La Schiava, ovvero il vitigno Cenerentola!4 min read

Qualcuno potrà dire “Ma questo è fissato con la Schiava!”. In effetti comincio a pensarlo anch’io ma per fortuna credo di essere in buona compagnia, visto che anche il resto della commissione assaggiatrice delle Schiave (Porcelli, Annibali e Giacomelli) ha trovato indubbiamente di alto valore  i 60 vini degustati (che pubblicheremo tra qualche giorno…pazienza!) alla Camera di Commercio di Bolzano . Posso quindi dire senza problemi che il 2006 è stata un’ottima annata per questo vitigno: profumi classici e netti, equilibrio tra acidità e corpo, belle lunghezze, eleganti chiusure: insomma tutto il repertorio che hanno fatto di questo vitigno uno dei miei preferiti.
Pensando ai suoi storici alti e bassi (qualitativi, commerciali, di immagine) mi è venuta in mente la favola di Cenerentola ed in effetti questo vitigno, che da vini simpaticamente eleganti, potrebbe tranquillamente cambiare il suo nome in “Cenerentola”(che per un po’di tempo la schiava l’ha fatta……) Gli elementi della storia ci sono tutti. La prima parte della vita di Cynderella si attaglia perfettamente al periodo “schiavista” che va dagli anni 50 sino alla metà degli anni ottanta, quando praticamente tutto l’Alto Adige (3500 ettari su un totale di 5.432) era un vigneto di Schiava, prodotta per essere consumata in loco ma soprattutto per essere esportata in Germania. Anni d’oro, dove non si andava tanto per il sottile in quanto a quantitativi prodotti  ed a qualità finale. Ma ecco la tragedia: da una parte nelle vesti della perfida matrigna, dall’altra nella caduta di un mercato che si era basato troppo sul nome e poco sulla qualità e nell’arrivo di una serie di matrigne e sorellastre molto più avvenenti, come Chardonnay, Sauvignon, Merlot, Cabernet e via cantando. La povera Cenerentola finisce in cantina, nascosta ai più: quasi come i vini a base di schiava, commercializzati con un basso profilo in bottiglioni da un litro o addirittura in contenitori di acciaio per, orrore a dirsi, la vendita alla spina. Il mercato tedesco crollato, quello italiano inesistente! Risultato:ogni anno si espianta schiava a favore di altri vitigni ma soprattutto si crede sempre meno in questo vitigno. La nostra cenerentola ha un futuro senza speranza. La parte finale della favola, almeno per quanto riguarda la Schiava, possiamo solo prevederlo. Il Principe sembra infatti stia arrivando armato di scarpetta di vetro, alias mercato di qualità ,che però per essere indossata alla perfezione ha bisogno ancora di una cura dimagrante. Troppi sono tuttora gli ettari di schiava piantati con concetti esclusivamente quantitativi (siamo intorno ai 1500 su un parco vitato regionale che supera di poco i 5000 ). Una buona parte di questi dovrà essere tolta per lasciare spazio a quelli che possono dare vini con caratteristiche particolari, quasi uniche. Solo dopo quest’ultima cura la nostra Cenerentola riuscirà ad andare al ballo con gli altri vini senza preoccuparsi minimamente dell’arrivo della mezzanotte.
Fuor di metafora: con un mercato che, specie all’estero (Giappone, Stati Uniti) sembra riscoprire i vini rosati e comunque con un trend che tende a rivalutare rossi giovani, freschi e non molto corposi, il futuro di questo vitigno appare indubbiamente roseo. Ma, come la favola insegna, niente si può dare per scontato. Io credo che dovranno essere compiuti due importanti passaggi: il primo è esclusivamente psicologico e consiste nel non vergognarsi più di presentare e proporre Schiava di qualità in Italia al di sotto di Trento. Il secondo è di marketing: occorre che tutte le aziende produttrici e gli enti preposti alla promozione studino un modo per presentare la “nuova” Schiava (sia che si chiami Lago di Caldaro, Santa Maddalena, Meranese o semplicemente Schiava) al ballo, pardon, al mercato. Fatela diventare, almeno di facciata, un rosato; proponetelo come il rosso del nord che si beve freddo; chiamatelo pure Cenerentola ma fate qualcosa perchè non potete pensare di usare i vecchi abiti per sfondare davvero in un mercato come quello attuale.
Fermo restando questi passaggi, che richiederanno tempo e sforzi non indifferenti, da accanito lettore di favole nonché inveterato bevitore di Schiava, non posso che augurare un finale del genere “E tutti bevvero Schiava felici e contenti!”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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