Dialogo tra un amante del Durello e un…aspirante tale6 min read

Non in presenza di Don Vito Corleone  e grazie agli amici del Consorzio, per la prima volta winesurf si è cimentato con il Durello. Per “benedire” quest’unione la squadra di degustatori era composta dal conoscitore e amante sviscerato del Durello Roberto Tonini e dal non conoscitore e… non proprio amante Carlo Macchi. Questa strana coppia ha assaggiato il non molto a disposizione (la produzione è scarsa anche se in crescita) ed alla fine, invece di scrivere il solito classico resoconto degli assaggi, ha pensato di scriversi una lettera, un botta e risposta più di pancia che di testa, dove la passione o la non passione per questo vino viene a galla.

 

Starà a voi sposare l’una o l’altra causa.

 

 

Caro Roberto,

l’assaggio fatto assieme di Durello non è che mi abbia proprio soddisfatto appieno. Te lo dico con tutto il rispetto possibile, perché so che la tua passione per questo vino risale a tempi non sospetti .

 Cosa è che non mi ha convinto? Se devo essere sincero una serie di cose.  In primo luogo i profumi che si sviluppano nel bicchiere non sono mai estremamente intriganti e raffinati ed infatti  molti gli aggiungono quel 10-15% di Pinot Nero o Chardonnay ( o Pinot Bianco) per dargli una grazia ed una complessità maggiore. Se al naso il vino è piuttosto chiuso e titubante in bocca si trasforma e, con una spinta acida che i migliori cercano in qualche modo di mitigare, veleggia tra il molto fresco e l’eccessivamente ruvido, in diversi casi senza che la cremosità riesca a mitigare quella che è comunque la vera caratteristica del vitigno e del vino, l’acidità.

Acidità che è spesso virilmente portata ad esempio di assoluta diversità e quindi (qui il passaggio è poco chiaro) di qualità comprovata. Non è detto che se un vino e molto diverso dagli altri sia giocoforza anche buono.

Ho in mente ancora le sensazioni di un Durello metodo classico bevuto a fine serata e consigliato quasi come digestivo: in effetti aveva un’acidità devastante e anche se tutti lo glorificavano per quello, io non sono riuscito ad andare oltre il primo sorso. Nei nostri assaggi abbiamo sì trovato alcuni ottimi vini, ma la maggioranza non ci ha fatto impazzire.

Devo però  ammettere che i produttori conosciuti sono bravissime persone e credo  facciano al meglio il loro lavoro, ma durante il “Durello tour”  mi è passato più volte per la testa  un’idea: cosa accadrebbe se, per puro caso, un grande produttore di champagne vinificasse e spumantizzasse la Durella? Ci sarebbero netti miglioramenti dovuti ad un uso più antico e comprovato della tecnica, oppure i risultati sarebbero gli stessi? In altre parole, l’esperienza spumantistica dei durellisti come e quanto può migliorare e nel contempo migliorare il prodotto? E per migliorarlo si deve per forza farlo così acido o si può arrivare a dei compromessi che soddisfino l’unicità del vitigno e il palato “non allenato” dei consumatori? 

Sono convinto che alcuni produttori (le degustazioni parlano chiaro) sono già ad un livello alto ma, se la produzione è in crescita vuol dire che altri si stanno avvicinando a questo prodotto, magari con un’esperienza spumantistica non certo decennale. Forse quello che si può permettere di meno il Durello è un eterno limbo qualitativo creato dal continuo arrivo di altri produttori, attirati dalla novità ma senza la necessaria esperienza. Questi sarebbero poi i primi ad abbandonarla al suo destino nel momento in cui la voglia di un vino “maschio” tenderà a declinare ed a quel punto per il Durello tornerebbero tempi non proprio felici.

Insomma, aspetto da te chiarimenti che solo uno che da più di venti anni beve Durello può e sa darmi.

 

 

 

Carissimo Carlo,

diciamo la verità: le valutazione sui vini fatte da guide e riviste, stampate o su internet, sono fatte soprattutto per addetti ai lavori. Con diverse gradazioni ma tutte abbisognano di una non lieve conoscenza di termini tecnici e di valutazione. Ma tutti questi media devono passare sotto le forche caudine di una speciale oggettività. Cioè l’uso di un linguaggio che risulti comprensibile e utilizzabile da quella certa fascia di persone. I cosiddetti “addetti ai lavori”.

 

Io però parto da altri presupposti. Parto intanto dal presupposto che il vino lo bevo a tavola mangiando. Non bevo per nessuna ragione al mondo il vino in piedi e se devo meditare non bevo proprio. Se mi deve andar bene a tavola con il cibo le valutazioni classiche degli addetti ai lavori non mi appaiono al primo posto come utilità. Sono piuttosto altri i fattori primari, come il buon abbinamento, come la reperibilità, ma anche il costo.

 

Il più delle volte le scelte del vino quotidiano si ereditano per abitudine della famiglia e poi facendo proprie esperienze. La scelta e la predilezione segue quindi un tragitto niente affatto banale e scontato. Parlo di scelte “ordinarie”, fatte dalla maggioranza di chi consuma il vino e quindi hanno un’ importanza non secondaria. Le scelte della“maggioranza silenziosa”.

 

Ci sono poi casi speciali in cui il vino entra in una combinazione ideale di vino-alimento-luogo-compagnia. Questi sono i casi classici in cui il vino ti ricorderà quell’occasione, con quella speciale compagnia, in quel particolare luogo. E ogni volta che lo berrai ti farà rivivere in qualche maniera quei momenti. E questi saranno i tuoi vini speciali.

 

Che c’entra questo con la qualità del vino e le recensioni? Poco forse in teoria, ma all’atto pratico molto. Può succedere che in questi casi  la qualità del vino non sia riconosciuta secondo i canoni classici, di grande e assoluto valore.

 

Ma veniamo a quanto hai scritto sul Durello.

 

Secondo te questo vino non ha ancora tutti gli attributi qualitativi di vino eccellente. Intrigante e raffinato. Può darsi.

Nonostante questo (ammesso e non concesso) io invece ne sono innamorato. Perché? Scoprendolo casualmente una trentina di anni fa ad un Vinitaly: fu come uno schiaffo, per la serie amore oppure odio. E fu amore, al primo bicchiere.

 

Il fatale incontro fu con Lino Marcato. E fu subito grande amicizia. Fu lui a farmi poi conoscere le varie declinazioni del Durello.

Nella mia vita ho lavorato per una decina d’anni in Francia e conosco abbastanza bene lo champagne.  Il Durello era ed è una cosa ben diversa, ma è ugualmente molto attraente per me. E qui finalmente si arriva alla diversa caratteristica delle mie valutazioni: si passa dall’oggettività (convenzionale) alla soggettività. E allora le cose  cambiano.

 

Tanto per capirsi, come si fa a dire che Brigitte Bardot non vale una Claudia Cardinale, o che una Audrey Hepburn non vale una Sofia Loren, e magari ai giorni d’oggi che una Sharon Stone non vale una Monica Bellucci? Parlo come donne, ma anche come attrici.

 

Non mi voglio certo mettere a fare abbinamenti attrici-vino. Però se mi chiedi a chi paragono il Durello dico senza esitazione Sharon Stone. Quella del film Pronti a morire (The Quick and the Dead).

Immaginando che un suo bacio dia sensazioni simili ad un generoso sorso di Durello! Vedere per credere. Pardon bere per credere. Quanto al bacio……bisogna arrangiarsi con la fantasia.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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