Campania Stories e il Golem-Taurasi4 min read

Non è facile a caldo parlare dei primi assaggi di Campania Stories, che per quanto mi riguarda (sono arrivato al secondo giorno causa colpo della strega) sono stati incentrati solo sull’Aglianico ed in particolare sul Taurasi.

Nella prima (per me) giornata di questa bellissima manifestazione, la sola in Campania che porta la stampa italiana e mondiale a contatto con questo territorio, ho degustato circa una cinquantina di Taurasi (dal 2011 al 2000) ed una ventina di Aglianico di altre denominazioni.

 

Non è facile parlare a caldo soprattutto perché il giudizio non può essere molto positivo, specie per il Taurasi e per la concezione molto “vecchia” di questo vino.  Vecchia nel senso del modo superato di fare grossi (non grandi) vini, magari con dosi massicce di legno (che per fortuna stanno diminuendo nelle ultime annate) e grandi concentrazioni che alla fine ingessano sia la struttura sia le componenti aromatiche; quest’ultime alla fine  si “rilasciano” solo per degradarsi senza grandi complessità.

 

Capisco di andare controcorrente rispetto a quanto detto da diversi colleghi,  ma grandi Taurasi  ne ho degustati pochi e non perché fossero troppo giovani e non pronti. I vini andavano dal 2011 sino al 2000 e quindi di prodotti pronti e addirittura maturi ce n’erano non pochi.

 

Ma un fattore positivo c’è: per fortuna, più andiamo su annate recenti più certi problemi si stemperano. Per esempio l’uso del legno , la grande concentrazione che porta a tannini amari e rustici, i nasi che difficilmente si sviluppano verso grandi complessità che diventano ancora più profonde nel tempo.  Per fortuna nelle annate più recenti  (pare che…) questo accada molto meno e ne sono felice.

 

Tanto per ribadire: rifacendomi anche alla degustazioni del Sannio (vedi) di pochi giorni fa, sembra che Taurasi sia prigioniero di una sua immagine di grande vino modello anni 2000, ma piano piano la stia perdendo assieme a “pezzi” che, in realtà, non servivano.

 

Una specie di Golem che piano piano si evolve, si modifica arrotondandosi  divenendo uomo, così il Taurasi, nato vino-Golem,  piano piano sta diventando vino-vino, perdendo pezzi inutili che incidono fortemente sulla bevibilità, eleganza, complessità. Però ancora siamo nel mezzo al guado, anche perché si parla di vini che devono maturare a lungo, prima in cantina e poi in bottiglia, per dare una risposta oggettiva.

 

Tra i due tre problemi principali di questo vino, quello che spero possa veramente andare a risolversi è la complessità aromatica dell’aglianico, (che non per niente veniva e “forse” viene utilizzato -senza marcarli dal punto di vista aromatico – per rinforzare vini del centro o del nord con qualche carenza ). Assaggiando sia 2000 che 2005-2006 e 2007 mi sono trovato di fronte a nasi o troppo maturi o non molto definiti mentre le bocche erano ancora potenti, giovani, fresche, elastiche. Questo a casa mia vuol dire che al naso c’è qualcosa che non quadra, che non permette al vitigno di esprimersi al meglio. Sarà colpa del produttore, del vitigno, degli enologi? Non lo so ma per un grande vino il naso è importante quanto la bocca.

 

I Taurasi delle annate più recenti (2011-2010) mi sono sembrati invece più “umani” e questo è un bene, anche se una certa “ingessatura” ce l’hanno ancora e speriamo col tempo e l’affinamento scompaia.  Il bello è che accanto ai Taurasi abbiamo trovato degli Aglianico “base” assolutamente piacevoli ed eleganti, senza per questo venire meno a potenza e buona concentrazione tannica. Non sto parlando di un vino ma di almeno una decina, il che fa pensare che la positiva rilassatezza enologica da cui nascono questi vini non sia la stessa che porta al difficile concepimento dei Taurasi.

 

Insomma…la strada da percorrere è lunga e i produttori irpini non sembra abbiano problemi nel percorrerla, ma forse è l’approccio che dovrebbe essere diverso: magari chiedere meno a se stessi e alla vigna per ottenere di più, essere più rilassati, accettare anche vini con minori estratti ma più eleganza, credere veramente che l’equilibrio in un vino non va per forza raggiunto dopo 10 anni in bottiglia.

 

Sicuramente ne riparleremo: nel frattempo sto andando in Irpinia, per la sessione su Fiano e Greco…mi aspetto grandi cose.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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