Franciacorta: passi avanti ma attenti a tappi e affinamenti8 min read

Ed eccoci, con Babbo Natale alle porte, a parlare dei risultati dei nostri “ritardati ad arte” assaggi franciacortini. Prima di tutto dobbiamo ringraziare il Consorzio Franciacorta che si è “tenuto in casa” per diversi mesi le nostre bottiglie, permettendoci così di degustare i vini ad ottobre. Un grazie particolare va ai nostri due angeli custodi, che ci hanno seguito nei cinque lunghi giorni di assaggi: Monica e Silvia.

Questa “sosta forzata” ha permesso a tutti i campioni assaggiati di avere almeno 6-7 mesi di bottiglia e non, come capita quando assaggi a maggio-giugno, 50-60 giorni. La maggiore permanenza in bottiglia è stata di grandissima importanza per permettere ai vini (in particolar modo ai Brut ed ai Saten “base” cioè non millesimati) di potersi aprire aromaticamente, affinarsi e rendersi più equilibrati, complessi  e, oserei dire, compiuti.

Questo grande vantaggio per noi ci porta però subito ad evidenziare uno dei maggiori problemi con cui la Franciacorta dovrà fare in futuro i conti e cioè il tempo di permanenza,  dopo la sboccatura, dei vini in cantina. La stragrande maggioranza delle aziende, a causa anche al grande successo commerciale del vino, sbocca praticamente tutti i mesi e quindi è costretta a mettere in commercio prodotti ancora molto, molto, molto chiusi e molto, molto, molto, lontani dal loro vero livello qualitativo. Un po’ come se si mettesse in commercio un Barolo con un mese di affinamento in bottiglia: anche se il vino è di livello ben pochi riuscirebbero ad apprezzarlo compiutamente.

Un grande produttore ci diceva che la continua discussione tra il settore commerciale e quello produttivo  è proprio sulla richiesta da parte del secondo di una programmazione delle vendite che, regolarmente, non si riesce a fare. Forse dovrebbe intervenire il Consorzio imponendo un tempo minimo (6 mesi almeno) di permanenza in cantina dopo la sboccatura, altrimenti non si corre il rischio ma si ha la certezza che un’ampia fetta delle bollicine franciacortine verranno stappate e non godute, almeno non al 100%. In futuro questo “stappare e non godere” potrebbe anche riflettersi sulle vendite.

Non voglio tornare ancora sul vecchio tema, trattato più volte, del Vigneto Franciacorta. Questo perché da una parte la situazione è sempre quella da me segnalata più volte (tantissime vigne giovani in terreni non proprio vocati) dall’altra il territorio è arrivato praticamente a saturazione e quindi si spera che nei prossimi anni non si piantino vigneti nuovi, visto che i 2200 ettari vitati di cui si parla ormai mi sembrano veramente il massimo per la denominazione.

Veniamo quindi a parlare di altri punti importanti. In Franciacorta  ci si sta sempre più rendendo conto che il vero punto topico  per fare bollicine è il momento della spremitura delle uve. Da questo e dalle tecniche usate per ottenere dei mosti più che validi, dipende tutta la vita di quel vino. La vigna è indubbiamente importante, la fermentazione e la maturazione idem ma in questi momenti si possono anche compiere piccoli errori senza che il prodotto finale ne risenta più di tanto. Se si sbaglia nel momento della spremitura però non si hanno prove d’appello. Non voglio entrare in disquisizioni molto tecniche, mi salvo dicendo semplicemente che una cosa è fare vino fermo ed una è produrre bollicine e non è detto che quello che è “buono” per un bianco fermo lo sia per uno spumante. Questa generalizzata e molto più ampia attenzione a quel punto cruciale, assieme ad un continuo sviluppo tecnologico, mi ha convinto sul fatto che la Franciacorta sta arrivando veramente ad alti e consapevoli livelli tecnici.

Se il punto precedente  viene affrontato con la giusta attenzione un altro, in cui  i produttori hanno invero poca colpa, mi è sembrato essersi sviluppato in maniera preoccupante; sto parlando dei tappi. Almeno il 10% dei vini (se non di più) avevano problemi relativi al tappo ma non riscontrabili come tali. Non sto parlando del classico odore di tappo ma di chiusure che non chiudono perfettamente, ossidando così velocemente il prodotto o di altre che hanno problemi  evidenziabili  solo aprendo una seconda bottiglia e confrontando il vino. Durante i nostri assaggi abbiamo trovato diverse bottiglie “strane” e regolarmente, aprendo una seconda bottiglia, i vini risultavano diversi e, ovviamente, migliori.  Non possiamo non consigliare alle aziende una maggiore attenzione in questo campo, magari avvicinandosi anche tappi diversi, come quelli utilizzati da La Scolca in Piemonte.

