Vieni dal Libano mio vino… vieni dal libano… vieni…5 min read

E’ con grande piacere che accogliamo tra le nostre file Magdalene Beverari, giovane laureata in filosofia con dottorato di ricerca sulla comunicazione del vino. Vive tra Verona e Parigi, quando non gira per il mondo. Ha un suo blog, levinparfait.it e collabora con Sowine (http://sowine.com/). Come capite è donna molto impegnata e comunque pare che ogni tanto respiri. Sicuramente mangia e beve, questo lo possiamo testimoniare “de visu”. Inizia la sua collaborazione presentandoci la realtà enoica (e non soltanto quella) del Libano. BENVENUTA MAGDA!

Amo il Libano, profondamente e ogni singolo centimetro quadrato di questo Paese sussurra infinite parole in un incessante andirivieni di pensieri più o meno ancestrali.  Ma se mi chiedete il perché la risposta vacilla, rimbalza e si ferma ad un piccolo nodo alla gola.

Il Libano per la sottoscritta è la migliore sintesi tra mondo arabo e mondo occidentale, è il sole che si scioglie nell’acqua rovente del Mediterraneo. Il popolo libanese è un popolo fiero,  caleidoscopicamente diversificato. Le donne libanesi sono sofisticate, apparentemente libere ed emancipate ma indissolubilmente legate alla tradizione religiosa nel segreto, qualunque essa sia.  Per comprendere le donne libanesi vi invito a leggere “Une vie de pintade à Beirut” scritto da Muriel Rozalier, giornalista francese che da più di dieci anni vive a Beirut stabilmente.

La prima volta che conobbi un libanese fu a Parigi circa tre anni or sono, un brillante ed eloquente giovanotto colto dal sorriso disarmante, la battuta pronta e la parola svelta. Era incuriosito dalla mia ricerca di dottorato sul vino, e mi disse con fierezza che, era andato a visitare Ksara nella valle della Bekaa e  gli era piaciuto moltissimo. Non avevo la benché minima idea di cosa stesse farneticando. In Libano ci sono stata nel 2010, per un matrimonio (altra particolarità tutta libanese), e quest’anno ne avrei avuto un altro (non mio, intendiamoci), quindi, perché non approfittare per unire il dilettevole all’utile?

Atterriamo la sera per lo scalo a Larnaca e apprendiamo dagli amici che ci attendono a Beirut che la strada è bloccata da un gruppo di manifestanti sciiti, per la precisione il clan Mouqdad. Ci consigliano di essere prudenti e di non avventurarci in luoghi ameni, ma soprattutto di non guidare. Decidiamo di sfidare un po’ il destino, noleggiamo un’auto, senza limiti chilometrici, così da poter scorrazzare allegramente in lungo e in largo nel Paese dei Cedri, nella speranza di pigliarci in testa solo pigne e bottiglie di vino, e così è stato!

La mia tabella di marcia è piuttosto sostenuta, e le armi di battaglia prescelte sono poche ma buone: la prima guida dei vini libanesi in lingua francese, Zawaq, scritta da Muriel Rozalier, la giornalista di cui vi ho parlato pocanzi, corrispondente altresi per l’Orient le Jour, quotidiano francofono di attualità sul Medio-Oriente. In realtà avrei potuto prendere la guida di Michael Karam, il più grande esperto al mondo di vini e terroir libanesi, ma Zawaq mi pareva più idonea, forse perché scritta al femminile, con i caratteri in copertina viola.

Decido di incontrare i produttori che avevo conosciuto a Londra in occasione della London Wine Fair, ai quali avevo promesso che sarei passata direttamente in Libano. Alla lista aggiungo qualche altra cantina, come ad esempio il monastero maronita di Adyar, dove con mia grande sorpresa ho potuto scovare dei vitigni italiani, come il sangiovese, la barbera o il nebbiolo, con risultati piuttosto soddisfacenti, ma questa è un’altra storia.

Il Libano è una nazione piccola, e dannatamente contesa; i libanesi hanno vissuto e vivono da ormai molto, troppo tempo in una perenne condizione di instabilità politica e sociale, senza considerare le continue e devastanti guerre che hanno subito e le dominazioni che si sono succedute. In tale contesto si è sviluppata da sempre ciò che è comunemente chiamata la diaspora libanese, che vede la parte più brillante del Paese partire alla volta della Francia, del Canada, degli Stati Uniti e dell’America Latina, per completare gli studi e per lavorare, nella speranza di poter vedere la loro adorata Fenice risorgere vittoriosa dalle ceneri. I libanesi colti parlano generalmente due o tre lingue, spesso dipende anche dalla comunità di appartenenza: i maroniti e cristiani orientali spesso sono francofoni, ma non sempre, i musulmani tendenzialmente angolofoni, ma non sempre. I cristiani abitano a Nord di Beirut, i musulmani sciiti a Sud, ma non sempre.

La prima domanda che mi sono posta di visita in visita è stata sulla natura fenomenologica del vino per i libanesi.  L’idea che mi sono fatta è che si tratti spesso di un investimento a lungo termine, un modo per investire il denaro in maniera pulita, ma anche per creare una sorta di differenziazione culturale, come ad esempio nel caso di Château Marsyas.  In generale i vini prodotti sono di fascia medio alta, con la fascia di partenza (rosé di Ksara e Kefraya ad esempio) a 5 dollari e poi a salire sino al Souverain di Ksara che fa girare la testa o al Domaine de Baal Rouge che si trova a 28 dollari in cantina.

Torniamo agli investimenti: per ciò che concerne la valle della Beqaa si trattò inizialmente di un’opera di bonifica del territorio, ovvero sostituire la marjuana con qualcosa di valorizzante e redditizio a lungo termine, ma anche permettere di dare lavoro alle comunità nomadi di beduini, perlopiù di origine siriana, che da sempre si muovono in territorio libanese. Sono infatti le tribù beduine ad essere impiegate quasi sempre per le vendemmie; costano poco e sono organizzati, inoltre lavorano in autonomia sotto la supervisione del loro capo tribù. Ma anche questa è un’altra storia …

Segue……….

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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