Ho saputo adesso della morte a 71 anni del grande Giorgio Marchetti, alias Ettore Borzacchini. Architetto lucchese, oltre a collaborare da sempre con il vernacoliere ci ha lasciato, con il suo “Borzacchini Universale, Dizionario Ragionato di lingua volgare, anzi volgarissima” e con i quattro libri che sono seguiti, forse le pagine più ironicamente entusiasmanti della letteratura italiana contemporanea.
Se ne va un grande scrittore ed io vorrei poter pubblicare tutti i suoi scritti, che mi hanno fatto ridere fino a piangere. Ma non posso e quindi ne scelgo uno, una vera e propria “degustazione guidata” e quindi in tema col nostro giornale, che ci farà capire cosa abbiamo perso, anche se non sarebbe giusto essere tristi visto che Giorgio, con i suoi scritti ci ha lasciato di che ridere per i prossimi 200 secoli. Grazie Giorgio.
Il brano è tratto dal “Il Nuovissimo Galateo del Borzacchini” ed. Ponte alle Grazie
“Egli, il chiaretto, si rivelò, al colore, pudibondo e nuvoloso, ma contemporaneamente barbagliante d’un rubinaccio spento, quasi pennellato di terrose riminiscenze, ricordando certi trebbianelli ambiziosi o i sangiovesi adulti da salotto.
Ma al gusto fu la vera sorpresa: squadrato e sentenzioso negli avancorpi, fu subito dopo ruspigno e cipollato nel centro destra, mentre l’ala sinistra scivolava ampollosamente sugli strascichi gargamellosi e dorotei dei lambruschini claudicanti dell’Oltrepò Pavese; il bouquet spingeva dapprima con insistenza sul fragolato pesto, ammiccando però alle vaniglie zebrate e ai pistacchi esotici, mentre la coda si impennava orgogliosamente sulla papillazione di mentuccia fungata e di vaghe tisane del sottobosco friulano dalle parti di Cividale.
Non v’era traccia e non me ne dolsi, di retrogusto, se non a fiocchetti spenti di sparagio salvatico, qua e là punzonati di asciutto rigno di muflone d’Abruzzo.
Il corpo, magniloquente e pomposo, aggrediva poi il palato con fare sprezzante ed ortogonale, aggallando nella faringe a piccole e frequenti bolle chiacchierine, senza peraltro obliterare l’ugola, anzi molcendola come rorido, tiepido pelo di nutria.
Frusco, ben pasturato e solenne nelle intenzioni, il vino risultò altresì leggermente gianduiato nella maturazione, reclamando ancora un poco di riposo, forse ad acquisire vieppiù rango e stoffa, senza però pretendere il decoro marchionale dei fratelli maggiori: il Succhiasassi Tartufato nature di Roccapregna del Vulture ed il leggendario Zoccolato rosè dei Conti Cucchiaioni Papera di Poggio Merdoso.”