Chianti DOCG sfuso in Canada: interessanti novità5 min read

Dopo l’incontro con il direttore del consorzio Chianti  Alessandro Bani abbiamo le idee abbastanza chiare sulla vicenda di cui abbiamo parlato qui e riguardante del chianti DOCG con tanto di fascetta, venduto sfuso e imbottigliato in Canada per conto della SAQ (monopolio canadese).

 

La prima cosa da dire è che purtroppo  il disciplinare del Chianti DOCG non prevede l’imbottigliamento nella sola zona di produzione. Quindi qualsiasi soggetto autorizzato può richiedere di imbottigliare chianti, sia si trovi un metro fuori dalla DOCG sia, appunto, in Canada. Questa è una grossa falla nella denominazione a cui il consorzio, con una variante al disciplinare in via di approvazione (forse entro fine anno, più verosimilmente entro la prossima primavera) sta cercando di porre  rimedio.

 

Rimedio in verità parziale perché tutti quelli che già imbottigliano fuori zona potranno chiedere una deroga e continuare a farlo. In particolare potranno continuare a farlo i 17 imbottigliatori esteri (3 all’interno della UE e 14 extra UE) che ad oggi già imbottigliano a casa loro partite di chianti DOCG sfuso.

 

Ma come realmente “si svolge” l’acquisto di partite di Chianti DOCG sfuso da parte del signor X in Canada ( di qualsiasi altra parte del mondo )? Per prima cosa c’è l’accordo tra produttore e imbottigliatore. Quest’ultimo, dopo aver deciso il prezzo,  chiede all’organo di certificazione (che non è il consorzio Chianti ma Toscana Certificazione Agroalimentare, un’ ente tipo  Valore Italia, tanto per capirsi) di andare nella cantina del produttore X a ritirare un campione di vino di quella partita di tot ettolitri. L’ente ritira i campioni, li fa analizzare, poi li fa degustare ad una commissione di assaggio e se passano i due step il vino ottiene l’idoneità.

 

A quel punto l’imbottigliatore dice al consorzio Chianti di aver ottenuto l’idoneità da TCA e quest’ultimo, dopo aver controllato, emette le fascette relative alla partita di vino. Le fascette viaggeranno a fianco del vino sfuso che, una volta arrivato a destinazione, verrà imbottigliato etichettato e “fascettato” con, ATTENZIONE, un codice in fascetta che non potrà purtroppo riportare al produttore, ma solo a chi ha fisicamente chiesto l’idoneità, in questo caso l’imbottigliatore.

 

Questa purtroppo non è certo, specie dal punto di vista dell’immagine, una grande cosa per un vino DOCG che basa molto della sua immagine sulla sinergia con il territorio Toscano, ma, rispetto a qualche giorno fa possiamo almeno spiegarvi come fare per risalire dalla fascetta di un Chianti DOCG a tutti i dati presenti sulla stessa.

Basta andare sul sito della TCA (www.tca-srl.org), cliccare nella home page su tracciabilità e contrassegni, inserire negli spazi “serie” e “numero” i rispettivi dati sulla fascetta e saprete chi è il produttore o l’imbottigliatore di quel Chianti DOCG.

 

Per esempio se uno inserisce il codice presente sulla fascetta nella foto ecco cosa esce:

MARCHES CONSTELLATION QUEBEC INC.

Sede legale: 175 CHEMIN MARIEVILLE-ROUTE 112 – – – ROUGEMONT QUEBEC (CANADA)

Partita IVA: 9999999999

Vino: DOCG Chianti— 2012

Data idoneità: 14/03/2014

 

Purtroppo non possiamo risalire al produttore (ma Costellation è proprietaria di Ruffino..) però almeno all’imbottigliatore ci siamo arrivati. Naturalmente se l’idoneità viene richiesta dal produttore i dati sulla fascetta vi riporteranno a lui.

 

Ma vediamo di capire quanto è il Chianti DOCG che viaggia in cisterna all’estero: sono circa 7.600 ettolitri, che non sono certo pochi ma in percentuale sono meno dell’ 1% del totale prodotto (800.000 hl.), che per il 91% e rotti viene imbottigliato in Toscana, per il 7% abbondante in Italia e il rimanente all’estero, da quei 17 imbottigliatori di cui parlavo prima.

 

Ma veniamo al cuore del problema. Chi ci garantisce che quel vino, in particolare il Chianti Antolini Mazia, la bottiglia venduta dalla SAQ in Quebec, sia effettivamente il Chianti DOCG partito dall’Italia? Purtroppo i controlli di tutela in Canada (che fino a che il vino resta sfuso riguardano l’ente certificatore, cioè TCA, e solo dopo che è in bottiglia il consorzio Chianti) sono molto laschi o inesistenti:  questo sia per mancanza di personale addetto (e soprattutto di fondi per pagarlo) sia perché si va ad intervenire in uno stato estero con proprie leggi e propri enti adibiti al controllo. 

 

Comunque, o per questo o per quello, nessun organo ufficiale italiano (se non dopo aver chiesto permessi ufficiali con trafile che potete immaginare) può andare a controllare che in quella bottiglia ci sia realmente quel Chianti DOCG. Questo per quanto riguarda i paesi extra UE, mentre per quelli europei e naturalmente per l’Italia la cosa è diversa : i controlli non sono molti ma ci sono (80 lo scorso hanno in Italia e 20 nei paesi UE)  e la speranza è che aumentino sempre più.

Come la speranza è che venga approvato in fretta il cambi odi disciplinare che almeno bloccherà il numero di imbottigliatori fuori zona, anche se chi vuole potrà appoggiarsi a quelli che in Italia già lo fanno o ai 17 all’estero che otterranno l’imbottigliamento in deroga, inficiando così nei fatti la modifica. 

 

Se poi pensiamo che tale modifica era già stata approvato tra il 1999 e il 2000 ma successivamente impugnata, portata al Tar e annullata, l’unica cosa è sperare che non riaccada nuovamente. Come dire…meglio qualcosa che niente.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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