Ortona DOP: una scelta particolare5 min read

"Strano, strano, quanto mai strano” –   Shakespeare , Amleto.

 

Qualcosa di completamente diverso: la Dop Ortona. ovvero una Dop che produce numero 2 vini: un rosso e un bianco. Sull’ etichetta c’è solo il nome della Dop. La Dop si estende sul territorio del comune di Ortona, né più né meno. E’ proprietà di un consorzio apposito, a cui aderiscono 9 soggetti molto assortiti: c’è un agricoltore, un paio di aziende di buone dimensioni, alcune cooperative con decine di associati, una cooperativa di cooperative.

 

Ma l’ etichetta non reca traccia dei produttori.

 

Converrete che è controcorrente: l’ acquirente appassionato di vino vuole sapere chi è il produttore, anche l’ enologo, dov’è l’azienda, qual è il vigneto…si divertono così , cosa volete farci .

 

Il rosso è un Montepulciano in purezza. Ha un tannino importante, per niente ruvido, vellutato .

Il bianco è trebbiano al 60% , pecorino e passerina per il restante. Le note di agrumi conferite dal pecorino prevalgono sul trebbiano, piacevolmente.

 

I due vini interpretano al meglio il lo stile enologico del territorio, esprimono al meglio il carattere dei vitigni .

Prezzo leggermente superiore alla media di queste zone, ma comunque contenuto.

Sono vini buoni, fatti da agricoltori bravi.

 

Tutta l’ impresa ha un carattere collettivista ed equalitario . Non può che avere il mio plauso , dal profondo del cuore. Che però trema, pensando alle difficoltà di farsi capire da un mercato che ha altri archetipi per la testa .

 

L’ etichetta standard è essenziale e sobria, tanto da diventare facilmente invisibile sullo scaffale di un’enoteca.

In verità ci sono tre etichette per due vini . Perché il rosso (lo stesso rosso) viene presentato anche con un’ etichetta diversa: essa reca, come nome del vino il numero 70. Edizione limitata, bottiglie numerate.

Fa riferimento al 70°  anniversario della battaglia di Ortona. Insieme a Cassino, all’altro estremo della linea Gustav, c’era Ortona, che fu sede di una sanguinosa battaglia urbana, condotta con le tecniche di Stalingrado. Ci furono 1350 vittime civili. Per gli alleati, combattè  il corpo di spedizione canadese.

 

 

Questo immane massacro viene ricordato da questa etichetta, ricavata da un bozzetto , vincitore di un concorso fra artisti…ma hanno dato il loro contributo anche le ragazzine di una scuola , che hanno rallegrato la cerimonia quando cominciava a scivolare nella malinconia.

 

Per chi non lo sapesse (ops) o non lo avesse ancora capito sto parlando della  presentazione ufficiale della Dop Ortona , che è avvenuta con una cerimonia ( oggi si dice “evento” ) nel piacevole teatro liberty della cittadina.

 

A questo punto, se non avete smesso di leggermi, vi state chiedendo “Tutto questo, che ci azzecca?”.  Domanda legittima.

 

Ogni faccia di questo poliedro mi ispira solo parole di encomio. E’ l’ insieme che mi spiazza e mi sfugge: la Dop Ortona, l’addetto militare dell’ ambasciata canadese, le romanze di Piero Paolo Tosti,  l’ allegra scolaresca … faccio fatica a tenerli insieme .

 

Trovo tutto un po’ sorprendente, un po’ strano.

 

“Strano sarà lei !” mi dicono gli amici di Ortona, e sicuramente hanno ragione .

 

 

2° parte                      trahit  sua quemque  voluptas

 

 

Oltre ai due Ortona Dop , ci hanno fatto assaggiare i vini delle aziende (alcune) che partecipano all’ impresa. Ne abbiamo anche visitate alcune, significative.

Parleremo di questi vini in modo più appropriato quando passeranno dalle nostre degustazioni alla cieca.  Intanto ne cito alla svelta qualcuno.

 

Azienda Dragani, passerina Selva dei Canonici 2013.

 

San Zeffirino, Montepulciano 2011 e pecorino IGT terre di Chieti 2013.

 

Cantina Sociale Ortona,della linea “Amanti”, passerina   2013  e cerasuolo 2013.

 

CITRA, della linea “Palio”, il Montepulciano 2012.

 

Faccio invece un discorso lungo su due aziende che producono biologico.

Esco da me stesso, metto da parte i pregiudizi ideologici e mi esprimo in modo obiettivo.

 

Comincio da Agriverde : un’azienda leader  dell’ agricoltura biologica, un investimento importante, un fiore all’occhiello del settore .

Partiamo dal dato fondamentale: i vini sono ineccepibili, non hanno nessuna delle stimmate del vino biologico. Se non ce lo dicono , che è biologico , non ce ne accorgiamo.

Nella presentazione dell’ impresa si attengono scrupolosamente all’ ortodossia biologica e non solo, un po’ new age . Niente ci viene risparmiato: dalla bioarchitettura della cantina, alla cromoterapia che ispira gli intonaci, alla musica classica che culla e massaggia il vino durante la maturazione . Ma, in concreto, si muovono con assennata prudenza .

Ad esempio: la bioarchitettura…sì, qualche citazione, nell’andamento ondulato del tetto, nella vetrata rotonda…ma , se ripenso alle teorie dei bioarchitetti fondamentalisti, con cui ho avuto a che fare alla fine degli anni ’80 , questa è una versione assai moderata. Mi sa che anche nelle tecniche di produzione applichino il verbo del biologico con molto giudizio.

 

Dora Sarchese è un’ azienda biologica senza se e senza ma. Nel suo caso non c’è bisogno che ce lo dicano che il vino è biologico: si vede. Nel bicchiere spicca fra gli altri vini: colore aranciato, quasi rosato del pecorino Dorad’Oro 2013, oro vecchio della cococciola 2010.

In bocca la prima, intensa, sensazione è il sapore di crosta di pane caldo .Piacevole, soprattutto nel pane caldo. Direi che dipende dai lieviti più che da un  tocco di ossidazione ed è identico in tutti i vini di questa azienda.

I miei amici sanno che un principio di ossidazione non mi dispiace (e mi prendono in giro per questo): i bianchi fermentati sulle bucce, che tanto bianchi non sono, mi riportano alla prima adolescenza e ai trebbiani toscani di allora. Ne trovate molti di clienti con questo imprinting?

Si direbbe di sì, perché l’azienda è prospera e le strutture sono prestigiose .

 

Appare evidente che la produzione di vino biologico ha un’importanza economica rilevante .

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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