Tormentone estivo: i vini meno conosciuti e compresi d’Italia4 min read

Da alcuni giorni sul web impazza il gioco estivo sui personaggi più sopravvalutati e nel mondo enoico  quello sui vini più sottovalutati d’Italia. Noi scegliamo naturalmente una terza via, decidendo di presentarvi  invece i vini meno conosciuti (in molti casi a ragione) d’Italia.

 

 

Timidello di Montalcino DOCT (Denominazione d’Origine Cautamente Timida)

Vino che si produce in tutto il territorio del comune di Montalcino. Stiamo parlando di un rosé dal colore scarico, tenue, diafano, prodotto da un particolare clone di sangiovese, chiamato Sangiovefaccilagraziafallomaturare.  La vinificazione, effettuata solo negli anni in cui le uve accennano a maturare, è quella del salasso totale. Le uve vengono messe a fermentare e dopo poche ore, di fronte alla schifezza dei profumi che vengono fuori, il tutto viene buttato nella fogna. Solo pochi coraggiosi continuano la vinificazione, ma si vergognano così tanto (da qui forse il nome del vino. n.d.r.)  a proporlo, che il vino rimane sia sconosciuto che invenduto.

 

 

Sciardonnay iraniano del Pollino

Tutti sanno che l’attuale Iran ha dato il nome e forse i natali ad un uva famosissima come lo Shiraz, ma ben pochi conoscono la storia di un gruppo di esuli iraniani che, proprio mentre Reza Pahlavi, lo Scia di Persia, fuggiva negli Stati Uniti,  trovavano asilo nei duri anfratti del Monte Pollino in Calabria. Qui sorse una piccola comunità agricola che sin da subito piantò dello chardonnay, da loro chiamato in onore del sovrano in esilio, Sciardonnay. Il vino viene consumato tutto in loco anche se una piccola parte viene destinata a riserva, da utilizzare solo al momento del ritorno degli eredi del trono di Dario in Persia.

 

 

Fia no di Avellino

Vino prodotto nella zona di Prato da uno sboccato e maleducato contadino, un tempo innamorato perso di una bella figliola di Avellino. Naturalmente quella non gliela fece nemmeno vedere e così, ritornando al paesello e al campo, con la classica graffiante autoironia toscana, traslò nel nome del vino il fallimento amoroso. Prodotto solo in pochissime bottiglie che di solito regala ad amici più sfigati di lui.

 

 

Müller Phurgau della Mer de Glace

Ben pochi sanno che sul famoso ghiacciaio si trovano i vigneti più alti di Europa e forse del mondo. Tutto merito della guida alpina Hans Müller, che dal cantone svizzero di Thurgau portò con sé delle barbatelle di un’uva locale per piantarle poi alle immediate pendici del ghiacciaio, in una zona nascosta e ben riparata dai venti. Della prima vendemmia produsse nemmeno cento bottiglie che fece assaggiare, bramoso di un parere favorevole, alle altre guide alpine. Tutte purtroppo dissero la stessa cosa, e cioè che il vino faceva cagare. Visto che Müller non gli credette, lodando invece le qualità del prodotto, pensarono bene di appiccicargli anche il nomignolo con cui è conosciuto ancora oggi, che siamo arrivati alla 36° vendemmia.

 

 

Vermeintino di Jattura

La Jattura è una delle zone italiane più sfigate in assoluto dal punto di vista climatico. Per questo piantare delle uve da vino venne visto a suo tempo come un modo per farsi male. In effetti le uve che maturano in quel clima riuscirebbero a dare anche un vino soltanto mediocre, se non fosse per un vermetto  locale che si sviluppa sui legni umidi come sono, appunto, quelli dell’interno delle  botti. Questo verme si nutre del legno e poi va a scagazzare nel vino quanto mangiato. Per questo il vino locale, chiamato naturalmente Vermeintino di Jattura è uno dei più schifosi e, per fortuna, meno conosciuti, d’Italia.

 

 

Gattiinaria

Vino bianco da uve sauvignon di bella struttura e dai classici profumi, deve il suo nome agli anni in cui i primi produttori avevano cantine non proprio perfette dal punto di vista igienico. In particolare molti di questi amavano circondarsi di gatti, che purtroppo si sentivano padroni della cantine, riempiendole anche degli effluvi delle loro pisciate. Immancabilmente il vino veniva a contaminarsi ed assumeva quell’aroma  che veniva spacciato per un classico del sauvignon italico, la pipì di gatto. Un giorno un produttore più avveduto di altri capì il problema e vi pose rimedio in maniera piuttosto plateale. Prese per la coda uno per uno i gatti che aveva in cantina e gli fece fare un volo di almeno 50 metri. Quelli che sopravvivevano venivano convinti con mezzi ancor più spicci a non più ripresentarsi. Da qui viene il nome di questo bianco che però, a causa degli errori del passato, non riesce ancora a sfondare.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE