Sfogo da vecchio: ma può un vino riconoscere chi ha davanti?4 min read

Me lo sono detto, ripetuto, gridato che non era il caso! Che non erano fatti miei, che non avrei spostato una virgola e mi sarei fatto solo altri nemici, ma “quanno ce vo’ ce vo’”. Se non mi mettevo a scrivere stavo male e sicuramente mi pentirò di quanto scritto, però….

Sono trent’anni che ascolto produttori di tutte le razze presentare i loro vini evidenziando (in ordine casuale) vigna, famiglia, lieviti, terreno, uve, nonno, enologo (anche questo, si) scelte di vita (a bizzeffe), lune, piogge, microclimi e poi barriques, botti, vasche di cemento, giare, filosofie di vita (a ribizzeffe) e, credendoci il giusto, ho sempre però pensato che stessero facendo il loro lavoro e per questo, se non avvelenavano la gente, andavano rispettati.

Per questo rispetto profondamente Josko Gravner e tutti i suoi cambiamenti di stile enologico, derivati sicuramente da profonde convinzioni e da scelte sofferte e sudate. Lo reputo un grande vignaiolo, un uomo con cui credo sia bello parlare di tutto, anche di vino. Ma quando ho letto che in un intervista ha dichiarato “I miei vini capiscono benissimo chi hanno davanti. E si comportano di conseguenza. Se chi li beve è diffidente, si chiudono” non c’ho visto più.

Ripeto: devo stare zitto!!! Sono io quello che parla con una vite da più di due anni, di fronte a migliaia di  spettatori e quindi cosa posso dire ad un grande produttore come Gravner?

Forse potrei dirgli che, come faccio io con le viti del Grande Fratello, dovrebbe farci capire quando scherza e quando parla sul serio. Perché io spero proprio scherzasse quando ha detto quella frase; spero proprio che il giornalista sia scoppiato a ridere, poi si siano date due pacche sule spalle et voilà, niente di meglio di un cazzata al momento giusto per cementare un’amicizia.

Però dovrei stare zitto, ZITTO!!! Io sono quello che non è saltato al collo di Enzo Rivella quando  ha detto che l’ottanta per cento del Brunello era stato fatto con altre uve, quindi che cosa voglio? E non si può nemmeno dire che Rivella mi avesse strizzato l’occhio, dato di gomito o comunque mi avesse fatto capire che stava burlandosi dell’universo mondo. Lui ci credeva e quindi chi sono io per criticare Gravner e chi l’ha intervistato?

Sono un comune mortale che ama il vino, un po’ lo conosce e sa che frasi del genere rischiano di creare dei mostri. Perché se c’è una cosa che mi sembra manchi a molti produttori cosiddetti “naturali” è l’ironia e l’autoironia. Forse perché si sentono accerchiati dai cattivi non abbassano mai la guardia ed anzi, alzano spesso il tiro. La frase di Gravner penso faccia parte di questo modo di approcciarsi al mondo della comunicazione. Se una frase del genere la dicesse un qualsiasi altro produttore  i casi sarebbero due: o scoppia la risata o ci si guarda intorno impauriti.

Con Gravner invece la si virgoletta e la si propone come argomento serissimo di discussione.

Altro argomento serio di discussione (sempre dalla stessa intervista ma glielo avevo sentito dire altre volte) che lui fa il vino per se stesso. Ora sarebbe facile sostenere che (con 30.000 bottiglie) 225 tonnellate di vino sono forse eccessive per consumo personale, ma tutti sappiamo cosa vuol dire. Lui fa il vino COME se lo facesse per sé, con la stessa cura, attenzione che metterebbe in uno o due quintali. Questo lo capisco anche io e ne faccio tesoro.

Però quella frase….signor Gravner…lei crede veramente che il suo vino legga nell’animo e nella mente delle persone? Se così fosse perché non ci avverte prima, magari quando entriamo in enoteca,così evitiamo di spendere soldi per comprarlo?

Ammetto di essere uno dei prevenuti diffidenti! Che posso fare? Mi aiuti lei!

Ma forse…forse lei voleva dire che, come la bellezza è negli occhi di chi guarda, così la bontà di un vino è nel palato e nel naso (nonché nell’occhio, perché se uno vede che è Gravner non può dire che è ossidato….) di chi assaggia. Quindi quel vino si chiuderà perché in realtà è l’uomo a chiudersi a quel vino. Una specie di gioco di specchi dove una bevanda antica si fa gioco di un uomo “moderno”, mettendogli davanti al naso tutti i suoi pregiudizi, le sue ignoranze, i suoi dubbi.

Ora ho capito! Anvedi….gagliardo…

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE