Chianti Classico: una mano può lavare l’altra?5 min read

In questi giorni si è molto parlato di  Chianti Classico. Da una parte perché alcuni produttori, anche importanti, si sono dichiarati favorevoli ad una specie di “menzione geografica”, riportando in etichetta il comune o la frazione dove viene prodotto il vino. Dall’altra grazie al consorzio che sta portando a compimento la “discesa in campo” della cosiddetta Gran Selezione o “Superchianti”, il vino che dovrebbe piazzarsi al top della piramide qualitativa aziendale, affiancandosi o sostituendo di fatto il Supertuscan.

Nel primo caso si tratterebbe di una zonazione geografica assolutamente non qualitativa, nata per focalizzare meglio i vari comuni e territori  (da non confondere con terroir) del Chianti Classico, mentre il secondo, di cui ho già parlato qui , sarà un vino che almeno nel breve metterà più in risalto l’azienda rispetto alla zona di provenienza. Sulla carta quindi le due cose puntano a risultati non dico opposti ma sicuramente diversi.

Vediamo di capire i pro e i contro di ognuna.

Nel primo caso si punta ad una maggiore conoscenza del territorio senza però che questo porti ad una “monetizzazione” dello stesso; questo perché al momento i Premier Crù e i grand Crù in Chianti sono impossibili, se non per “autocertificazione”. Non sono contrario certo ad una migliore conoscenza ed identificazione del vino con il comune di produzione ma la mia paura è che inserire in bottiglia la menzione geografica “Castellina in Chianti” o “Vertine” o “Paneretta” serva solo a rendere più caotica e complessa la comunicazione nei grandi mercati futuri, dove un consumatore finale ( e non solo) stenta a riconoscere la differenza tra un Chianti e un Chianti Classico. Sicuramente servirà agli esperti o presunti tali per riconoscere un Chianti Classico di Radda in Chianti da uno di Castelnuovo Berardenga, rischiando di prendere sonore cantonate. Infatti non possiamo ignorare tre cose.

•    Il territorio chiantigiano e molto vasto e diversissimo; non è quel fazzoletto lungo e stretto come la Borgogna, o almeno come la parte migliore a cui ci si vorrebbe ispirare.

•    Il disciplinare ammette ben un 20% di uve non autoctone, come Cabernet Sauvignon, Merlot e compagnia, che molto spesso sono ben poco territoriali dal punto di vista chiantigiano.

•    Molti Chianti Classico sono oggi  più che espressioni di un territorio espressione di un produttore.

Quindi le varianti all’interno di menzioni comunali possono essere moltissime ed il rischio, riportandole in etichetta, è quello di identificare il comune non con una o due tipologie di vino ma con decine, alcune addirittura agli antipodi.

Forse trovare un’etichetta con su scritto “Chianti Classico del Comune di Radda in Chianti” può anche portare a sborsare un tot in più per comprarlo, ma dove è già stato fatto in Italia non si è ottenuto questo risultato. Prendiamo per esempio le Menzioni Geografiche Aggiuntive che sono state introdotte da pochi anni nella zona del Barolo. Qui praticamente da sempre (in verità dal grande sviluppo degli anni ottanta, prima i Barolo buoni erano spesso dei blend) si associa la qualità al singolo vigneto o al crù, ma l’aggiunta di un nome in etichetta senza una reale divisione qualitativa ha portato ben pochi cambiamenti, solo una maggiore confusione per il consumatore finale non espertissimo.

Credo comunque che un lavoro di zonazione, di comprensione approfondita delle reali potenzialità dei vigneti chiantigiani debba essere fatto e fatto bene, (Consorzio? Regione? Ci siete?) in una prospettiva molto futura di identificazione virtuosa dei territori/vigneti più vocati, ma da lì a riportarlo in etichetta il passo non è breve né conseguente, né semplice.  

 

La Gran Selezione è in realtà un modo abbastanza semplice per riportare in auge il Supertuscan chiantigiano, o meglio per inglobarlo definitivamente nella denominazione. Questo porterà con se il rischio di snaturare definitivamente l’idea di Chianti Classico, quella cioè di un vino da bere a tavola, di non grande struttura, ma dotato di freschezza e di grande piacevolezza. Sicuramente chi produrrà la Gran Selezione, non  userà certo il vino per il Chianti Classico “base”, ma il meglio del meglio aziendale ( a proposito, così la Riserva diventa automaticamente un vino da serie B per disciplinare…) che storicamente andava a finire nel Supertuscan. Così potremo assistere o al semplice inglobamento di Ceparelli, Flaccianelli e compagnia nella denominazione, o alla creazione di  un “Gran vinone” che comunque sarà presentato nel mondo come l’espressione massima del Chianti Classico.

Ecco che si chiarisce meglio quanto zonazione e Gran Selezione siano agli antipodi: uno punta a privilegiare le differenze, l’altro a creare un modello preciso e facilmente comunicabile.

Sono talmente agli antipodi che neanche tanto per assurdo la loro unione potrebbe fare solo del bene al territorio. Se infatti una zonazione seria portasse ha rilevare le caratteristiche dei singoli vigneti niente vieterebbe di presentare delle Gran Selezioni che esprimano a ragion veduta o raffinata eleganza o notevole potenza. Se l’azienda x ha vigneti che danno un sangiovese elegante e fresco, la creazione di un “Gran vinone” posizionato al top della denominazione potrebbe addirittura essere bloccata dal disciplinare stesso. All’opposto quella Gran Selezione che nasce fedelmente da un vigneto le cui caratteristiche sono riconosciute e apprezzate, potrebbe tranquillamente strappare prezzi molto più alti.

Forse il vecchio detto “Una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso” potrebbe tornare utile.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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