C’è Picual e Picual5 min read

Ai corsi di degustazione gli studenti-assaggiatori l’annusano e storcono il naso; lo classificano come un odore “chimico”, e i più spregiudicati lo bollano come “fenolico”. Qualcuno si sbilancia verso il difetto: “Ma questo è riscaldo!”.  Nelle versioni migliori gli amici dei felini potranno riconoscere anche l’erba gattaria (nepeta gattaria). Responsabile di tanto sconcerto olfattivo è l’olio da Picual, varietà praticamente assente in Italia  ma che vale circa la metà dell’oliveto spagnolo: e scusate se è poco, si parla del primo paese produttore al mondo! L’impressione più condivisa rimanda spesso effettivamente all’ambiente di una farmacia, o meglio di una farmacia d’altri tempi dove nel retrobottega si preparavano le pozioni. E dire che il regolamento CEE del 1991 per il Panel Test comunitario fissò un criterio di degustazione dove gli aromi più positivi erano tutti e unicamente riconducibili al “fruttato di oliva e altra frutta fresca” e viceversa qualsiasi “odore anomalo” era sufficiente a scivolare nel “difetto percettibile”. Nè l’aggiornamento del 2002 ha modificato le cose, ribadendo il “fruttato” come unico timbro olfattivo accettabile per la definizione di extravergine. L’avvocato della Picual in quanto varietà, però, a questo punto potrebbe argomentare con ragione che spesso gli oli da Picual assaggiati non sono dei più curati, anzi una ragione del loro notorio basso prezzo all’ingrosso potrebbe essere proprio una produzione che va per le spiccie. Inoltre in Italia trovare un monovarietale Picual è roba da addetti ai lavori; assai frequente, piuttosto, è quella imprecisata percentuale che si trova mescolata ad altri oli (nazionali, comunitari o extracomunitari) nei blend più reperibili in commercio e che marca il loro gusto in maniera riconoscibile. Colpito da recenti positivi assaggi, vi segnalo qui invece due rimarchevoli eccezioni: non sono blend e non sono nemmeno lontanamente difettati. Non solo, non provengono neanche dall’ Andalusia, la regione madre di (quasi) tutte le Picual!

   Aceite de Oliva Virgen Extra “Capilla del Fraile” 2005 – Marques de Griñon, Malpica de Tajo, Toledo (SP)

Fragrante è dire poco: il profumo brilla come del resto il colore, con una marca balsamica evidente che accompagna il bel bouquet erbaceo e fruttato. Il tutto viene restituito in bocca con gli interessi. Un amaro in giusta dose accompagna fin dall’inizio questo sapore estremamente aromatico, mentre il finale lunghissimo sta tra il cardo e il rabarbaro. La personalità è tale da raccomandare cautela nell’accostamento agli ingredienti.

L’azienda è certo consciuta dai frequentatori di questo sito per via di Cabernet e Syrah, in un’ area castigliana senza blasoni fino a poco tempo fa. Il Capilla del Fraile, un cru che gustifica la definizione di “aceite de pago” qualcosa come  “olio di chateau”,  è il frutto della determinazione aziendale a investire anche in olivicoltura a partire dal 1997. Il consulente è Marco Mugelli, elaiotecnico col cuore in Chianti che ha lanciato il primo imbottigliamento nel 2002.

   Aceite de Oliva Extra Virgen “1492” – Olivares de Quepu, Talca (Cile)

Il profumo è intenso, e ricorda il pomodoro appena spezzato (“tomate verde” suggerisce l’etichetta anche se sul colore non sono troppo d’accordo); un fruttato fresco di mela e banana completa il quadro. In bocca offre ottimo volume e flavor corrispondente, è suadente con finale dal garbato amarognolo.

La  retroetichetta, vivaddio, suggerisce fra l’altro “fritos de papas”: letto e fatto, ho mangiato delle patatine (troppo poche!) da campionato mondiale. Talca è nella zona temperata della regione del Maule, già nota per i vini. Quanto al 1492 può suonare come omaggio o sfida, fate voi, ma propenderei per la seconda ipotesi visti la qualità e il prezzo.

L’intero Cile ha prodotto nel 2005 appena 1500 tonnellate d’olio, tanto che non figura nemmeno nelle statistiche del COI. Ma se ne prevedono 6000 nel 2007 con i nuovi impianti, e se questa è la qualità c’è di che preoccupare gli andalusi e non solo. Un paio di assaggi del genere sono infatti molto istruttivi per capire dove sta andando l’extraverigne globale. La  Picual, in Italia considerata con sufficienza dai pochi che sanno almeno di che si sta parlando, ha frecce non da poco nel suo arco sul lato businness: offre produttività elevata e relativamente costante; non ha grandi problemi di impollinazione; resiste addirittura su terreni leggermente salini e risponde bene all’irrigazione nonchè alla meccanizzazione; last but not least, la resa in olio è molto alta (sopra il 20%, con picchi a 25). Che volete di più? Bene lo stanno comprendendo gli spagnoli stessi: si sono accorti che gli oli andalusi, in pratica di Picual, prendono la strada dell’esilio, soprattutto verso l’ Italia. Qui, opportunamente riconfezionati, spuntano in media un euro di più a chilogrammo venduto, stando ai calcoli della Camera di Commerico di Granata, la quale valuta in 337.000 le tonnellate giunte nel nostro paese dalla campagna 2004/5. 

Si chiama “economia di trasformazione”. Ma la riappropriazione è cominciata: la SOS, gigante del settore che parla spagnolo, ha comprato in pochi mesi i marchi Sasso e Carapelli, diventando leader mondiale con uno stimato 14%.

A questo punto non sappiamo più che deve lanciare un SOS e chi deve riceverlo. Lo scopriremo nel prossimo articolo.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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