E tra i DiVini Etruschi… i DiVini Volterrani7 min read

Già, gli etruschi. E’ a loro, popolo notoriamente godereccio (precursori dello slogan sessantottino “fate l’amore, non fate la guerra”) che dobbiamo in età villanoviana l’introduzione e l’acclimatazione della vite in Italia, e a testimonianza di ciò ci sono i semi di vite rinvenuti in alcune tombe nell’area del Chianti.

Del resto, se andiamo a vedere il territorio delle dodici lucumonie, meglio conosciuto come Etruria, emerge l’indubbia vocazione vinicola, con uve e vitigni che nel tempo hanno assunto diverse denominazioni: si parte da sud con Montefiascone, ci si sposta verso l’interno per trovare Orvieto e Montefalco, più a nord Montepulciano e Montalcino e tutto il territorio del Chianti. Si torna quindi verso il mare con Pitigliano,  il Morellino di Scansano, l’Aleatico, l’Ansonica e, per l’appunto, la Costa degli Etruschi (con Bolgheri in primis) fino a Luni, e poi chi più ne ha più ne metta.

Fino a qualche anno fa in questo vasto territorio esisteva un’”isola infelice”: Volterra, forse troppo occupata a vendere alabastro e a fare bella mostra di sé con i suoi tremila anni di storia, i suoi monumenti e le sue incantevoli campagne per pensare al vino: bene, la lacuna è stata colmata grazie a qualche giovane intraprendente e a qualche straniero insediatosi sul posto e che insieme hanno creduto nelle potenzialità del territorio volterrano.

E possiamo certificare che il risultato, la produzione di un vino di qualità, è stato raggiunto. E il bello è che è stato raggiunto insieme: le cinque aziende che insistono sul territorio non sono animate da spirito di concorrenza, anzi. Convinti che l’unione (e la qualità) faccia la forza, hanno creato l’ Associazione Vignaioli Volterrani e hanno contribuito all’organizzazione di una bella e interessante manifestazione nella cornice della superba e austera Piazza dei Priori dal titolo “DiVini Etruschi” . Una tre giorni ideata da  www.carlozucchetti.it che torna a Volterra dopo due anni, ampliata e rinnovata.

 

Nei due giorni precedenti la manifestazione, i cinque vignaioli che solo pochi giorni prima si sono ufficialmente associati dopo mesi di collaborazione e amicizia, hanno voluto ospitare alcuni esponenti della stampa enogastronomica, organizzando visite nelle aziende, degustazioni, pranzi e cene.
Il tutto inizia martedì sera con la cena che servirà per conoscersi e conoscere i vignaioli. Siamo alla  Fattoria Lischeto, dove il simpatico proprietario di origine sarda con accento labronico Giovanni Cannas, ci offre alcuni dei  formaggi strepitosi di sua produzione, tra i quali un pecorino nato da uno sbaglio che si è rivelato poi una fortuna. Non ha niente da invidiare ai cugini francesi a pasta molle, dei quali mangi anche la crosticina leggermente muffata.

I piatti della tradizione contadina toscana sono stati egregiamente accompagnati da un vino per ognuna delle cinque aziende e la serata, tra un commento tecnico e una risata, è volata.

Al mattino seguente ci siamo trovati tutti alla Tenuta Monte Rosola dove Michele Senesi, agronomo e amministratore dell’azienda di proprietà di una coppia di svedesi, ci ha accompagnati tra le vigne e in cantina, dove abbiamo assaggiato e disquisito sui  quattro vini  prodotti. Un Merlot in purezza,  un uvaggio a maggioranza Sangiovese con un quarto di Cabernet Sauvignon e una punta di Shiraz, un Sangiovese in purezza, e un uvaggio a maggioranza Shiraz con un quarto di Cabernet Sauvignon.

Il pranzo, a base sia di piatti toscani sia di  leccornie svedesi (strano ma vero), è preparato dai proprietari, una coppia di Stoccolma che una volta terminate le loro attività, (medico lei, ingegnere meccanico lui),  decisero di acquistare l’azienda dai precedenti proprietari, una coppia (anche loro stranieri, tedeschi per la precisione) che nel 1999 aveva fatto rinascere la tenuta dopo che negli anni sessanta era stata abbandonata

Prima di passare a biscottini svedesi e alla torta di limone della padrona di casa,  ci viene servita  una selezione di formaggi dei  fratelli Carai. Giuseppe Carai  ci spiega che la loro specialità è quella di produrre formaggi utilizzando solo latte crudo e ci assicura che i loro formaggi vengono prodotti esclusivamente con il latte delle loro pecore che pascolano nella media-alta Val di Cecina.

