Marco Pallanti al Chianti Classico: un neopresidente tradizionalmente innovatore!12 min read

Con questa intervista iniziamo un serie di incontri con i Presidenti dei maggiori Consorzi di Tutela Italiani. Partiamo con il Chianti Classico.

Questa intervista l’abbiamo avuta pochi giorni prima del Natale 2006 presso il Consorzio del Chianti Classico. Marco Pallanti è praticamente da sempre direttore ed enologo di Ama. Dopo il rientro a tutti gli effetti di Ama nel Consorzio, è stato eletto alla carica di Presidente.

Le nostre domande hanno spaziato a 360° ed hanno avuto spesso il taglio informale che ci contraddistingue.

 

Da non socio a Presidente: Sei un tipo che brucia le tappe o cercavi un lavoro?

In effetti è stata una sorpresa anche per me. Pensandoci bene però sia io che l’azienda che rappresento abbiamo sempre avuto le carte in regola per poter dire la nostra in questo Consorzio. Ama non ha mai fatto un vino a base Sangiovese che non fosse Chianti Classico ed il miglior Sangiovese da noi prodotto è sempre andato in questa tipologia di vino. Da presidente ho percepito subito un vento favorevole e spero che quello che ha fatto Ama possa servire da esempio per altri. Comunque per me è stata una cosa straordinaria, della quale sono veramente sorpreso ma profondamente onorato.

 

Se tu avessi carta bianca, come faresti il Consorzio del Chianti Classico?

Se si deve parlare della struttura non posso che dire che funziona bene, a tutti i livelli: i dipendenti sono bravi ed abbiamo un direttore (Giuseppe Liberatore n.d.r.) capace anche di raccogliere fondi a livello ministeriale, cosa sempre molto positiva. Ci sono delle piccole sbavature ma nell’insieme è una struttura funzionante. Quella che manca è forse la fiducia degli associati ed il mio primo impegno come Presidente è quello di recuperarla. Non voglio che i soci vedano il consorzio come un’entità distante. Per questo ho organizzato nel territorio subito tre riunioni per presentarmi, cosa che nessuno aveva fatto, ed il successo è stato notevole. Credo che questa sia la strada giusta. La nostra immagina si incomincia a ricostruirla partendo dall’interno.

 

E se dovessi rifare il disciplinare del Chianti Classico, come lavoreresti?

Chianti Classico come vino è il nome di un’appartenenza, non di un’identità. Un territorio così vasto -6000 e passa ettari – non può avere una sola identità. Potremmo avere differenti identità dettate da quelle che sono le sensibilità del Sangiovese come l’altitudine, il tipo di terreno, l’esposizione. Se io potessi ritoccare il disciplinare cercherei di dare identità distinte secondo zone diverse: identità sul tipo della Borgogna tanto per capirsi, anche se noi abbiamo grosse differenze rispetto a loro.

 

Diversità territoriale: cosa significa in soldoni. Crù, Appellazioni Comunali, Sottozone o cosa?

Non credo che sia possibile parlare in questi termini anche se come detto, potendo, prenderei per intero il modello borgognone e lo riporterei qui. Ma ciò non è realizzabile perchè andresti a toccare i valori fondiari. Come fai a dire ad uno che la sua vigna che valeva 5 prima, dopo la riclassificazione diventa di serie C e vale 2. Giustamente non lo potrebbe accettare.

Qual’è il vitigno chiantigiano più sottovalutato?

Per me la Malvasia Nera, che si sposa bene col sangiovese: inoltre è leggermente precoce e questo non guasta mai.

 

Da Presidente quale è per te il maggior pregio dell’Erga Omnes?

Riattribuisce ai produttori il controllo della denominazione. Questo presume una grande onesta. Ti faccio un esempio: nessuno meglio della tua famiglia conosce le sue esigenze. Se tutti lavoriamo con finalità migliorativa, nessuno meglio dei produttori può dire come gestire le cose. Se invece le direttive arrivano dall’alto spesso queste esigenze non vengono percepite. Ribadisco: tutto questo presuppone una grande onesta morale, per poter fare gli interessi del territorio e non dei singoli. Grazie all’ Erga Omnes il consorzio può e deve essere visto non come quello che ti bacchetta sulle mani , ma come colui che spiega ai produttori, come un amico, che magari impiantare troppo Merlot o addirittura comprare vini da altre parti, non è la strada buona per difendersi sul mercato. Noi abbiamo il vantaggio di essere nella regione più desiderata al mondo, siamo tra due città meravigliose (Siena e Firenze) che tutti vorrebbero visitare. Dobbiamo avere un vino all’altezza. Nelle bottiglie che vendiamo il 60% del prezzo è il vino che c’è dentro, ma il 40% è per tutto quello che abbiamo intorno. Quindi non possiamo banalizzarlo rendendoci simili agli altri. Per esempio: sui prezzi non potremo mai scendere ai 2 € a bottiglia. Pochi lo sanno ma fare un ettaro di vigna costa mediamente da noi 60.000-70.000€: negli ultimi dieci anni ne sono stati piantati circa 2000 ettari. 120-140 milioni di Euro quindi spesi per i vigneti. Non c’è zona d’Italia che abbia investito così tanto in vigna. Allora o noi ci crediamo nel terroir, facendolo diventare veramente un valore aggiunto, oppure abbiamo sbagliato tutto. Noi possiamo sopravvivere solo se riusciamo a dare una nostra reale originalità che deriva dalla qualità ma anche dal luogo di produzione..

Ma può un organo come il Consorzio, pagato dai produttori, sanzionare gli stessi?

No, non può! Proprio per questo è stata messa la repressione frodi a controllare il nostro lavoro ed eventualmente a svolgere quel compito.

 

Ed il maggior difetto dell’Erga Omnes?

E’ arrivata tardi. Se fosse arrivata prima a quest’ora avremmo fatto già tutti i controlli in vigna.

 

Oggi vengono utilizzate molte cose per fare vino, spesso non conosciute a fondo nemmeno gli enologi. Cosa ne pensi?

É un discorso molto complesso. La scienza va comunque avanti e lo fa in un senso solo. Non ha un lato positivo e uno negativo: è la tecnologia che deriva da questa scienza che poi viene sfruttata più o meno bene. Come nell’antidoping: si conoscono le sostanze conosciute ma non le sconosciute e ogni anno ne nascono di nuove ed è impossibile stargli dietro con i controlli. In fondo è veramente solo una questione etica: dobbiamo far cambiare i principi morali che regolano la produzione del vino, cercando di riportare il tutto alla completa correttezza. Questo non è facile anche perchè la società non va in questo senso: siamo in un mondo di furbi, particolarmente noi italiani che abbiamo sempre strizzato l’occhio al “furfantello”. Per esempio: se sei in auto ti lampeggiano per dirti che più avanti c’è la polizia, non per dirti di rallentare.

 

Lo sviluppo dell’enologia che c’è stato negli ultimi 20 anni, è servito molto per la produzione dei grandi vini?

Ti rispondo dicendo quello che ho cambiato io. La cantina era già adatta: ho cambiato solo delle vasche in acciaio prendendole del tipo più largo ma più basso, ma poi i rimontaggi li faccio sempre a mano. Ulteriore modifica è stata quella di mettere all’interno delle vasche d’acciaio una serpentina, che mi serve in momenti diversi. In prefermentazione, in fermentazione e durante la macerazione. Altro piccolo cambiamento riguarda i rimontaggi, che vengono fatti maggiormente nella fase iniziale per estrarre più antociani . Abbiamo capito qualcosa in più sulla maturità fenolica e quindi stiamo più attenti al colore dei vinaccioli. Altro non è stato fatto, se non l’introduzione della barrique, che però è stata una novità solo da noi.

 

Si parla tanto di differenze e territorialità, ma oggi molti sono quasi costretti ad avvalersi di prodotti e tecniche estremamente omologate (stesse barbatelle, stessi lieviti selezionate, stesse barriques, stesso enologo etc). Cosa mi dici?

Provo a risponderti così. In Francia il concetto di cru è visto come un triangolo dove i tre lati sono il vitigno, il terreno, il clima ed al centro c’è l’uomo. Tu puoi avere dei vini che evidenziano una, due o tutti questi fattori. Puoi produrre vini varietali, o vini più legati al luogo di origine e meno al vitigno, oppure c’è la versione dove l’uomo mette la sua firma sul tutto, dove il wine maker predomina, coprendo il resto. Una specie di “moda della firma” che ora, per la verità, sta funzionando un po’ meno. La mia idea di vino è quella in cui l’uomo si mette dietro ai tre concetti di vitigno, terreno e clima: non trasfigura tutto a propria immagine e somiglianza ma asseconda la materia prima che sta lavorando. In tutti questi anni di vendemmie per prima cosa ho cercato di capire che uva stavo portando in casa, adeguandomi. Il segreto del vino è uno solo, l’equilibrio, l’armonia. Non, come si pensava in passato, l’alcol o i tannini o l’acidità. L’importante è l’equilibrio, anche perchè un vino armonico è un vino che si beve. Oggi nel Chianti Classico ci sono tre anime: quella tradizionalista, un’ anima un po’ più moderna ma sempre nel rispetto del territorio e l’anima internazionale. In quest’ultima c’è la predominanza dell’uomo, la firma dell’enologo che supera vitigno, territorio e clima. Dipende poi dove ti trovi ad operare ma se io lavoro in una zona storica come la nostra trovo assurdo far prevalere l’uomo: deve uscire il territorio. L’armonia è già scritta sullo spartito, io la devo solo far venire fuori.

 

Pensi di rivedere il sistema di promozione del Consorzio e se si come?

Credo che qualcosa vada modificato. In quest’ottica c’è da capire che il Consorzio non ha una sola anima: c’è chi produce milioni di bottiglie e chi ne fa 5000. Il giusto modo di fare promozione non è quello di presentare una “media”. Quindi vanno studiate strategia ad hoc, come quella che stiamo attivando proprio adesso e che vuole far assaggiare ai giornalisti specializzati i Classici delle aziende che fanno i grandi numeri. Questo per far capire che il Chianti Classico di base è buono. Noi abbiamo una qualità media superiore a Bordeaux e alla della Borgogna, ma non siamo riusciti a comunicarlo al mondo.

 

In particolare la settimana delle anteprime di febbraio come la vedi?

Un problema che mi sono posto da Presidente è stato proprio se fare una manifestazione tipo Alba Wines, solo per specializzati, oppure no. In effetti noi non siamo piccoli come il Barolo, noi facciamo diversi milioni di bottiglie più di loro e quindi ci dobbiamo rivolgere ad un numero più ampio di giornalsiti. Quello che mi sta stretto nella settimana di febbraio è la posizione, che alla fine permette solo ad una zona, cioè Montalcino, di fare la parte del leone. Dobbiamo organizzarla un po’ meglio. L’ambizione sarebbe domani di fare un evento dedicato solo al Chianti Classico sul tipo dei Grands Jours de Bourgogne. Ma questa è una carta difficile da giocare perchè mancano a monte quelle caratteristiche (denominazioni comunali, etc) che sono alla base della manifestazione borgognona.

 

Devi rispondere per forza. Dopo un naufragio sei su una scialuppa: nel mare, intorno a te, ci sono tutti i giornalisti enogastronomici mondiali, ma tu hai solo un posto libero: chi salvi?

Se fosse possibile farei assaggiare quattro Chianti Classico e quello che riconosce il vero Chianti Classico lo salverei.

Quindi pensi che al massimo uno solo possa riconoscerlo!

Questo no…… ma intanto inizierei a fare una grossa scrematura! A parte gli scherzi: non ti ho fatto un nome perchè a momenti siete tutti estremamente positivi o negativi. Anche il fatto di valutare Parker come il diavolo mi sembra eccessivo, una eccessiva semplificazione.

 

Qual’è il maggior difetto di noi giornalisti enogastronomici?

Senza dubbio quello di aver voluto spettacolarizzare il vino, fatto diventare i vini dei cavalli da corsa e messo in mano anche al consumatore strumenti delicatissimi come la degustazione alla cieca. Questo l’ho detto ai curatori delle maggiori guide italiane. Arrivati a questo punto dovreste dichiarare che non assaggiate più alla cieca perchè i territori, le originalità, le valuti bene solo se sai che cosa assaggi. Nascondersi dietro la foglia di fico dell’anonimato rende tutto più difficile. Quando un critico cinematografico o letterario valuta un film o un libro, sa perfettamente di chi è il libro o il film, chi sono gli attori etc. Poi è la sua credibilità che si esprime nel giudizio. Se è una persona seria parlerà bene o male e sarà o meno creduto, ma a prescindere. Nessuno di noi comprerebbe mai niente alla cieca. La degustazione alla cieca è un metodo difficilissimo e complesso di assaggio, perchè prevede una conoscenza enorme di quello che si degusta. Serve soprattutto ai tecnici per escludere certi difetti o tipologie. Se la metti a disposizione di tutti alla fine banalizza il prodotto. Alla cieca viene fuori il valore medio!

 

Ed il nostro pregio?

Quello di aver parlato di vino e di vino come cultura. Questo è stato molto importante. Ora più di prima se presentiamo il vino solo dal punto di vista qualitativo portiamo avanti una bevanda e basta. In quella bottiglia, come dicevo prima, mettiamo il 40% di cose come storia, cultura, tradizione, paesaggio, che sono poi le componenti che fanno il prezzo. Oggi, tutto sommato, fare dei buoni vini non è affatto difficile: difficile è farli buoni, rispettosi dell’origine, della tradizione e che portino avanti un chiaro messaggio culturale.

Cosa chiedi a Babbo Natale?

Lo scorso anno gli chiesi di portare via tre cose : l’uvaggio bordolese (Bordeaux escluso), il vino sfuso e proprio la spettacolarizzazione del vino. Quest’anno mi farei portare un OCM migliore perchè vorrei delle leggi che non si adagino al mercato internazionale, ma che portino il nostro modo di fare mercato agli altri. Invece ci stiamo troppo adeguando alle leggi altrui, dai trucioli in poi. Il progetto della Fischer Boel è distruttivo nei confronti dell’enologia di qualità. Quindi se Babbo Natale volesse portare via il Commissario Europeo e darci un nuovo OCM…

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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