Montalcino: ovvero del sadismo e del masochismo3 min read

Vi ricordate la vecchia battuta del masochista e del sadico? Il masochista al sadico “Fammi male, ti prego!”Il sadico “No!”

Me la sono ricordata mentre ripensavo all’ennesimo polverone alzatosi  a Montalcino dopo la convocazione per mercoledì  7 settembre dell’assemblea dei soci. Infatti, con all’ordine del giorno il cambio del disciplinare del Rosso di Montalcino, non potevo fare a meno di notare che oramai non si tratta tanto di essere più o meno d’accordo su quanto Sangiovese debba esserci nei vini di questa meravigliosa terra ma su quanto il consorzio (o il comune, o la provincia) dovrà spendere in psicologi.

Oramai infatti è chiaro che le fazioni in lotta (quante sono? Ah, saperlo!) hanno deciso, da perfetti masochisti e/o sadici,  di continuare a sfidarsi in campo aperto anche se la sola cosa,  torturanda e moritura che dopo rimarrà sul terreno sarà  ( come è già successo) l’immagine di questo territorio e dei suoi vini.

Non si spiega infatti in altra maniera la nuova convocazione “l’un contro l’altro armati”, visto che una precedente assemblea sullo stesso tema era stata addirittura rinviata, dopo però la solita guerra mediatica con prese di posizione roboanti, dibattiti sanguinosi a fil di penna e dopo che la poca immagine del Brunello era stata nuovamente calpestata senza che se ne capisse la ragione. Per fare allora (e adesso!)  un cambio di disciplinare occorreva infatti che TUTTI e ripeto TUTTI i produttori fossero preventivamente d’accordo, altrimenti il rischio era di mettersi ancora una volta a lavare i panni sporchi in pubblico. Questo non avvenne, con risultati deleteri.

Intelligenza avrebbe voluto che una riproposizione della stessa richiesta avvenisse dopo un lavoro sotterraneo e certosino, con contatti onnicomprensivi sul territorio ed accordi preventivi, ove TUTTI, ripeto TUTTI, si dichiarassero per iscritto d’accordo. Invece siamo nuovamente al rullar di tamburi e dichiarazioni, al cozzar di spade mediatiche tanto che, quasi quasi mi aspetto  “l’Arbia colorata in rosso”.

In un articolo molto chiaro (link) Andrea Gabbrielli presenta la storia ed il reale scenario del Rosso di Montalcino. Da parte mia, vorrei solo riassumere quanto ho già detto altre volte su questo vino. Siamo di fronte ad un vino di ricaduta, poco amato e rispettato dalla stragrande maggioranza dei produttori, con caratteristiche e stili molto diversi e spesso con qualità non certo eccelsa. Non so se un 15% di merlot o cabernet potrà migliorarlo. Per me, visto il ruolo di secondo piano che ha sempre avuto  (prego chi sta per gridare come una vestale dissacrata, di informarsi e soprattutto di assaggiare almeno 100 Rossi di Montalcino all’anno per molti anni…), potrebbe anche esistere un Rosso di Montalcino “blend” ed un Rosso di Montalcino Sangiovese. Basta che la cosa venga riportata chiaramente in etichetta, così che il consumatore possa scegliere con facilità e chiarezza.

Quello che non mi spiego è da una parte l’intestardirsi di alcuni nel voler comunque l’inserimento di altre uve e dall’altra il combattere questa richiesta a priori. Soprattutto quello che non capisco è perché  fare tutto questo alla luce del sole. Ma possibile che, vivendo a pochi chilometri di distanza, i produttori non riescano a risolvere questa diatriba in privato per poi presentarla, in maniera chiara e univoca, in pubblico?

Non so cosa accadrà mercoledì prossimo ma so cosa è già accaduto: il nome Montalcino è rientrato in una discussione da cui doveva stare, per il proprio bene,  il più possibile alla larga.

In chiusura, per allentare un po’ la tensione  e cercare di rilassare gli animi, prendendo spunto dall’Arbia colorata in Rosso, ho provato a pensare cosa avrebbe potuto dire Dante su questa battagliata situazione.

Ahi Montalcino, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
pur se non vino di provincia, ma Brunello!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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