Vini ad Arte 2013 tra conferme e…. sottozone5 min read

Di musei ne ho girati abbastanza in vita mia ma in quello bellissimo delle ceramiche di Faenza non c’ero mai entrato e non depone certo a favore delle mie velleità culturali l’averlo fatto solo per partecipare a Vini ad Arte 2013.

Questa ottava edizione della manifestazione faentina aveva come premessa quella di vedere nel ruolo di organizzatore, a fianco del Convito di Romagna, il Consorzio Vini di Romagna. Quindi accanto ai vini degli 8 soci dell’associazione che ha creato e gestito le precedenti sette edizioni si potevano assaggiare i prodotti di molte altre aziende romagnole. In totale erano presenti 33 aziende e per noi giornalisti era stata attrezzata una degustazione professionale con più di 110 vini a disposizione.

La stragrande maggioranza erano Sangiovese di Romagna, ovvero Romagna Sangiovese che è la nuova dizione della DOC, non è ancora utilizzata (solo per meri motivi temporali) da tutti i produttori. Il nuovo nome della DOC ci porta subito a parlare della divisione in 12 sottozone voluta fortemente dal consorzio e presentataci dal bravissimo Francesco Falcone, partendo dalla cartina da lui creata assieme ad Alessandro Masnaghetti.

Una presentazione molto accurata, da cui abbiamo percepito grandi diversità di clima, esposizioni, territori che però  ancora personalmente non riesco a ritrovare sempre nei vini degustati. Sarà perché, come ha giustamente premesso Francesco, l’età media dei vigneti  e di molte aziende del territorio non è molto alta, sarà perché abbiamo assaggiato diversi vini di annate molto difficili come il 2011 e il 2012, sarà che mi manca una conoscenza approfondita del territorio, sarà quel che sarà ma ancora nel bicchiere le grandi diversità che dovrebbero uscire dalla divisione in 12 sottozone (con grandi diversità al loro interno) non riesco a percepirla.

 
Percepisco invece le solite grandi differenze tra tipologie. Prima di presentarvele devo premettere che, come ben sanno i nostri lettori, le degustazioni “ufficiali” di winesurf devono vedere presenti almeno due dei componenti della redazione, ma avendo partecipato da solo posso fornire esclusivamente pareri generali sui vini degustati.

 

Romagna Sangiovese/Sangiovese di Romagna

Erano molto pochi per farsi un’idea ma si percepisce che le aziende di punta hanno un’idea del Sangiovese “base” che lo rende ben poco base. I vini assaggiati erano infatti di bella connotazione aromatica al naso e di struttura più che sufficiente in bocca. Vini perfettamente adatti a tuttopasto  e che possono anche maturare tranquillamente per alcuni anni. Se a questo si aggiunge un prezzo “base” e quindi attorno ai 5 euro in enoteca non si può che parlarne bene.

 

Romagna Sangiovese/Sangiovese di Romagna Superiore

Una bella fetta dei vini presentati facevano parte di questa categoria, coprendo inoltre un arco temporale notevole (dal 2012 al 2009). Sarò ripetitivo ma devo riconfermare che questa è veramente la tipologia su cui puntare se si vuole sfondare sul mercato, estero in particolare. Vini quasi sempre con profumi di frutta rossa immediati e piacevoli, dotati di tannini giustamente ruvidi che spesso fanno da architrave a strutture di buon lignaggio. Anche in due annate calde e difficili come il 2012 e il 2011 abbiamo trovato vini equilibrati e di sufficiente freschezza. In diversi casi i profumi non riportano proprio direttamente al sangiovese….ma il disciplinare permette anche altre uve e quindi non si può certo fare tanto gli schizzinosi.

 

Romagna Sangiovese Superiore/Sangiovese di Romagna Superiore Riserva

Molti vini anche in questa categoria, che però si è sfoltita velocemente perché ho deciso (dopo 3-4 assaggi) di non assaggiare le riserve 2011-2010. L’ho fatto perché si tratta di vini assolutamente in evoluzione ma adesso troppo ingessati tra tannini da ammorbidire, legni da digerire e  complessità da far venire fuori. Meglio quindi assaggiare 2009 e 2008, dove si trovano vini più espressi e compiuti. I Sangiovese Riserva  si confermano così una tipologia che ancora deve trovare il giusto equilibrio commerciale. Non si può basare la stragrande maggioranza della propria produzione su vini che  strizzano l’occhio alla piacevolezza per poi passare ad una riserva monolitica, chiusa, ingessata, che nella migliore delle ipotesi avrà bisogno di molti anni per rendersi presentabile. Badate bene dico presentabile, non grande! Questo perché non è che facendo dei vini grossi automaticamente si abbiano dei vini grandi. L’equilibrio è fondamentale, la profondità gustativa e aromatica è basilare ma molte riserve sembrano il fratellone gnucco, quello alto e grosso ma non certo il più sveglio in famiglia. Poi per fortuna ce ne sono di buone ma è l’interpretazione generale che mi crea non pochi dubbi.

Come mi creano diversi dubbi le Albana secche assaggiate: vini dove molto spesso il corpo è quasi assente e mascherato non certo bene da alcuni grammi di zucchero. Se ci aggiungiamo che le ultime annate hanno dato anche una bella botta alle acidità, ci ritroviamo con vini spesso poco convincenti, anche per il mercato locale. La “fuga dalla realtà” dell’Albana porta verso altri vitigni bianchi come sauvignon e chardonnay, ma con interpretazioni talmente diverse da azienda a azienda che risulta impossibile inquadrare questa tipologia che comunque ha alcuni prodotti di buon livello.

Ammetto la mia idiosincrasia sia per gli IGT rossi che per i vini dolci: non li ho assaggiati.

A questo punto non resta che darvi appuntamento per i nostri assaggi di ottobre, dove faremo (more solito) nomi, cognomi e daremo punteggi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE