Emilio Pedron: un Presidente sul piede di guerra!8 min read

Continuano le nostre interviste a Presidenti di Consorzi. Quesa è la volta di Emilio Pedron, presidente del Consorzio Valpolicella (nonchè del Gruppo Italiano Vini). L’intervista si è svolta durante l’anteprima Amarone 2003, il 10 febbraio 2007

Il piano del Commissario Europeo prevede in Europa l’espianto di circa 400.000 ettari di vigneto. Voi in Valpolicella quali toglierete.

Nemmeno un ettaro. Io personalmente sono contrario a questa norma perchè alla fine favorirà l’eliminazione di vigneti dove la viticoltura è più difficile e costosa e quindi di qualità: vigneti dove, in realtà dovrebbe restare e svilupparsi . Alla fine il mercato del vino è così libero che è inutile togliere vigneti da noi quando ne avanza o ne viene prodotto troppo da altre parti. Nel 2005 sono entrati nella comunità europea quasi 13 milioni di quintali da paesi fuori la comunità. Quindi è inutile togliere vigneti qua quando il vino arriva a fiumi da tutte le parti. Oggi dobbiamo convivere con la sovrapproduzione di vino mondiale e quello dell’espianto non è certo il modo per risolvere il problema.

Erga omnes. Maggior pregio e maggior difetto

Come maggior pregio ha finalmente posto l’obbligatorietà di un controllo. Io vedo i vini DOC o DOCG  come marchi collettivi che qualcuno può usare e per usarli devono rispettare delle regole e qualcuno deve controllare che quelle regole vengano rispettate.
L’Erga Omnes ha finalmente introdotto controlli verso tutti, perchè fino ad ora le documentazioni esistenti (Regione, Camera di Commercio, etc)  alla fine sono tutte separate tra loro e nessuno si è mai preoccupato di metterle assieme.
Il suo maggior difetto è il costo troppo alto per i produttori. Dobbiamo trovare metodi più efficienti ma a costi inferiori. Non vedrei male, visto quanto il sistema viticolo da alle casse del paese, un ritorno in forma di contributo pubblico ai consorzi.

Tutte le grandi zone hanno una o più DOCG, ma voi non ancora. Non la meritate?

Ce la meritiamo assolutamente! Ad oggi  l’iter è stato fatto e ci sollecitano a rivendicarla ma secondo il disciplinare della DOC,. Noi però ci siamo messi in testa (non so se sia giusto o sbagliato) di sviluppare  la Garantita come un sistema a spirale virtuosa per migliorare la qualità dell’Amarone ed in più di rimediare a qualche errore storico fatto in passato nella DOC.

 

Questo cosa vuol dire in soldoni?


In pratica noi vogliamo che le uve da cui viene l’Amarone debbano arrivare più dalla collina e meno dalla pianura e da una piattaforma ampelografica più ristretta. Abbiamo chiesto che un vigneto sia adatto ad Amarone solo dopo il quinto anno( e non dopo 3. n.d.r.) e proposto che chi oggi comincia a fare Amarone debba poterlo fare solo dopo 5 anni di esperienza. In qualche modo tutto questo lede i diritti acquisiti di molti produttori ma la zona è d’accordo su questo,  mentre proprio il ministero vede dei problemi, soprattutto di ordine legale.

 

In un mercato mondiale dove è molto difficile far passare dei messaggi. Le sembra giusto mantenere dizioni come classico? In altre parole: la differenza tra classico e non ha ancora senso?

 

La valpolicella è una zona molto ampia e credo possa esserci spazio per tipologie diverse: inoltre  classica è la zona storica e quindi insostituibile.

 

Mentre dorme arriva l’Arcangelo Gabriele e la porta davanti a Dio che le dice: “Voglio distruggere la Valpolicella ma posso salvarla se tu mi dici quale vostro vino sacrificare per il bene degli altri. Devi scegliere tra Valpolicella, Superiore, Ripasso, Amarone e Recioto.” Lei quale sacrifica per il bene della Valpolicella?

Il Superiore!

 

Nella realtà, visto il grande aumento del Ripasso che fine farà il Superiore?

 

Probabilmente ci sarà qualche sovrapposizione. Il Superiore era nato per fare una categoria a cavallo tra il Valpolicella base e l’Amarone. Indubbiamente oggi il Ripasso rappresenta meglio questa categoria.

 

Sullo studio della filiera vitivinicola del Valpolicella presentato qualche mese fa si nota un grande incremento dell’Amarone negli ultimi 15 anni.  Se ci mettiamo anche tanto Ripasso non vede il rischio di fare troppi vini passiti e di banalizzare il territorio?

 

Bella domanda: Visto che la quantità non è aumentabile, l’unico modo per crescere, anche da un punto di vista di incassi (ed io la vedo come un’aspirazione legittima) è quello di vendere più Ripasso o Amarone e meno Valpolicella. L’importante però è farlo bene. Poi non è scontato che ogni anno si possa fare il 20% di Amarone ed il  40% di Ripasso. Le condizioni climatiche variano e condizionano il produttore. Comunque incrementare la qualità del vino non è sbagliato: è sbagliato farlo male ed andare dietro alle mode.