 

Ma veniamo a parlare dei vini, divisi per tipologie.

 

Pas Dosé

 

La vera perla della Franciacorta! La tipologia in cui si può essere (quasi) certi di avere a che fare con vini di indubbio valore. I pas dosé, oltre ad essere i vini con i nasi più complessi e con i palati più austeri, ma filanti e piacevoli, danno anche un senso compiuto alla differenza tra millesimati e vini senza annata. Infatti i primi occupano quasi tutti i posti alti della classifica (le 4 e le 3.5 stelle) e riescono a farlo a prescindere dalla annate. Ci sentiamo di consigliarli senza se e senza ma. Voto 9

 

Extra Brut

 

Qui purtroppo suona una musica diversa. Oltre a non raggiungere nemmeno con un vino le 4 stelle gli extra brut non accennano minimamente ad uscire da quel limbo in cui stanno da anni. Mancano quindi i vini di altissimo pregio ma purtroppo latita generalmente tutta la tipologia, con una qualità media non certo altissima, almeno rispetto a quello che uno si aspetterebbe. Considerate che la “media stelle” per gli extra brut è 2.48, mentre per i cugini pas dosé arriva addirittura a 2.79. Voto 6

 

Saten

Per una tipologia che non trova la quadra una invece che sembra averla trovata. Saranno stati il maggior numero di mesi in bottiglia, sarà stato il millesimo base di molti vini (2008), fatto sta che i saten assaggiati ci sono sembrati per la prima volta una tipologia con caratteristiche similari e soprattutto con caratteristiche positive.  Non più estremamente dolci, non più assolutamente marcati da legno, non più troppo leggeri e finalmente dotati di complessità unita a  piacevolezza e last but not least, a freschezza. Sono i vini che hanno fatto il maggior salto di qualità e , al loro interno, ci hanno convinto più i senza annata che i millesimati. I primi infatti svolgono alla perfezione il loro ruolo di piacevolezza con la giusta complessità e cremosità, mentre in diversi casi i millesimati sembrano voler chiedere troppo al vino, lasciandolo spesso incompiuto, soprattutto dal punto di vista degli aromi e dell’eleganza. Forse sarà anche un problema di vigneti, adatti per dei vini base ma ancora giovani e non pronti per prodotti più complessi. Voto 8 (media tra un 9 ai senza annata ed un sette ai millesimati).

 

Brut

 

Il netto miglioramento trovato nei saten ed in particolare nei senza annata l’abbiamo trovato ancora più marcato nei Brut. Infatti mai avevamo avuto il piacere di trovare  i vini senza annata della tipologia più prodotta e conosciuta ad un tal livello qualitativo. Nasi definiti e complessi, bella freschezza finalmente in evidenza, un generalizzato minor uso della liqueur, tutte caratteristiche che non possono che far ben sperare per l’evoluzione negli  anni  della qualità in franciacorta. Invece tra i millesimati non abbiamo trovato questo salto qualitativo. Viste le basi ci aspettavamo mirabilie ed invece abbiamo incontrato vini indubbiamente buoni ma senza quei picchi che di solito la categoria propone. Voto 7.75 ( media tra un 9 ai senza annata e un 6.5 ai millesimati).

 

Rosè


Anche se in questa tipologia abbiamo trovato il vino più buono della degustazione dobbiamo per forza confermare il nostro giudizio degli scorsi anni. Vini poveri, con scarse gamme aromatiche, con poca profondità in bocca. La tipologia è di moda, il vino tira, ma ancora in Franciacorta si deve imparare a lavorare, in rosso, con il Pinot Nero. Colpisce constatare come aziende che propongono ottimi pinot nero vinificati in bianco, di fronte ad un rosé si smarriscano e perdano per strada potenza, finezza, complessità. Di diverso rispetto agli anni scorsi ci sono solo due-tre vini di altissimo livello; questo ci fa grande piacere ma, davanti a più di 50 vini degustati, una rondine non fa primavera. Voto 5.

 

Complessivamente quindi  molti miglioramenti, specie nei vini più accessibili e nelle tipologie più conosciute. Questo, in attesa che le vigne crescano, è sicuramente un segnale estremamente positivo per il territorio.

Chiudiamo con la solita notazione sul peso delle bottiglie: anche se stiamo parlando di vini spumanti crediamo che il discorso vada affrontato presto, perché sembra stia prendendo campo la teoria “bottiglia più pesante= vino migliore”. L’abbiamo notato soprattutto nei produttori non di prima fascia (non solo…per non parlare di bottiglie dalle forme strane e dal peso preoccupante) e non vorremmo che la moda si allargasse a macchia d’olio.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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