Il Ponce, da Livorno con ardore!4 min read

Bruno Signorini, co-titolare dell’enoteca la Vena di Vino di Volterra passa il tempo tra bottiglie, racconti e studi storici a sfondo enogastronomico.

Una delle sue passioni è il Ponce e l’entusiasmo con cui lo racconta conferma la sua fama di essere uno dei maggiori conoscitori di questa “bevanda”.

 

Cominciamo dalla pronuncia: la “o” è chiusa, anche se i livornesi sono di parere contrario ma solo perché non riescono a pronunciarla

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E veniamo alla storia: nel ‘700 arriva a Livorno una nave mercantile inglese. I marinai offrono agli scaricatori del porto un bevanda mai assaggiata prima, particolarmente gustosa, a base di rhum delle Antille, thè, cannella e limone. Si chiamava punch (pugno) forse per indicare le cinque dita della mano e più simbolicamente addirittura i cinque elementi della vita. Più semplicemente e più probabilmente, il nome deriva dal fatto che quando lo bevi sembra di ricevere un pugno nello stomaco.

 

I livornesi cercarono di replicare il punch, ma non avendo né rhum né cannella, dovettero arrangiarsi sostituendo il the con il caffè (gli storici locali sostengono che la prima balla di caffè arrivata in Italia sia transitata dal porto di Livorno) e il rhum con una soluzione di alcol caramellato in quantità diverse e con risultati discutibili nelle varie vinerie/osterie della città.

 

Siamo arrivati agli inizi del ‘900 e tal Gastone Biondi, prova e riprova, trova una soluzione che mette d’accordo tutti: alcol agricolo puro con soluzione di caramello e qualche aroma naturale.

Il bicchiere deve essere il “gottino” in modo che lo si possa prendere per il culo (del bicchiere). La soluzione alcolica (la migliore è Arcaffé) si mette quindi nel bicchiere fino all’unghia che fa da livello, si scalda bene, si aggiunge un caffè ristretto e la fettina di limone. Le varianti concesse sono con il liquore “Tre stelle” e con il “Sassolino” (anice e spezie varie).

 

Da non dimenticare la mitica “torpèdine”, ovvero un ponce con l’aggiunta di pepe o peperoncino. Nel ’29 fu vietata con un’ordinanza del comune di Livorno (esempio di proibizionismo all’italiana) perché provocava troppa euforia (leggi sbornie).

Sembra che il veto esista tuttora ma nessuno se ne preoccupa. Esiste comunque, documentata, una denuncia ai carabinieri per “eccesso di poncini”.

 

Si narra infine che quando Buffalo Bill passò da Livorno, alla fine del suo spettacolo dedicato alla battaglia di Little Big Horn gli venne offerta una torpèdine, che buttò giù in un  sol sorso come faceva col whisky in terra americana. Cadde svenuto e rivide Toro Seduto nei verdi pascoli inseguito dal generale Custer. Quando si riebbe ne volle subito un’altra!

                                                                                                                                                                                                                                                      

 

P.S.: Per bere e per capire il ponce è d’obbligo una visita al “Civili” in Via del Vigna naturalmente a Livorno.

Fabrizio Calastri

Nomen omen: mi occupo di vino per rispetto delle tradizioni di famiglia. La calastra è infatti la trave di sostegno per la fila delle botti o anche il tavolone che si mette sopra la vinaccia nel torchio o nella pressa e su cui preme la vite. E per mantener fede al nome che si sono guadagnato i miei antenati, nei miei oltre sessant’anni di vita più di quaranta (salvo qualche intervallo per far respirare il fegato) li ho passati prestando particolare attenzione al mondo del vino e dell’enogastronomia, anche se dal punto di vista professionale mi occupo di tutt’altro. Dopo qualche sodalizio enoico post-adolescenziale, nel 1988 ho dato vita alla Condotta Arcigola Slow Food di Volterra della quale sono stato il fiduciario per circa vent’anni. L’approdo a winesurf è stato assolutamente indolore.


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