Nutrizione biologica del terreno. Sapere per fare: a residuo zero3 min read

Da qualche tempo non parlo più di concimazione ma di nutrizione, per me un concetto più completo e attento alla vitalità biologica del terreno.

Intanto bisognerebbe partire dal concetto base di agronomia, la fertilità. Questa  esprime la capacità o l’attitudine di un terreno alla produzione agraria e nel tempo è stato anche metro di valore nella vendita e nello scambio di terreni.

La fertilità è soprattutto il risultato della somma della vitalità nel terreno con il suo contenuto in sostanze minerali, del giusto grado di calore, del contenuto equilibrato di aria e acqua e della sua composizione granulometrica. Generalmente cambia col tempo, e dipende dal modo con il quale l’uomo utilizza il terreno.

In ogni caso non si può parlare di fertilità del suolo in senso generico, ma è necessario distinguere una fertilità di tipo fisico, chimico e biologico, perché ogni fattore agisce o interagisce con gli altri nel migliorare o deprimere le qualità del terreno sotto uno o più punti di vista.

Quindi la fertilità, quella vera, non quella fittizia dei concimi, si raggiunge, si conserva e si migliora attraverso la gestione integrata ed elastica della sostanza organica.

Ma come fare?

Ai giorni nostri, abbiamo perso la fertilità organica e biologica dei suoli vitati.

La mancanza di letame (il re dei concimi organici), l’impiego di concimi minerali, la monocoltura a vigneto, l’ accumulo di alcuni agrofarmaci nel terreno, e la “stanchezza” dello stesso, hanno portato a conseguenze negative sulla coltivazione della vite. Se in più ci mettiamo anche l’impianto di nuovi vigneti su terreni impoveriti del loro strato di coltivazione per l’eccesso di ruspature in fase di preparazione e condizioni climatiche diventate molto particolari, abbiamo un quadro difficile da affrontare. Questo fra l’altro spiega le caratteristiche qualitative non sempre ottimali dei vini prodotti e la maggior sensibilità delle viti alle malattie.

Quindi?, da dove cominciare?

Dalle buone pratiche agricole, che in questo caso chiamo buone pratiche viticole.

Sicuramente bisogna valorizzare i residui vegetali del nostro vigneto: foglie, trinciature dell’erba e dei tralci (salvo casi di malattie del legno), e riprendere in mano gli apporti di sostanza organica anche con i sovesci bioattivati.

Li chiamo bioattivati, perché oltre alla semina vera e proprio, si inoculano nel terreno sistemi di microrganismi che migliorano la radicazione delle essenze erbacee e la loro decomposizione in humus stabile dopo la trinciatura e l’interramento.

In modo semplice riportiamo a crescere i valori della sostanza organica nel terreno, la disponibilità degli elementi nutritivi, si diminuiscono le infestanti, si migliora la struttura, si limitano problemi quali nematodi, insetti terricoli e altro ancora.
E’ un argomento vastissimo quello della nutrizione, anche perché la vite oltre ai macroelementi ha necessità importanti di meso e microelementi (boro, zinco, manganese, ecc), che sono resi utilizzabili per la pianta quando c’è una disponibilità organica ed buona vitalità microbiologica.

Queste nuove osservazioni, portano qualità nella vita della pianta, maggior resistenza alle malattie ed agli stress ambientali grazie allo sviluppo di induttori di resistenza, ma soprattutto si propone una tecnica a “residuo zero”.

Bisognerebbe anche parlare di analisi del terreno o delle foglie, sensibilità e caratteristiche dei portainnesti e dei vitigni, fertirrigazione e fertilizzazione fogliare, ed altro ancora, ma intanto questo può essere un buon inizio per rivalutare il ruolo della sostanza organica.

Davide Ferrarese

Davide Ferrarese, agronomo e profondo conoscitore del Piemonte agricolo, per diversi anni nostro “metereologo ufficiale” ci ha lasciato in eredità tantissimi interessanti articoli.


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