voi che farete?

 

 

Tiziana Baldassarri

Ho due grandi passioni: il mare ed il vino. La prima mi fa vivere, la seconda gioire. Dopo il diploma di aspirante al comando di navi mercantili ho lavorato nella nautica sia in terra che in mare per poi approdare a scuola, dove sono assistente tecnico mentre dopo il diploma di sommelier ho partecipato attivamente alla vita di FISAR  facendo servizi, curandone i corsi come direttore e ricoprendo cariche istituzionali.

Ma la sublimazione assoluta della passione enologica è arrivata con l’arruolamento nell’esercito di winesurf dove degusto divertendomi  e mi diverto degustando, condividendo sia con gli altri “surfisti” sia con coloro che ci seguono, le onde emozionali del piacere sensoriale.


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