Il mangiare alla BRAIMA4 min read

In un certo periodo la BRAIMA arrivò ad avere una trentina di dipendenti, ma nella mensa si arrivò al massimo a disporre di uno scaldavivande, dove Antilia  metteva per tempo la gamella (un piccolo portavivande personale. n.d.r.) che ognuno portava da casa.

Normalmente nella gamella c’era minestra o pastasciutta e poi  un po’ di carne in umido, che si manteneva e scaldava meglio delle altre. Non c’era però nessun fornello, o forno o altro per cucinare.  

 

La BRAIMA era una grande officina meccanica a Braccagni fondata nel 1965 da mio babbo Giorgio assieme a due soci. Costruiva attrezzi per l’agricoltura e macchine per calcestruzzo. Un po’ per tradizione, un po’ per vera voglia di festeggiare assieme, sotto Natale si andava tutti a cena al ristorante. E siccome i dipendenti erano un po’ di tutto il territorio si sperimentarono i ristoranti del paese di ognuno di loro. E così non solo Montepescali dove abitava il capo officina Flavio Guidarelli (detto il Segoni) ma anche a Braccagni, a Tirli, a Roccastrada, a Rispescia e ricordo perfino a Stribugliano da dove veniva ogni mattina Sergio Ciani, detto il Festicciola.

 

Questo eroe andava ogni mattina da Stribugliano a Sant’Angelo Scalo in auto, poi prendeva il treno che lo poratava alla stazione di Montepescali e da li in bicicletta arrivava alla BRAIMA. Credo ci volesse più di un’ora. E la sera il ritorno. Estate e inverno compresi, ovviamente.

 

Proprio in occasione della  cena a Stribugliano si poté apprezzare uno scorcio di vita genuina di questi paesini dell’entroterra maremmano, dove certe abitudini sono dure a morire… fortunatamente.  

 

Era inverno e Stribugliano, essendo già ad una discreta  altitudine, ci accolse con una bella gelata. Per terra in qualche punto  c’era ghiaccio per almeno un paio di centimetri. Ma si sa che a tavola si tende a non sentire il freddo. E poi casomai con adeguate bevute di vino si cerca di aggiustare la temperatura. Ma lo spettacolo venne alla fine del pranzo.

 

Sergio ci volle portare a fare un piccolo giro del paese dove, e lui lo sapeva bene, c’erano cantine con accoglienti e accaniti compagnie di bevitori. Infatti ne trovammo un paio. Ma al momento di entrare per rispondere ai ripetuti inviti, il Festicciola ci avviso: “Occhio ragazzi, perché da queste parti quando gli animi sono belli carichi si usa fare uno scherzetto alla compagnia: il proprietario della cantina chiude la porta a chiave e poi sceglie se buttare la chiave dentro alla damigiana del vino o buttarla fuori dalle inferiate dove nessuno può più riprendere”.

 

Nel primo caso voleva dire che per uscire di cantina bisognava prima scolarsi la damigiana del vino, nel secondo che per uscire bisognava aspettare la mattina seguente, quando la moglie del proprietario non vedendo il marito nel letto sarebbe venuta dritta in cantina ad aprire.

 

Insomma due diversi tipi di inviti a restare in compagnia! Gli effetti di queste bevute si concretizzarono al momento di ripartire: con il ghiaccio per terra sempre alto e lucente s’incontrò una allegra squadra che percorreva cantando le strade del paese. Ci dissero che stavano festeggiando l’addio al celibato. Si riconobbe al volo il futuro sposo: era quello che, nonostante quella temperatura sotto zero, era nudo dalla cintola in su!     

 

Queste cene erano sempre molto festose, un po’ per l’occasione del ritrovarsi finalmente a mangiare comodamente a tavola, un po’ perché occasione per battute e sfottò tra i ragazzi:  ma importanti erano anche i racconti di aneddoti per fatti successi in officina.

 

Ci poteva poi essere qualche fuori programma. come l’anno in cui fu chiamato a partecipare alla serata Alvaro Antonelli da Casteldelpiano, detto e conosciuto, appunto. come Alvaro: mitico personaggio noto in tutto il grossetano per i suoi incredibili e ammiratissimi travestimenti, con predilezione particolare per le divise militari, quasi sempre autentiche e in perfetto stato.

 

Abitualmente era “di servizio” nel corso di Grosseto, che percorreva nei due sensi per tutto l’anno. Credo che nessuno l’abbia mai visto vestito “in borghese”. Riusciva ad avere anche copie originali dei gradi più delle varie armi. Ma anche il genere da primario medico non era trascurato.

 

Quell’anno fu da noi ingaggiato e travestito con una fiammante tuta della BRAIMA e quindi immortalato con in testa una spaziale maschera da saldatore e una pinza con elettrodo in mano. Per confortarlo della sua generosa partecipazione fu nominato Baronetto di Braccagni, con tanto di diploma e stemma gentilizio disegnato dal pittore scultore Lucio Parigi.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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