 

Quale è secondo lei il vero ripasso, da un punto di vista storico?

 

Da un punto di vista storico il ripasso nasce per migliorare il Valpolicella. Storicamente l’uva veniva appassita, anche senza tante regole, perchè la Corvina aveva bisogno quasi tutti gli anni di un rinforzo.

Da un punto di vista storico il ripasso nasce per migliorare il Valpolicella. Storicamente l’uva veniva appassita, anche senza tante regole, perchè la Corvina aveva bisogno quasi tutti gli anni di un rinforzo.

 

Il solito arcangelo la sveglia e la porta davanti a Dio. Questa volta va meglio e le chiede di esprimere un desiderio per la Valpolicella. Qual’è questo desiderio?

 

Che nasca un gruppo di operatori che riescano a pensare in maniera collettiva e non egoistica! Questa è la chiave della denominazione!
Ma per la Valpolicella vorrei anche ci fosse un giusto equilibrio tra Ripasso e Valpolicella base: questo scongiurerebbe quel pericolo, da lei sottolineato, di forzature da una parte e dall’altra che porterebbero a stravolgere il nostro vino.

 

Troppe annate diverse in commercio tutte assieme: questa confusione di annate  è risolvibile a breve  o  no?

 

 

No, non credo e non credo nemmeno sia giusto togliere la libertà di stile alle singole aziende. C’è chi vuole invecchiare l’Amarone per 3 anni, chi per 5 e chi per più tempo. Non credo sia giusto dare regole ferree.

E sul Valpolicella base? Non ci sono troppe annate diverse in commercio?


Sul valpolicella base stiamo lavorando per creare una categoria omogenea. Prima abbiamo cercato di sviluppare Amarone e Ripasso.

 

Questa è una domanda che Le faccio più come Presidente GIV. Lo sviluppo tecnologico dell’enologia andrebbe ripensato dal punto di vista etico?

 

É un problema reale e molto serio su cui stiamo dibattendo: durante la presentazione a Milano del nostro bilancio io ho fatto il punto etico-sociale del nostro gruppo. É una cosa in cui credo molto. Il vino senza etica diventa solamente un settore da cui è meglio scappare. Nell’etica c’è anche una moderazione delle tecnologie di cantina a vantaggio della viticoltura, che deve ritornare ad essere la matrice fondamentale della qualità del vino.  Più macchine abbiamo in cantina, più bravi siamo in cantina e meno abbiamo bisogno del vigneto. Questo è un discorso che spezza la filiera e quindi non può essere avvallato . Noi come GIV ci siamo fatti carico di un progetto viticolo per una viticoltura di qualità economicamente sostenibile: il che vuol dire farla diventare economicamente giusta e non solo pagar poco l’uva . Dovremmo anche ritornare alla storicità delle zone di produzione e dei sistemi culturali di una volta. Certo che quando ci troviamo con gli australiani che invadono il mercato e noi restiamo al palo delle domande ce le poniamo e magari ci si lascia trasportare…. Ma comunque un ritorno forte dell’etica anche in cantina è giusto e corretto. Per non dire del rispetto delle regole. Sono molti che non le rispettano. Lei viene dalla Toscana e proprio questa regione ha dato qualche esempio grave in questo senso. Le regole non si rispettano per vari motivi ma soprattutto perchè non si produce lì la qualità che si promette di produrre. Anche qui un ritorno all’etica ed al rispetto delle regole è basilare. Tutti i settori hanno bisogno di etica, ma il mondo del vino ne ha un bisogno particolare e bisogna spingere in questo senso, trovando chi ne parli in maniera forte.

 

Rispetto del consumatore: Crede sia giusto riportare in etichetta le cose con cui il vino è fatto?.

 

Io credo che non possiamo ormai opporci all’avanzare dell’uso di certe sostanze, viste anche leggi europeee e non italiane a cui ci dobbiamo rassegnare. Ma se certe pratiche vengono consentite bisogna insistere che vengano dichiarate in etichetta.

Io credo che non possiamo ormai opporci all’avanzare dell’uso di certe sostanze, viste anche leggi europeee e non italiane a cui ci dobbiamo rassegnare. Ma se certe pratiche vengono consentite bisogna insistere che vengano dichiarate in etichetta.

 

Assaggiando molti  vini esteri di basso prezzo non ne ho trovato uno che avesse segno di trucioli o riportasse il loro uso in etichetta. Ma i trucioli sono un vero problema o un  cavallo di Troia per far entrare altre pratiche enologiche?

 

Non solo sono un falso problema, ma non possiamo dimenticare che, come sempre, noi vogliamo le cose quando è tardi. In Inghilterra sugli scaffali sono più in vini unoaked (non passati in legno n.d.r.) che quelli barriccati. Noi vogliamo le chips quando gli altri non le usano più ed il consumatore internazionale non le vuole più, quando insomma non sono più di moda. Abbiamo fatto una campagna ed impaurito il consumatore per un qualcosa di desueto che all’estero non usano più.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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