I primi quarant’anni del Brunello: pregi e difetti.4 min read

Lo scorso 27 aprile mi sono ritrovato, assieme ad altri colleghi, alla degustazione celebrativa dei quarant’anni del Consorzio Brunello di Montalcino. In degustazione c’erano quasi cinquanta vini che coprivano il periodo 1967 (con una puntata al 1964) 1997. E’ stato sicuramente un assaggio molto interessante e per alcuni versi unico. Infatti avere nel bicchiere vini oramai esauriti in ogni dove ti mette sempre un certo “solletichino” addosso. Inoltre il periodo preso in considerazione permette di guardare la denominazione “dall’alto”, di vederne gli sviluppi e di sottolinearne pregi e difetti. Ma prima di parlare dei vini vorrei spendere due parole sul come è stato organizzato l’evento.
Mi spiace molto dover far notare che forse le cose potevano essere fatte meglio. In primo luogo un Consorzio così importante in vista di una celebrazione a cui partecipa addirittura  il Ministro dell’Agricoltura (ad un convegno successivo, non all’assaggio…) non dovrebbe chiedere timidamente e gentilmente alle aziende di inviare, se ne hanno voglia, uno o più dei loro vecchi vini. Dovrebbe semplicemente obbligare tutti i produttori che hanno un minimo di storia (diciamo almeno 25 anni) ha mandare uno o più vini. Questi dovrebbero poi essere assaggiati da una commissione interna per constatare se sono sempre integri e degustabili.
Altrimenti si rischia di ritrovarsi con ben 12 campioni del 1997, 7 del 1990, 6 del 1995 ma con undici, ripeto undici, annate scoperte. Inoltre non si può pensare di celebrare 40 anni della denominazione italiana forse più famosa nel mondo presentando alcuni vini chiaramente ossidati o con difetti evidenti. Bisognava assaggiarli prima e vista la mala parata, farli sostituire o toglierli di mezzo. Per non dire che la mancanza in degustazione di diverse aziende storiche ilcinesi non può e non deve passare sotto silenzio. Produttori come, tanto per fare dei nomi, Il Poggione, Altesino, Fuligni, Casanova di Neri, Case Basse, Cerbaiona, Lisini, Poggio di Sotto, Capanna, etc.etc. avevano il dovere di essere presenti con i loro vini.
Ma purtroppo molti, troppi nomi erano assenti, alcuni vini (non molti per fortuna) erano ossidati e più di dieci anni di storia vinicola montalcinese non erano rappresentati.
La speranza è che per i cinquanta anni di questo grande vino certi errori non vengano ripetuti, magari organizzandosi per tempo……..
Dopo questa tirata veniamo a quello che ci hanno detto i vini in degustazione. La prima annotazione riguarda la recente, almeno dal punto di vista dell’entrata in commercio, annata 1997. E’ stata sicuramente sopravvalutata! Dei dodici vini degustati, incluse tre riserve, solo pochi hanno superato indenni l’esame. Non siamo di fronte certo a vini ossidati ma con ristrette gamme aromatiche e con complessità che latitano. Le cinque stelle attribuite a questa vendemmia ci sembrano effettivamente troppe. Molto meglio il 1995 con uno Spuntali dei Tenimenti Angelini (austero, profondo, compatto, con un tannino dolcissimo) a tirare la volata. All’opposto avevo più paura del 1990 che invece ha mostrato ottima tenuta e bella complessità. Di quest’annata ricorderò sempre due riserve: quella di Poggio Antico, di una finezza assoluta e quella del Marchesato degli Aleramici a cui, sulla carta, dava ben poco credito. Non si può andare indietro senza citare il 1988 di Baricci: vino difficile ma che fotografa in pieno un modo di produrre vino che a Montalcino ha fatto per molto tempo scuola. E scuola la farà per molti anni a venire il 1985 di Salvioni, addirittura stratosferico per pienezza, finezza e complessità. Doveroso citare in quest’annata, che pensavo (sbagliando) già abbastanza evoluta il finissimo Paradiso di Manfredi. Comunque gli anni ottanta in generale mostrano di avere ancora molte frecce al loro arco, cosa che invece non potrei giurare (sempre in generale) sull’ultimo decennio del secolo. I vini degli anni settanta erano invece dei veri pezzi di storia: allora eravamo di fronte a vinificazioni completamente diverse, a vini che dovevano stare in botte per cinque anni, nel bene e nel male. Una lieve aggiunta di acido citrico prima dell’imbottigliamento era quasi di norma, i legni erano soltanto grandi ma le vigne avevano un’età media molto più alta di quella attuale. In definitiva questo decennio esce a testa alta dall’assaggio, mentre gli anni sessanta sono i veri trionfatori della giornata. Se un giorno volete fare una follia segnatevi questi due nomi: Biondi Santi 1964 (fatto ancora da Tancredi) e Costanti 1967. Uno è l’eleganza personificata, l’altro la concretezza unita a intrigante profondità. Due vini che valgono oro e che dovrebbero far riflettere sul modo attuale di fare vini di grande invecchiamento: vini che, visto anche i prezzi a cui vengono scambiati,  dovrebbero dare anche e soprattutto complesse emozioni e non solo alcol e muscoli.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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