Nel pomeriggio ci spostiamo al Rifugio dei Sogni, un agriturismo di proprietà di una coppia italiana, Mario e Patrizia,  ma che si è conosciuta ed ha vissuto in Belgio ed è rientrata in Italia con la voglia di fare vino.

Acquistano una piccola proprietà che trasformano in agriturismo con alcuni terreni intorno che iniziano a coltivare a vite. Attualmente possiedono quattro ha di vigneti divisi in sette appezzamenti ed alcune particelle in affitto dove coltivano vitigni internazionali ed autoctoni che danno origine ai loro vini. Ma la novità, non ancora in commercio è il Refosco metodo classico   che Mario, veneto, ha voluto provare per omaggiare la sua terra. E dall’assaggio che abbiamo fatto potrebbe anche dargli parecchia soddisfazione.

La terza tappa è stata da Alessio Bernini, presidente dell’associazione e proprietario de “Il Mulinaccio”, che prima della cena ci ha fatto fare un giro in cantina dove abbiamo assaggiato varie cose. Il giro è terminato, guarda caso, a tavola dove abbiamo apprezzato la loro cucina  accompagnata dai due vini che produce: un vino da tavola rosso, Sangiovese in purezza, destinato principalmente ma non solo ai clienti dell’agriturismo e un IGT a base Sangiovese con una punta (5%) di Colorino come da tradizione toscana.

La mattina del Giovedì l’appuntamento è fissato al Podere Marcampo. Comodo per me (Tiziana) che ho pernottato lì. Gli altri tardano un po’ e io approfitto per godermi lo stupendo paesaggio e fare due chiacchere con Claudia e suo padre Genuino. Piano piano arrivano gli altri e iniziamo il tour per l’azienda. Claudia con passione ed entusiasmo ci racconta di come qualche anno prima il padre, proprietario e chef del “Ristorante Enoteca del Duca” nel centro storico di Volterra  decide di comprare una casa in periferia e inizia a girare per poderi, fino ad innamorrsi e scegliere il Podere Marcampo.

Inizia la ristrutturazione e intanto chiede consiglio a un amico agronomo perché oltre a riprendere la produzione di olio extravergine di oliva dai duecentocinquanta olivi secolari, vuole iniziare a produrre vino… l’amico non lo incoraggia, il terreno di Volterra non sembra essere l’ideale per la viticoltura, ma la tenacia di Claudia e Genuino hanno la meglio e nel 2005 sui due ettari  di  terreno prettamente argilloso nasce il giovane vigneto diviso in particelle esposte diversamente che ancora oggi producono le uve Merlot e Sangiovese e  danno origine a quattro vini rossi. A forza di assaggi siamo riusciti per fortuna a far slittare all’ora di pranzo quella che doveva essere una impegnativa colazione tipica del 1° maggio a Volterra.  Infatti  per la festa dei lavoratori a Volterra si fa colazione  con la trippa in umido “rinforzata” da pezzetti di pancetta.

 

Anche se servita a pranzo la trippa ci ha leggermente (si fa per dire) provati. Meno male che l’ultima visita, quella dal  giovane Francesco Pepi è stata una lunga passeggiata tra i vigneti. Francesco, persona timidissima,  possiede tre ettari due dei quali coltivati con Sangiovese, Ciliegiolo, Colorino e Montepulciano e uno con Vermentino.

 

Come potete capire due giorni decisamente goduriosi, perché in conclusione quando si parla di etruschi e di vino, è bene ricordare che mentre i greci bevevano per meglio dissertare di filosofia e i romani bevevano per ricordare le loro battaglie imperiali, per gli etruschi (i nobili naturalmente) il vino era un piacevole mezzo per raggiungere un ancor più piacevole fine: l’erotismo.

 

Gli efebi facevan da coppieri e le etere (prostitute d’alto bordo, non solo belle ma anche di buona cultura (fatti non foste… ebbe a dire Dante oltre un millennio più tardi), facevano il resto. E il “pingue tirreno” – questo il nomignolo affibbiato agli etruschi dai romani – se la spassava. Ma non poteva durare: greci dal mare, romani da sud e celti dal nord ebbero ovviamente la meglio su un popolo evidentemente più godereccio che bellicoso.

 

 

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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